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CANTO VI

Prosegue la narrazione dopo il collasso di Dante, che cade come un morto poiché partecipe sensibilmente eccessivo/eccessivamente sensibile della vicenda di Paolo e Francesca.

In questa sua partecipazione, quindi, si autocensura con questa "morte metaforica" facendo capire che, se avesse continuato a trattare di poesia cortese ed amore malsano, avrebbe interrotto il cammino.

Dante vuole far conoscere questa poesia che l'ha, di fatto, condotto alla selva oscura: quella stessa poesia umana, peccatrice che lo condusse, appunto, a peccare.

La poesia definitiva di Dante si vedrà quando sarà illuminato dalla grazia del paradiso: poesia, però, ancora prematura.

Dante e Virgilio, attraverso questa morte metaforica, entrano nel terzo cerchio. I due si ritrovano in un mondo in parte diverso.

C'è ugualmente una sorta di meteorologia deviata, infernale.

Quivi, i golosi, descritti da Dante col già visto linguaggio che tende a descrivere

Il Canto VI della Divina Commedia è caratterizzato dallosquallore della loro condizione, e dell'inferno in generale. Da un punto di vista linguistico e stilistico, a Dante interessa far capire la pesantezza e la difficoltà del procedere, determinato dal peccato della gola. Una condizione anche di coinvolgimento sensibile: quivi, i sensi più bassi ed umani sono coinvolti.

Dante non usa costruzioni letterarie particolarmente attraenti: semplicemente descrive, facendo parlare la materia per ciò che davvero è. Anche per questo, il Canto VI è uno dei canti più realistici della Divina Commedia: canto dove il linguaggio comico-realistico è messo in opera in sommo grado. Vi è un vistoso descrittivismo, una presenza molto concreta di figure oscure sulla scena: figure dominate dal peccato, come seppellite dalla pioggia e dal fango. A confermare questo fatto, in questo canto vi è una sola similitudine, ad indicare il volersi frenare di Dante da un punto di vista artistico-retorico.

Dante ha voluto spostare, per un momento, la propria arte retorica e descrittiva concentrandosi su una descrizione più rude, più cruda: tutte le cose si presentano per ciò che davvero sono. Proprio per questa scelta accentuatamente realistica di Dante, qui abbiamo messo in primo piano la capacità del Dante osservatore del mondo e della realtà: un Dante capace d'osservare la materia reale, che cerca una brevità espressiva quasi ad ogni verso tanto è che, il Canto VI, è uno dei canti più brevi della Commedia. Prima Terzina:
Quando ripresi i sensi, quelli che smarrii assistendo al pianto doloroso dei due cognati chiusi nel secondo cerchio, pianto che per l'estrema tristezza aveva sconvolto il mio animo, vidi che ero già circondato da nuove pene e da nuovi condannati in qualunque direzione guardassi, o puntassi lo sguardo.
Già in questi primi 6 versi viene ricordato l'essere sensibile di Dante, che

porta allettore le proprie emozioni, le proprie reazioni fisiche agli orrori infernali. V'è sempre un guardare, come in altri Canti. Dante è pienamente preso da questa battaglia di pensieri e di sensazioni, che mostrano questo suo essere preso, assieme ai tormentati, da una condizione fortemente sensibile e fortemente legata ai sensi umani, ed al peccato stesso. sensibilità che, al verso 21, viene descritta anche dal termine "Miseri Profani", riferito ai dannati del suddetto cerchio. Tutto gira intorno a questa "tristizia" che, per dirla alla "San Tommaso", porta Dante a fronteggiare la condizione umana presa dalla condanna. Il Canto inizia in modo basso, quasi sommesso: tutto è uguale, tutto è uniforme, tutto è squallido alla stessa maniera. V'è un abbassamento del potenziale rappresentativo da parte di Dante in questa prima descrizione del terzo cerchio, quasi a far vedere come qui manchi questo

dinamismo che miri ad un obbiettivo: lo stesso di coloro che sperano in una futura salvezza. Questo è il deserto dei sensi, che prende per l'eternità coloro che sono caduti nel peccato, puniti poi con la sofferenza eterna. Questa rappresentazione, tra i tanti altri luoghi infernali si ritrova nel Canto XIII, in particolare nel bosco dei suicidi.

Il peccato di Gola, inoltre, è un peccato d'incontinenza analogo a quello dei lussuriosi poiché entrambi non sono riusciti a trattenere i propri istinti. Questa rappresentazione grigia, monotona e lineare si contrappone a quello che fu uno dei peccati giocati eccessivamente sul dinamismo, su un continuo andare oltre i limiti imposti alle regole, fatte comunque le dovute analogie.

Mi ritrovo nel mezzo d'una pioggia oscura e perpetua. L'aria e la terra sono sporcate da piogge e grandini che fanno emanare fetore a quest'ultima stessa. V'è una pioggia antitetica rispetto a quella dell'esodo,

dove Dio afferma il piovere dipane dal cielo. Qui non c'è una tale manna dal cielo, quanto più una caduta punitrice e divina.

L'acqua è sporca, nera, prende il colore dell'aria tenebrosa in cui si riversa. Una sensazione posta in grande evidenza da Dante in punta di verso "Pute la terra".

Versi Seguenti:

Cerbero, bestia crudele, con tre teste carinamente abbaia sui dannati qui sommersi. c'è un richiamo al linguaggio petroso, all'amore negativo, da Dante rappresentato nelle canzoni petrose degli anni '90 del 200.

Riportare quest'esperienza poetica ha un senso, e viene poi citata nuovamente al verso 24, con una citazione al maestro provenzale del linguaggio petroso: Arnaut Daniel.

Cerbero è raffigurato come l'anticristo, analogamente a come veniva raffigurato da Gioacchino da Fiore (basti vedere "di Visioni", volume con illustrazioni apocalittiche probabilmente maneggiato da

Dante). L'immagine dell'anticristo, però, fu diffusa a livello popolare dagli almanacchi del tempo: fogli illustrati con prediche, ammonizioni o premonizioni. Questi, chiamati Vaticinia Pontificum, raffiguravano vari papi e le loro profezie. L'immagine dell'anticristo, nella Commedia, vuole rappresentare l'anti-Trinità: una letterale parodia a questa stessa, come poi si vedrà anche nella raffigurazione di Lucifero stesso, in base a quanto sopra detto. Come tutti i sesti canti delle tre cantiche, anche questo è un canto politico, il primo. I commentatori dell'epoca tendevano a cercare metafore in ogni descrizione Dantesca: Cerbero non fu esentato da questo trattamento d'analisi. Gli occhi rossi rappresentano la ferocia, le tre bocche invece l'emblema di quella discordia interna, di quello squilibrio del corpo della città di Firenze che non riesce a portare pace a quelle sue tensioni e lotte. Versi Seguenti: Gli occhi

ha rossi, le bocche bavose e urlanti: il ventre largo e le zanne di fuori. Graffiae ferisce gli spiriti, "iscoia/scuoia" e squarta. "Iscoia" è ciò che si chiama "Lexio difficilior": è banale sostenere che Dante abbia scritto "ingoia" (sinonimo più comune, ripetitivo di "iscoia", che vuol dire scuoiare) che è la forma più semplice aggiunta dai copisti meno attenti. I più attenti, invece, individuarono questo termine più raro, ecco. Iscoia/scuoiare rappresenta più realisticamente l'atteggiamento di Cerbero, rispetto all'ingoiare.

Versi Seguenti: La pioggia eterna fa urlare questi dannati come cani, infelici si rotolano di continuo cercando invano di ripararsi con un lato sempre diverso del corpo. Cerbero, quella bestia ripugnante e disgustosa, appena ci vide, spalancò le tre fauci e mostrò le zanne. Tutto il suo corpo era scosso da un violento

tremito.Il termine "Miseri Profani" riconduce alla leggenda biblica di Esaù, che vendette la primogenita per un piatto di lenticchie, un richiamo anche alle metamorfosi di ovidio, poi ritrovato nel Canto XXIII del purgatorio, dove si rappresenta la fame profana di Erisitone che, appunto, finirà per rivolgere contro sé stesso.Il termine "profano" in questo caso, che sia di derivazione classica o biblica, si riferisce alla miseria della gola, con l'incontinenza della gola portata all'estremo.Cerbero viene definito "Grande Vermo": epiteto con accezioni profondamente negative, poi ritrovate anche nella descrizione di Lucifero.Cerbero è in continuo movimento: citazione da Arnaut Daniel (lo ferm voler) dove, però, questo dinamismo incontenibile è quello dell'amante. Un dinamismo apparentemente positivo, messo poi in parallelo da Dante: parallelismo tra l'amore deviato che porta all'agitazione

e quello di Cerbero, d'un mostro infernale simbolo della "Gastrimargia"/l'eccesso del desiderio, di gola ecco. Per placare Cerbero, Virgilio asseconda il peccato gettando della terra in bocca a Cerbero. Questo gesto già viene rappresentato da Virgilio nell'Eneide dove la Sibilla Cumana, negli inferi, getta a Cerbero una focaccia con erbe probabilmente allucinogene, per soddisfare una fame eterna. Qui, invece, Dante fa compiere a Virgilio un gesto che ha invece un riscontro allegorico e "cristianeggiante": butta in una delle gole di Cerbero non tanto una pietanza, quasi a compiere un rito di Captaziae Benevolenziae, quanto più quella terra fetida dove stanno i golosi. Questa un'ecobiblica dal libro della Genesi, in quel luogo in cui Dio manda la maledizione finale contro il serpente che ha costretto Eva ed Adamo al peccato. Una maledizione che consiste in "terram comedes, curtis diebus vite tue" (terra saràciò che mangerai per il resto della tua esistenza). Versi 28-33: Questi versi segnano il passaggio di Dante e Virgilio attraverso il Terzo Cerchio, quello dei golosi (Gastrimargia). Qui la prima ed unica similitudine del Canto: Come quel cane che abbaia dalla fame E si calma col pasto sotto i denti, perché si sforza solo di sbranare quel cibo allo stesso modo si acquietarono le tre facce sporche del demonio Cerbero che, coi suoi latrati, stordisce i propri peccatori a tal punto da volerli rendere sordi. Non c'è scampo alla contorta sensibilità di queste anime: tutto ciò che possono realizzare è penalizzarsi ancor di più, tale è il tormento che li perseguita. Verso 30, "Pugnare/Pugna": secondo alcuni deriva direttamente dal latino "Pugnare=lottare, combattere" mentre, secondo altri, deriva dal provenzale "pognar= affaticarsi, impegnarsi in qualche cosa". In ogni caso il significato riconduce al“darsi da fare”. Se ci si
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A.A. 2020-2021
82 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GTerra9 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Ciccuto Marcello.