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Il fallimento dei soci occulto e l'estensione del fallimento
BSoci Socio occulto Falso imprenditore di soci occultiimpresa individualeComma 1Falliscono (la società), A e B 1) Fallisce A1) α2) 2)Verifica dell'esistenza di C ed estensione Si accerta l'esistenza di (la società)αdel fallimento a C 3) Il fallimento di A si converte nelfallimento di α (fallisce quindi la società)4) Falliscono A, B e CQuesto era il primo passaggio della tesi di Bigiavi, anche il socio occulto di società occulta devefallire, era un passaggio tutto sommato corretto, che in effetti è stato recepito, prima a livello disoluzione giurisprudenziale e successivamente dal legislatore. In un primo tempo la giurisprudenzacominciò ad orientarsi nel senso che se nel corso del fallimento dell'imprenditore individuale,emergeva la prova che si era in presenza di una società occulta, si doveva accertare l'esistenzadella società, farla fallire e di li estendere il fallimento a tutti i soci.
Illimitatamente responsabili. In effetti, il nuovo testo dell'art. 147 della legge fallimentare, quale risulta dalla riforma del 2006, ha fatto esattamente questa scelta, cioè, quella di conversione del fallimento dell'imprenditore individuale e l'estensione ai soci dell'impresa che effettivamente risulta essere societaria, della stessa procedura concorsuale. La norma di riferimento è il nuovo 5° comma dell'art. n. 147 fal.
Qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile. Fin qui i passaggi sono lineari, ma c'è una forzatura rispetto al testo normativo dell'epoca di Bigiavi, perché, se si ha una società con due soci, di cui uno occulto ed uno palese, abbiamo visto come si procede, ma secondo Bigiavi, alla stessa conclusione bisognava arrivare, nel caso di un e di un prestanome.
Egli diceva infatti, che si trattava della stessa situazione schematica, dominus essendoci due persone, di cui una appare all'esterno e l'altra resta nell'ombra, per cui se si fa fallire la società occulta della precedente ipotesi, anche in questo caso, trattandosi della stessa situazione dovevano fallire sia il prestanome, sia il dominus. Analogicamente secondo Bigiavi, doveva fallire anche l'imprenditore occulto, anche in mancanza di vincolo societario con il soggetto che appariva all'esterno, manifestandosi ai terzi. Questo secondo sviluppo di equiparazione dei due casi, frutto della teoria appena esposta, non ha mai trovato applicazione, in quanto non è mai stata accolta sia in termini di giurisprudenza dominante e di dottrina, sia dal legislatore nelle successive evoluzioni del testo della legge fallimentare. Bigiavi però andò anche oltre, dopo aver pubblicato la sua prima monografia, con la teoria dell'imprenditore occulto edaver subito critiche molto pesanti, pubblicò un secondo libro, chiamato: "la difesa dell'imprenditore occulto", non contento rilanciò, individuando ulteriori ipotesi, alle quali, secondo lui, andava applicato lo stesso schema di ragionamento, per portare alla conclusione del fallimento in estensione, l'ipotesi centrale fu quella del cosiddetto "sociotiranno" che noi ritroviamo nelle società di capitali, la denominazione si riferisce a quel socio, che ha un dominio assoluto sulla società, a causa della titolarità del pacchetto di controllo di diritto, della maggioranza assoluta del capitale, quindi usa la società soltanto come schermo, per limitare la propria responsabilità, utilizzandola inoltre come cosa propria, attingendo alle casse della società e confondendo di fatto il proprio patrimonio personale, con quello societario. Secondo Bigiavi, anche in questa ulteriore ipotesi, ricorrevano gli estremi perl'estensione del fallimento al socio tiranno, che formalmente non assumeva la qualifica di imprenditore, perché di fatto era così qualificata la società di capitali, ma che in concreto abusava dello schermo della personalità giuridica, per potersi garantire la responsabilità limitata. Molti sono stati gli argomenti adotti contro la tesi dell'imprenditore occulto, si sono rinvenuti indizi normativi, che testimoniano come il legislatore assuma un criterio formale di imputazione dell'attività di impresa, quindi il principio generale, è quello che passa per la spendita del nome. Questa non è una circostanza che genera iniquità, ragionando infatti in termini di tutela dei terzi, si deve anche ammettere che coloro i quali entrano in contatto negoziale con l'impresa, fanno affidamento su quello che vedono, cioè, il patrimonio del soggetto il cui nome appare. Se esiste un prestanome che si finge imprenditore, i terzi.considerandolo impresa, possono accertare la solidità dello stesso ed eventualmente discostarsene se non sono convinti. Vi è poi anche da rilevare, come la tesi, nel riproporre lo schema dell'interpretazione analogica, presuppone che vi sia la ed i connotati fondamentali in comune delle due fattispecie, in ratio questo caso non c'è identità di fattispecie, perché prendendo in esame la situazione della società occulta, esiste un vincolo societario, che anche se non manifestato ai terzi, resta pure sempre un vincolo. Esiste ciò, una volontà di voler mettere in piedi un patrimonio con dei conferimenti, per esercitare in comune un'attività economica e dividerne i proventi, il fatto di non esternare l'esistenza di soci occulti non è rilevante, perché per costituire una società non si ha la necessità di esteriorizzarla. Questo concetto non può portare ad equiparare una situazione incui una società esiste, anche se non si è manifestata all'esterno, ad una situazione di un ed un prestanome, perché in questa fattispecie, non c'è una società, c'è un accordo, in base al quale, il prestanome si presta a manifestare all'esterno la volontà del e ad agire all'esterno come se fosse lui l'imprenditore. Il legislatore ha quindi voluto chiarire cosa accade in queste ipotesi, il nuovo art. 147 fal. conta adesso un quarto comma, in cui ribadisce che in caso di fallimento di società in cui vengano scoperti nuovi soci illimitatamente responsabili, non noti al momento della dichiarazione di fallimento, questo fallimento si estende anche ai cosiddetti soci occulti, che sono soci di società palese. Nel quinto comma, estende questa stessa regola, anche al fallimento di una apparente impresa individuale, che ad una più approfondita indagine da parte del curatore fallimentare, sirivelaessere in realtà una società, con un solo socio palese ed altri soci occulti. Va anche detto che il fine a cui mirava la tesi di Bigiavi, è in ogni caso un fine nobile, cioè quello di evitare l'abuso soprattutto degli schemi societari, come strumento di ingiustificato favore, di accesso agevole al regime della responsabilità limitata. Quindi anche in seguito alle critiche sulla teoria dell'imprenditore occulto, dottrina e giurisprudenza si sono ingegnate per trovare altre strade per giungere allo stesso risultato, cioè quello di reprimere l'abuso degli schemi societari formali, perché il criterio formalistico di imputazione qualche volta lascia insoddisfatti di fronte a comportamenti chiaramente illegittimi. Si è quindi elaborata un'altra teoria, qualificata come la "teoria dell'impresa fiancheggiatrice". Essa è spiegata in questo modo: se ci sono uno o più soggetti, che si possonoetichettare come socitiranni, che sistematicamente compiono azioni di finanziamento della società, in base al principio che dice che un'attività continua, di natura organizzata di una prestazione o di un servizio (in questo caso un servizio di finanziamento), integra in sé gli estremi dell'impresa, quindi, la giurisprudenza ha rilevato che il socio tiranno, potrebbe fallire, non in quanto socio, ma in quanto titolare di un'autonoma impresa, che ha come oggetto il finanziamento della società di cui è socio.
Va detto per chiarezza, che al fallimento dell'impresa fiancheggiatrice, hanno titolo a partecipare soltanto coloro che vantano crediti nei confronti del socio tiranno che ha fatto l'attività di finanziamento, non chi vanta crediti dal prestanome, ad es. coloro i quali hanno avuto a loro favore, prestazioni di garanzia fideiussoria dal socio tiranno nei confronti dell'impresa con il prestanome.
Altro fenomeno che ha collegamenti indiscutibili,
con la tematica dell'imprenditore occulto, perché porta al verificarsi proprio di quegli abusi che Bigiavi voleva combattere con la sua teorizzazione, è il fenomeno delle società, cosiddette "di comodo". Si tratta di società costituite al solo esclusivo scopo di limitare la propria responsabilità. Il fenomeno della limitazione della propria responsabilità, attraverso l'utilizzo dello schema societario, è un fenomeno perfettamente legittimo nel nostro ordinamento, anzi si può dire che la creazione di società di capitali, con il regime di limitazione della responsabilità alla quota del capitale conferito, rappresenta una delle creazioni più importanti che hanno fatto da acceleratore dell'economia, dal rinascimento in poi (ad es. le compagnie coloniali). Quindi non bisogna pensare che la giurisprudenza voglia colpire la costituzione di società preordinata alla limitazione di responsabilità.perché quella è proprio la ragion d'essere dellesocietà, esse non nascerebbero, se non ci fossero queste possibilità di limitazione di responsabilità. Anzi nell'evoluzione del diritto societario ci sono una serie di indizi, che dimostrano come il legislatore voglia incentivare le forme di limitazione del rischio di capitale, attraverso la costituzione di società. Infatti, da qualche decennio si possono costituire con un solo socio, società di capitali, le differenze, rispetto ad una persona fisica che vuole esercitare un'attività di impresa individuale, sono che quest'ultima è soggetta di persona al rischio di fallimento, rimanendo personalmente responsabile delle obbligazioni assunte nell'esercizio dell'impresa con tutto il suo patrimonio. Ma, costituendo una s.r.l. uni personale, nata fin dall'inizio con un solo socio, responsabile delle obbligazioni sorte nell'esercizio dell'impresa,
È la società, l'unico socio si è limitato a disporre il suo apporto di capitali (m