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La responsabilità
Responsabilità e disciplina costituzionale
L'amministrazione risponde dei danni ingiusti provocati dalla sua azione, svolta mediante strumenti pubblicistici o privatistici, a titolo di responsabilità extracontrattuale (cui si affianca anche una responsabilità precontrattuale e contrattuale), come qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento. Quindi, come la responsabilità civile dei privati trova la sua disciplina nel codice civile, così lo stesso vale per la responsabilità della pubblica amministrazione.
Si riteneva che l'amministrazione non dovesse rispondere civilmente dei suoi comportamenti, come gli altri operatori giuridici, poiché lo Stato sovrano, immune da responsabilità, era un soggetto dotato di prerogative speciali e la cui azione era rivolta alla tutela dell'interesse pubblico. Al privato danneggiato non spettava, quindi, alcun rimedio. Tuttavia, reggendosi il binomio
sovranità-immunità sui due cardini del potere speciale e della dimensione pubblica dell'interesse perseguito, caduti questi, il principio di immunità è stato lentamente superato. Da un lato, il potere esercitato non è più qualificato speciale e sovrano, sinonimi di immunità. Dall'altro, l'attività amministrativa si svolge in campi diversi e con strumenti diversi, tanto pubblicistici, quanto privatistici, e non è più supportata da un interesse pubblico unitario che pervade di sé ogni atto. Ne consegue che la responsabilità civile dell'amministrazione è pienamente assimilabile nella sua disciplina a quella degli altri soggetti di diritto comune (non incontra limitazioni). Anzi, per certi versi, tale responsabilità è ancora più ampia della responsabilità dei soggetti privati, perché essa si estende ad aree e profili che non rilevano perl'art. 28 cost. prevede che i privati possono essere chiamati a rispondere dei danni causati nell'esercizio di attività pubbliche o di pubblico interesse, secondo le modalità stabilite dalla legge (responsabilità da servizio pubblico). Inoltre, l'art. 28 cost. sancisce che i privati possono essere chiamati a rispondere dei danni causati nell'esercizio di attività private, secondo le modalità stabilite dalla legge (responsabilità civile).solo la responsabilità civile si estende in via solidale alla persona giuridica del singolo ente pubblico, in ragione delle sue più ampie risorse (rispetto a quelle personali del dipendente) che garantiscono meglio il ristoro e la riparazione del danno. Dove c'è responsabilità dell'agente c'è anche responsabilità dell'amministrazione. Il soggetto terzo danneggiato ingiustamente dal dipendente nell'esercizio dei compiti propri dell'amministrazione potrà quindi rivalersi non solo sul dipendente ma sull'amministrazione di appartenenza. Lo statuto del pubblico impiego (DPR 3/1957) costituisce una normativa generale sulla responsabilità dei dipendenti e dei funzionari che, pur nel rispetto della disciplina comune dell'illecito civile, prevede particolari modalità di attivazione. Con essa si definiscono il danno ingiusto e i criteri di imputazione della condotta dannosa, si determinano alcune fattispecie particolari.si indicano le modalità procedimentali per l'attivazione della responsabilità e si specificano, infine, le cause di esclusione (fra le quali rilevano l'esecuzione dell'ordine, la legittima difesa, l'azione o l'omissione costretta con violenza). Secondo questa disciplina, la responsabilità personale del dipendente è limitata ai casi di violazioni commesse per dolo o colpa grave, mentre la disciplina del codice civile comprende tutte le ipotesi di colpa. La pubblica amministrazione, quindi, risponde del danno provocato anche in caso di colpa lieve o quando l'agente resta anonimo. Ai fini dell'applicazione di tale statuto non è richiesto un effettivo rapporto di impiego, bensì è sufficiente che sussista un rapporto di servizio fra amministrazione e agente. In altre parole, la responsabilità per l'esercizio di attribuzioni o funzioni pubbliche può farsi valere sia nei confronti dei funzionari.professionali, sia nei confronti dei funzionari onorari. Il dipendente che agisce per finalità estranee all'attività della pubblica amministrazione, violando diritti dei terzi, è responsabile di quanto compiuto secondo le norme del codice civile, per cui risponderà anche per colpa lieve. Venendo meno, infatti, il collegamento tra danno provocato e esercizio dei compiti pubblicistici, non trova più applicazione lo statuto del pubblico impiego, che, definendo i criteri di imputazione della condotta, limita la responsabilità personale dell'impiegato. In tal caso, l'ente pubblico non deve rispondere dei danni arrecati dai propri dipendenti. È devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti (giudice contabile) l'azione di rivalsa dell'amministrazione, che abbia risarcito i danni arrecati a terzi dal pubblico impiegato. Quest'ultimo è responsabile, secondo quanto stabilisce il testo unico n. 3/1957, per la
violazione degli obblighi di servizio ed è tenuto a rifondere l'ente pubblico di quanto pagato a coloro i quali abbiano esperito con successo l'azione risarcitoria nei confronti dell'amministrazione. La struttura della responsabilità extracontrattuale dell'amministrazione Art. 2043 c.c.: qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Gli elementi necessari alla sussistenza di un illecito sono: - condotta colpevole: occorre verificare i criteri di individuazione della colpa e di imputazione della stessa colpa ad un soggetto. - l'evento dannoso: occorre individuare il rapporto di causa/effetto fra condotta ed evento dannoso. - l'ingiustizia del danno: occorre individuare i criteri secondo i quali un danno può essere qualificato come ingiusto. - l'impossibilità di cancellare il danno: Se fosse possibile cancellare il danno con strumenti.diversi, tornando alla situazione precedente al venire in essere del danno, non vi sarebbe bisogno di ricorrere ad un ristoro patrimoniale del sacrificio ingiusto subito dal danneggiato
La condotta colposa dell'Amm.ne: La difficoltà di applicare la categoria psicologica della colpa al funzionario, il quale svolge parti di un'attività frammentata che termina con l'adozione di un atto, frutto del lavoro di molte persone e molti apparati, ha avuto un risvolto giurisprudenziale ben preciso.
Prima della sentenza n.500-99 si è considerata sufficiente l'illegittimità dell'atto amministrativo, nella ovvia riconduzione di questo all'apparato che lo ha adottato, affinché si possa ritenere integrato il requisito della condotta colpevole, elemento necessario per la sussistenza di un illecito civile. Muovendo dall'equivalenza fra atto illegittimo e condotta illecita, se l'atto era ritenuto illegittimo dal giudice non occorreva
più un'apposita indagine sulla colpa dell'amministrazione, ma la colpa stessa si poteva presumere. Proprio questa equivalenza è stata messa in discussione dalla storica pronuncia (sentenza 500/99) della Suprema Corte, evidenziando diversamente la necessità, perché possa applicarsi l'art. 2043 c.c., di un'apposita indagine sulla colpevolezza dell'amministrazione. Quest'ultima si concretizza quando siano state violate le regole e i principi propri dell'azione amministrativa, come, ad esempio, l'imparzialità, il buon andamento, la ragionevolezza, la proporzionalità e l'adeguatezza. Si tratta, tuttavia, di un orientamento controverso nella giurisprudenza dei giudici amministrativi.
Danno ingiusto e il risarcimento: la condotta dell’amm.ne produce un danno ingiusto quando risulta lesa una situazione soggettiva meritevole di tutela, La giurisprudenza riteneva che si producesse un danno ingiusto, ai sensi dell'art.
2043 c.c., solo quando la condotta illecita dell'amministrazione risultasse lesiva di un diritto soggettivo. In quest'unico caso era possibile accedere al risarcimento, mentre per il danno arrecato ad un interesse legittimo si escludeva la risarcibilità. Esemplificando, mentre il privato leso da un provvedimento di espropriazione illegittimo poteva chiedere il risarcimento del danno al suo patrimonio, non altrettanto poteva realizzare colui il quale fosse stato destinatario di un invalido diniego di autorizzazione o di un'illegittima revoca di una concessione.
Il riconoscimento della risarcibilità del danno ingiusto provocato dalla condotta illecita dell'amministrazione, quando risulti lesa una situazione giuridica di interesse legittimo, è stato il prodotto di una pluralità di fattori, succedutisi nel tempo. In un primo momento, l'influenza del diritto comunitario ha introdotto il criterio del risarcimento del danno in materia di appalti.
indipendentemente dalla natura dellasituazione soggettiva lesa (dir. n. 89/665/Cee e n. 92/13/Cee). Successivamente, la risarcibilità degli interessi legittimi ha trovato riconoscimento prima nella giurisprudenza ordinaria (sentenza n. 500/99della Cassazione) e, poi, in sede legislativa (legge n. 205/2000). Le azioni di tutela contro l'illecito civile dell'amministrazione: azione di annullamento o azione di risarcimento. La tutela è azionabile dinanzi al giudice amm.vo o ordinario a seconda della competenza. Nell'attuale distribuzione di competenze, il giudice amministrativo, oltre alla connaturata tutela annullatoria, conosce della maggior parte degli illeciti civili dell'amm.ne, perché conosce di tutti i danni agli interessi legittimi e dei danni ai diritti soggettivi della giurisdizione esclusiva; mentre dinanzi al giudice ordinario è azionabile la tutela risarcitoria in tutti gli altri casi. Tutela annullatoria (demolitoria): esperibilesolo dinanzi al giudice amministrativo. Tramite il giudizio di annullamento, si elimina dal mondo giuridico l'atto o il comportamento dell'amministrazione lesivo del diritto o dell'interesse del privato. Tale "demolizione" è prodromica al riconoscimento del diritto o dell'interesse del privato da parte del giudice amministrativo.