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2. SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO

In appello si rivede qualche profilo della decisione di primo grado (ma il risultato rimane pressoché immutato).

SUL RAPPORTO TRA TRANSAZIONE E AZIONE AQUILIANA DI DANNO → si ribadisce ciò che si è

affermato nella sentenza di primo grado → il fatto di non aver impugnato la transazione non incide sua rilevanza del

fatto illecito, che può rilevare ex art 2043 → questo perché si dice che uno stesso fatto illecito può rilevare al tempo

stesso come illecito contrattuale, extracontrattuale, essere oggetto di concorso tra due azioni (tra un'azione volta

all'impugnativa e un risarcimento).

NESSO DI CAUSALITA' → ricostruito in modo diverso (è elemento essenziale della fattispecie del 2043).

Il punto centrale della vicenda è se la corruzione di un giudice su tre determini certamente un nesso di causalità tra a

sentenza e il danno subito.

- per Fininvest la corruzione di un giudice non determina di per sé il contenuto della sentenza, dal momento che la

decisione è stata presa all'unanimità.

Questi dubbi erano già stati sollevati in primo grado, poiché era stato detto che la corruzione di uno dei tre giudici non

determina una sequenza causale certa → il tribunale perciò aveva considerato che il danno prodotto fosse da perdita di

chance di avere una sentenza favorevole-

LA CORTE DI APPELLO RIBALTA QUESTO RISULTATO → abbandona la teoria della chance e ritiene che la

corruzione di un giudice sia stata sufficiente in quel caso ad integrare di per sé il nesso di causalità necessario perché si

possa affermare una responsabilità.

IL NESSO DI CAUSALITA' NELL'ILLECITO CIVILE → la ricostruzione del nesso di causalità nell'illecito civile

è diverso da quello penale:

- nel processo penale affinché un evento possa dirsi cagionato da un fatto occorre che ne sia data prova ogni

ragionevole dubbio → questo perché si discute della libertà personale dell'imputato che esige notevoli garanzie.

- nel processo civile (la corte d'Appello richiama la giurisprudenza della Cassazione sul punto) il giudizio di causalità

può limitarsi ad accertare che tra fatto ed evento vi sia un legame di sufficiente probabilità (più probabile che non) →

non è necessaria la certezza oltre ogni ragionevole dubbio, poiché parlando di un risarcimento questo standard più

flessibile si reputa adeguato.

Secondo tale approccio la corruzione di un solo giudice è ritenuta sufficiente a provare la sufficiente probabilità del

legame tra la sequenza causale necessaria e sufficiente a produrre il danno.

LA REVOCAZIONE → Cir non ha chiesto la revocazione della sentenza di appello (che era stata frutto di dolo).

La sentenza afferma la piena legittimità dell'azione di danno, anche se non era stata esperita la revocazione (in quanto

era nelle facoltà di Cir scegliere se agire ex art 2043 o decidere per rimuovere la sentenza.

Sulla base di queste premesse e di una perizia tecnica, la cifra di danno è ridotta (si passa da circa 700 milioni di euro a

circa 500).

CRITICHE → Ne furono fatte molto. Vediamo quali elementi critici potevano essere sollevati nei confronti di una

sentenza che sotto vari profili rompeva con il passato delle tutele contrattuali e aquiliane.

Che critiche venivano fatte nei confronti della proponibilità di un rimedio risarcitorio autonomo rispetto ad

un'azione di validità che non è stata esperita?

L'azione di danno si fonda sul fatto che esiste un illecito (la corruzione del giudice) e sul fatto che questo illecito ha leso

la posizione contrattuale di Cir (rispetto a quella che sarebbe stata se l'illecito non ci fosse stato).

C'era un problema che riguardava un punto delicato (ravvisato non solo dalla difesa, ma anche dalla dottrina) → si

dice che l'azione aquiliana è esperibile perché il fatto illecito ha indebolito una parte → è indubbio che questo sia un

interesse giuridicamente rilevante, ma questo problema va ricondotto all'interno di un sistema di tutele civilistiche.

Nel codice la posizione di forza e debolezza di una parte ha rilievo in presenza di alcune fattispecie tipiche previste

dalla legge → se si potesse impugnare un contratto al di fuori di quelle ipotesi tipiche, il contratto perderebbe di forza e

certezza (e qualsiasi posizione di debolezza potrebbe essere rilevante per porre nel nulla il contratto → e ciò causerebbe

in danno al sistema e all'istituto del contratto, che si indebolirebbe).

Nel sistema nelle azioni di invalidità (anche se il codice non parla mai di invalidità, ma dice che il contratto può essere

impugnato con azioni di nullità, annullabilità, risoluzione e rescissione) la debolezza della parte viene in luce in ipotesi

particolari:

− incapacità

− vizio della volontà (quando la parte è stata indotta in errore, quindi quando vi è stato dolo da parte

dell'altra parte)

− violenza

− quando espressamente si è verificato ciò che è descritto nell'azione generale di rescissione contenuta

negli artt. 1447 e 1448 (introducono la possibilità di rescissione del contratto, cioè l'eliminazione degli effetti

del contratto in presenza di due fatti:

1. condizioni inique concluse per effetto di uno stato di pericoloso

2. sproporzione derivante da una lesione enorme, di oltre la metà, che anche qui sia stata determinata dallo stato di

bisogno di una parte (questa azione si prescrive in un anno).

Questa azione di rescissione fu inserita nella codificazione ottocentesca per restringere la possibilità di rescissione alle

solo ipotesi descritte (nell'800 ciò che contava era la libertà negoziale e basta → qualsiasi contenuto era indiscutibile).

Ma se il nostro sistema prevede questo, come si può costruire un'azione che dica che qualsiasi violazione che sia

determinata da comportamento illecito è rilevante?

Da una parte si sostiene che tutto debba essere racchiuso in fattispecie tipiche (al di fuori delle quali non ci sono tutele),

dall'altra parte abbiamo la posizione che emerge dalle sentenze.

Si dice quindi che nel sistema ci sono tutte queste valutazioni:

− una strutturale sull'assetto e sul contratto, che dice se quel contratto può ancora produrre effetti (Il contratto

può essere eliminato solo quando sia nullo, annullabile o rescindibile (e sul piano del rapporto quando ci sia

un fatto che intervenga e ne determini la risoluzione) → questo attiene all'eliminazione degli effetti del

contratto).

− Una valutazione sui comportamenti che dà luogo non ad un'azione di eliminazione degli effetti, ma al

risarcimento del danno (Il nostro codice poi contiene una clausola generale degli effetti che valuta i contegni

precedenti alla conclusione del contratto → dice che nella fase precedente le parti si devono comportare

secondo BF (dando rilievo quindi ai comportamenti).

− Poi c'è una norma ancora più generale (2043) che riporta il principio del neminem ledere → nessuno può

commettere un fatto illecito che cagiona ad altri il danno.

I critici dicono che se si ammette la possibilità di un'azione di danno, si finisce per svuotare il contenuto del contratto

→ questa autonomia non ci dovrebbe essere perché sarebbe un attentato gravissimo alla dinamica contrattuale ed alla

stabilità e correttezza del contratto.

Quindi l'autonomia dell'azione aquiliana va contro un sistema basato su istituti tipici e su un rilievo della

debolezza negoziale che è basato sulla norma.

Il contratto ha rilievo di legge tra le parti (come dice il codice) → ciò significa che finché le parti hanno manifestato un

consenso libero e consapevole nessuno può sindacare quella regola, oppure è possibile un controllo da parte

dell'ordinamento se quel contratto urta con altri valori del sistema?

Già il codice francese diceva che ci vuole un controllo sull'autonomia dei privati (eppure il cc francese era il trionfo

della libertà negoziale).

In realtà un controllo da parte dell'ordinamento sull'autonomia dei privati esiste già nel codice → quando si dice che

l'accordo se ha causa illecita, se questa manca e se è contrario al buon costume e all'ordine pubblico.

L'ordine pubblico è una clausola aperta già presente nell'art 6 del cc francese.

Quindi ci sono principi di ordine pubblico (che si possono astrarre in vari settori dell'ordinamento → famiglia,

contratto, successioni etc) → che sono regole che attestano un controllo necessario dell'ordinamento sull'assetto dei

privati (che non è dunque intangibile → quindi l'autonomia dei privati viene dopo la legge.

Un critico della sentenza della Corte di Appello e di questo orientamento ha detto che era in gioco la tenuta

dell'ordinamento e dei rapporti contrattuali.

Questo monito non è stato seguito dalla Cassazione, che ha ribadito la sentenza → c'era una linea di tendenza della

giurisprudenza della Cassazione che aveva sostenuto in altri casi punti analoghi (cioè il rilievo della BF e il rilievo

dell'azione di danno nell'offerta di pubblico acquisto) → La validità del contratto non pregiudica l'azione

risarcitoria quando vi sia stato un comportamento scorretto (per omessa informazione).

LA DEBOLEZZA → il problema di forza non è visto dal punto di vista economico. Nel caso specifico, prima della

sentenza di appello la forza contrattuale maggiore era quella di Cir (infatti Fininvest aveva proposto una transazione

proponendo 400 miliardi nei giorni immediatamente precedenti alla sentenza).

La sentenza della corte di appello aveva ribaltato le posizioni , così Cir aveva concluso la transazione a condizioni

sfavorevoli → da qui deriva la sua debolezza.

Un'altra critica riguarda la certezza del diritto.

3. CASSAZIONE (21255/2013)

La cassazione affronta una questione: se il non aver revocato la sentenza era ostativo di un'azione risarcitoria.

La sentenza conferma le sentenze di primo e secondo grado, modificando solo il quantum del danno ed intervenendo su

alcuni punti della motivazione di secondo grado.

Ci si chiede se sia compatibile un'azione di danno autonoma rispetto alle regole di validità → quindi ci si chiede se è

ammissibile un'azione di danno rispetto ad un contratto valido e non impugnato in presenza di comportamenti scorretti

nella fase precedente.

Secondo la Cassazione non aver impugnato per revocare la sentenza di appello non preclude un'azione di danni:

1° MOTIVO → per un motivo di carattere processuale che attiene al giudicato.<

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A.A. 2013-2014
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SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher olympedeg di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Vettori Giuseppe.