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ANGELUS NOVUS
Saggio : “Il narratore”
Saggio del 1936. contiene il rapporto tra la storia e la letteratura, un approfondimento della
distinzione tra romanzo e racconto, e un approfondimento della nozione di memoria. Benjamin si
rifa a Leskov, contemporaneo di Dostoevskij, autore russo, scrittore di racconti, con l'elemento
dell'apocatastasi, questo “dialogo” permette a Benjamin di approfondire alcuni temi. “Il narratore
per quanto il suo nome possa esserci familiare non ci è affatto presente nella sua viva attività. E'
qualcosa di già remoto”. Il primo aspetto che Benjamin ci dà è che la figura del narratore è una
figura che appartiene al passato.
Pag. 247 - “L'arte di narrare si avvia al tramonto. Capita sempre di più di rado d'incontrare persone
che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e l'imbarazzo si diffonde sempre più spesso
quando, in una compagnia, c'è chi esprime il desiderio di sentir raccontare una storia. E' come se
fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di
scambiare esperienze” → ciò che è venuto meno è la capacità di narrare le storie, perché è venuta
meno l'esperienza. Siamo in una società della perdita dell'esperienza, dell'ammutolire. Pag. 248 -
“Una causa di questo fenomeno è evidente: le azioni dell'esperienza sono cadute. E si direbbe che
continuano a cadere senza fondo (...) con la guerra mondiale cominciò a manifestarsi un processo
che da allora non si è più arrestato. Non si era visto, alla fine della guerra, che la gente tornava dal
fronte ammutolita, non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile? Ciò che poi, dieci anni
dopo, si sarebbe riversato nella fiumana dei libri di guerra, era stato tutto fuorché esperienza passata
di bocca in bocca. (…) Una generazione che era ancora andata a scuola col tram a cavalli, si
trovava, sotto il cielo aperto, in un paesaggio in cui nulla era rimasto immutato fuorché le nuvole, e
sotto di esse, in un campo magnetico di correnti ed esplosioni micidiali, il minuto e fragile corpo
dell'uomo” → 1 GM mostra la fragilità del corpo dell'uomo e lo ammutolisce. Perché la nostra
società ha perso l'esperienza?
Il racconto comunica esperienze, il romanzo cerca di darci un senso. Nella nostra società abbiamo
solo esperienze vissute, cioè abbiamo una visione individualistica, soggettivistica, tutto ciò che
accade ci fa dire l'ho fatto, l'ho visto io ecc.. l'esperienza invece è una deposizione dell'io, una messa
in questione dell'io, è un'esposizione dell'io all'altro, non domina più la soggettività, l'io, nel mondo
borghese ci sono tanti io, pensano di essere autentici, invece nulla è più falso dell'io e per questo
viene meno l'esperienza.
Il primo grande romanzo è il Don Chisciotte, con il romanzo viene meno l'esperienza.
Nel saggio su Leskov abbiamo il discorso sul venir meno dell'esperienza, nel secondo saggio su
Baudelaire invece abbiamo la contrapposizione esperienza e vissuto.
Nella nozione di Benjamin di esperienza c'è l'esperienza dell'aura, un'esperienza che lascia essere,
così come non ci dobbiamo appropriare del passato. L'esperienza è lasciar essere, e questo
atteggiamento si deve avere con le opere d'arte. Dobbiamo cogliere un loro auto-manifestarsi, così
non sono oggetti. In questa caratterizzazione dell'esperienza gioca un elemento di prossimità e
distanza, di lontananza del vicino, implica una prossimità mantenendo comunque una distanza →
esperienza dell'aura. Ci avviciniamo a qualcosa ma non in base al nostro io, al nostro
inquadramento concettuale. Per Hegel l'istanza appropriativa della conoscenza deve sempre mettere
in crisi se stessa, rivalutarsi.
Nel saggio su Leskov l'esperienza, che è alla base del racconto dei narratori, quindi l'esperienza
umana (es. contadino, marinaio, artigiano), è comunicabile, è radicata in quei comportamenti umani
ancora legati a un rapporto diretto tra le persone (“la narrazione, come fiorisce nell'ambito del
mestiere – contadino, marittimo e poi cittadino – è anch'essa una forma in qualche modo artigianale
di comunicazione.”).
“ La teoria del romanzo” (1916) → giovane Lukacs → è costruita sulla distinzione tra l'epica e il
romanzo. L'epica è una sorta di matrice del romanzo. Ma come nasce il romanzo nel mondo
moderno? 1 con la stampa. Benjamin riprende da Lukacs l'idea che il romanzo è romanzo borghese,
l'idea centrale del romanzo è l'individuo nel suo isolamento e la trasformazione delle forme epiche.
Don Chisciotte mostra una crisi del racconto, in lui la volontà di aiutare gli altri è frustrata, è un
giusto che non può essere più giusto.
Pag. 251 - “Il primo segno di un processo che porterà al declino della narrazione è la nascita del
romanzo alle soglie dell'età moderna (...) la diffusione del romanzo diventa possibile solo con
l'invenzione della stampa (...) il romanzo si distingue da tutte le altre forme di letteratura in prosa –
fiaba, leggenda, e anche dalla novella – per il fatto che non esce da una tradizione orale e non
ritorna a confluire in essa. Ma soprattutto dal narrare. Il narratore prende ciò che narra
dall'esperienza – dalla propria o da quella che gli è stata riferita -; e lo trasforma in esperienza di
quelli che ascoltano la sua storia... il luogo di nascita del romanzo è l'individuo nel suo isolamento,
non è più in grado di esprimersi in forma esemplare, è egli stesso senza consiglio e non può darne
ad altri... il primo grande libro del genere, il Don Chisciotte mostra subito come la magnanimità,
l'audacia, la volontà di aiuto di uno degli esseri più nobili sono affatto prive di consiglio e non
contengono un briciolo di saggezza”. Elemento importante dell'esperienza è cercare un
collegamento tra esperienza collettiva e esperienza individuale. Nel narratore questo collegamento
c'è e cambia il rapporto con la morte, l'esperienza individuale non rappresenta uno scandalo
collettivo, non c'è la solitudine radicale. Il romanzo è individualismo, senso della vita, memoria
interiore.
Rapporto strettissimo iniziale tra l'epica e la storia → Erodoto (“il primo narratore greco fu
Erodoto”). Pag. 260 “Ogni analisi di una determinata forma epica deve occuparsi del rapporto in cui
essa si trova con la storiografia. Anzi possiamo andare oltre e porci il problema se la storiografia
non rappresenti il punto di indifferenza creativa di tutte le forme dell'epica.” la storiografia
(Erodoto) è il luogo in cui ancora si distinguono.
Legame tra cronista e narratore → riferimento alle tesi (“il cronista è il narratore della storia”). Una
differenza originariamente non si distingue, poi lo storico scrive storia, spiega gli eventi, il cronista
la racconta, vedendola alla base del piano imprescrutabile della salvezza divina, interpreta, non si
impegna nella ricostruzione dell'esatta concatenazione degli eventi, il cronista vede il modo in cui
gli eventi hanno fatto il corso del mondo. Divide storico e cronista, romanzo e racconto. “Che il
corso del mondo sia determinato dalla provvidenza o puramente naturale, non fa alcuna differenza”
→ la storia può essere o profana o disegno di Dio. A Benjamin interessa far vedere come le due
cose sono legate. “Nel narratore (1800)il cronista si è conservato in forma diversa, e per così dire
secolarizzata. L'opera di Leskov è di quelle che documentano più chiaramente questo rapporto. Il
cronista col suo orientamento provvidenziale, il narratore con il suo orientamento profano, hanno
entrambi tanta parte in essa che è difficile decidere se il fondo su cui spiccano è quello dorato di una
visione religiosa o quello multicolore di una visione mondana del corso del mondo” → la
secolarizzazione passaggio da cronista a narratore, è ciò che mantiene legato visione mondana e
religiosa. “<<negli antichi tempi quando ancora le pietre nel grembo della terra e i pianeti nelle
altezze del cielo si preoccupavano della sorte degli uomini; non come oggi, che (..) c'è una quantità
di nuove pietre tutte misurate e pesate, e di cui si è calcolata la densità e il peso specifico, ma che
non ci dicono più nulla e non ci procurano più alcun vantaggio>>” (es. racconto delle pietre →
grado 0 delle creature, inanimate, elemento naturale più lontano da Dio, pietra verde al mattino
rossa la sera, simbolo della morte violenta dello zar, la storia naturale e della salvezza sono in un
nesso e non vanno separate).
Pag. 262 → “La memoria è la facoltà epica per eccellenza” → la memoria ha a che fare con la
morte, non c'è nessun uomo che non ci lasci un frammento di memoria. Mnemosine → musa
dell'epica. Memoria legata all'epica e alla morte. Il ricordo ha a che fare con la storiografia, punto di
differenza creativa delle forme di epica, dentro l'epica si distinguono la narrazione e il romanzo.
Tutte queste forme sono permeate da forme di memoria. Anche il racconto ha radice nella memoria
epica, anche il romanzo, perché il romanzo è la forma d'arte che più accoglie il tempo nella serie dei
suoi principi costitutivi (“l'epos racchiude in sé, in stato per così dire di indifferenza, la narrazione e
il romanzo. Quando poi, nel corso dei secoli, il romanzo cominciò a uscire dal grembo dell'epos,
apparve che in esso l'elemento musale dell'epico, il ricordo, assume una forma affatto diversa che
nel racconto. Il ricordo è l'elemento musale dell'epica in senso lato (…) ma ad esso si oppone un
altro principio anch'esso musale (…) la reminiscenza o ricordo interiore (memoria volontaria,
Eingedenken), che, come elemento musale del romanzo, si affianca alla memoria, elemento musale
del racconto”).
Nel racconto abbiamo una diversa forma di memoria. “Ogni romanzo è una lotta contro la potenza
del tempo”, cerca il significato, il senso della vita, mente il racconto cerca la morale della storia.
Noi il senso della vita lo capiamo nella morte, nel romanzo quello che conta è la morte dell'eroe, il
romanzo ha una fine e in questa fine noi intuiamo il senso, i