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E CAPEX
Ricavi DINAMICA
ECONOMICA NWC
EBITDA DINAMICA FCFO DINAMICA
(Fondi)
EBIT FCFE FINANZIARIA
Tot
EBT PATRIMONIALE
impieghi
RN EQUITY
PFN
Tot fonti
Nelle analisi di bilancio svolte dagli analisti internazionali si tiene conto prevalentemente della dinamica
finanziaria, poiché la dinamica economica e quella patrimoniale fanno parte della “tradizione” contabile e
ragionieristica italiana e europea. Gli analisti internazionali preferiscono la dinamica finanziaria perché gli
altri due prospetti sono frutto di finzioni contabili in quanto in un’azienda a chiusura dell’esercizio ci sono
dei cicli ancora non conclusi, mentre redigendo il rendiconto, quindi seguendo il denaro, si effettua una
valutazione più oggettiva.
In analisi, nella situazione economica, oltre a presentare i valori assoluti delle grandezze è opportuno
rapportarli ai ricavi così da rendere più agevole l’analisi stessa.
Si supponga che l’EBITDA valga l’80% dei ricavi, ciò vuol dire che la gestione caratteristica dell’azienda libera
risorse pari all’80% dei ricavi. Per tanto si ha molta capacità d’investimento.
Dopodiché si va ad analizzare l’EBIT, poiché la distanza tra EBITDA e EBIT dipende da tre cose:
ammortamenti, accantonamenti a fondo TFR e accantonamenti a fondi rischi. Si immagini che l’EBIT sia il
40% dei ricavi e si assuma che il fondo TFR sia molto basso, vi sono due possibili scenari, uno è quello in cui
l’azienda ha investito molto in Capex e quindi avrà degli ammortamenti sostanziosi, e i flussi di cassa
operativi avranno segno negativo poiché assorbiranno liquidità, l’altro scenario è quello per cui l’azienda ha
accantonato una cospicua quantità di denaro a fondo in previsione di un evento avverso.
Una volta analizzato l’EBIT si passa ad analizzare l’EBT per constare quale tipo di capitali si è utilizzato per
finanziare un’eventuale investimento in Capex, anche qui gli scenari possono essere due, il primo è quello
in cui gli investimenti sono stati effettuati con l’Equity quindi la distanza tra EBIT e EBT sarà molto ridotta (si
assumi che l’EBT sia il 35% dei ricavi) in questo caso il flusso di cassa all’Equity avrà segno negativo così
come il flusso di cassa operativo , l’altro scenario è quello in cui l’investimento in Capex è stato finanziato
con capitale di debito quindi la distanza tra EBIT e EBT sarà molto ampia (si assumi che l’EBT sia il 10% dei
ricavi).
Jacopo Pagliaccia
Si ipotizzi una situazione in cui: 2015 2016
FCFO 10 5
Oneri Fin -3 -8
PFN 5 7
FCFE 12 4
In questo caso nel passaggio dal 2015 al 2016 il FCFO si contrae a causa degli investimenti in Capex,
ovviamente finanziati con capitale di debito dato che la PFN si è espansa. L’espansione della PFN, per sua
natura, genera maggiori Oneri finanziari, che devono essere corrisposti a chi ha prestato il denaro. Non
essendo il FCFO sufficiente a garantire la corresponsione degli interessi, si è costretti a indebitarsi
ulteriormente per pagare i dividendi e gli oneri finanziari, questo ulteriore indebitamento genererà altri
oneri che dovranno essere ripagati con l’indebitamento etc. etc. Questa situazione patologica è chiamata
Spirale del debito o Dissesto di struttura finanziaria. Lezione del 17/10/2016
La Classificazione dei costi
Nella classificazione dei costi bisogna tener sempre conto di caratteri essenziali.
Contabilmente, si sa quando si ha un costo e quando quel costo e di competenza dell’esercizio, quello che
interessa ai fini dell’analisi è come analizzare e gestire il costo.
Si possono utilizzare diverse classificazioni di costo, in ragione del loro comportamento ovvero a seconda di
come quei costi si comportano si possono classificare in diversi modi.
Una prima tipologia, utile ai fini dell’analisi, e quella di classificazione dei costi in ragione del volume di
attività.
NB: i tipi di classificazione dei costi si distinguono dal tipo driver utilizzato per la classificazione (in questo
caso è rappresentato dal volume di attività).
Per volume di attività si possono intendere: o le merci vendute o le merci prodotte, la differenza tra le due
quantità rappresenta le rimanenze, se invece la differenza è zero allora la quantità prodotta coincide con la
quantità venduta. R = P * Q
t u ricavo totale
C = C * Q
t u costo totale
Nel Budget si è soliti partire dalla quantità attesa da vendere perché si regola la produzione dell’anno
successivo sull’analisi della domanda di mercato e sull’andamento delle vendite dell’anno precedente.
Pertanto le quantità da produrre sono effetto delle quantità che si attendono di vendere più l’andamento
delle giacenze e scorte che si vogliono avere.
Jacopo Pagliaccia
Quando si detengono grandi quantità di rimanenze, possono essere intese in termini analitici come
immobilizzazioni, considerabili come investimenti, da qui le rimanenze prendono il nome di scorta stabile
poiché quel volume di rimanenze viene immobilizzata e rimane strutturalmente all’interno del magazzino.
Per tanto il magazzino si divide nella parte che si iscrive nella Capex [parte non rotante in termini di valore]
e la parte che si iscrive nel circolante.
Il Costo Fisso e il Costo Variabile sono le grandezze più importanti in analisi poiché tutti i costi aziendali si
dividono in queste due tipologie di costo.
Costo Variabile: Per costo variabile si intende quel costo che dipende strettamente dalla quantità prodotta,
infatti al variare del volume di produzione variano anche i costi variabili.
Q La distanza tra le due curve
indica il margine di
contribuzione dei ricavi alla
copertura dei costi fissi.
(P -C )*Q
u Vu
R P Q*C Q
t u v
C R -C
vt t Vt
CF T 1
R, C Margine contribuzione 0
Margine contribuzione 1
CF Q
Il secondo grafico indica due situazioni, uno in cui il margine di contribuzione è totalmente al di sopra dei
costi fissi e quindi si realizzerà un profitto, nel secondo grafico alcune porzioni della curva si trovano al di
sotto della curva dei costi fissi pertanto si avrà una perdita
Nel lungo periodo i costi fissi non saranno mai una costante poiché sono soggetti a variazioni.
Jacopo Pagliaccia
La distinzione tra costo fisso e costo variabile avviene esclusivamente all’interno di un determinato arco
temporale e su una certa capacità produttiva, che per definizione è limitata.
La distanza tra costo fisso, che è un flat nella capacità produttiva limitata, e costo variabile, che si muove
secondo l’andamento del ricavo totale, rappresenta il rischio.
Se il margine di contribuzione è più alto dei costi fissi si ha profitto. [margine contribuzione 0]
Se il margine di contribuzione è più basso dei costi fissi si ha perdita. [margine contribuzione 1]
Lezione del 18/10/2016
Per costo fisso s’intende quel costo che non varia rispetto alla quantità prodotta.
I costi fissi fanno riferimento a una serie di scelte aziendale che hanno effetti di lungo periodo, e nella
maggior parte dei casi determinano qual è la capacità di produzione in termini di tecnici in riferimento agli
ammortamenti, sia in termini di costi per il personale.
Dal punto di vista analitico è preferibile un’azienda con un margine di contribuzione più basso, nel caso in
cui l’azienda operi in un mercato volatile, mentre è preferibile un’azienda con margine di contribuzione più
alto in caso di operatività in mercati stabili.
Un’azienda con margine di contribuzione più basso tende a marginalizzare di meno, in quanto
caratterizzata da un elevato volume di costi variabili, al contrario l’azienda con margine di contribuzione più
altro tende a marginalizzare di più poiché caratterizzata da una presenza di costi fissi maggiore.
I costi fissi si dividono in:
Costi impegnati o di capacità: sono quei costi fissi che si caratterizzano dal fatto che dispiegano gli effetti in
un tempo medio lungo e misurano la capacità di produzione. Un esempio di costo fisso impegnato è
l’espansione della Capex. Un aumento della Capex, se non sfruttato, genera inevitabilmente altri costi, tali
costi vengono definiti come costi per capacità inespressa.
Costi Discrezionali: sono costi fissi che sono soggetti alle decisioni che hanno effetto nel breve periodo. Ad
esempio una campagna pubblicitaria è un costo discrezionale perché è a discrezione del manager
effettuarla o meno, in più (si immagini che la campagna duri per un intero anno) se il manager non decida
di rinnovarla il costo di quest’ultima si annulla.
I costi variabili si dividono in:
Costi di produzione variabili: sono quei costi che attengono alla produzione in senso stretto ad esempio le
materie prime.
Costi commerciali variabili: sono quei costi variabili che attengono a incentivi, provvigioni, sconti e il costo
del trasporti.
L’elemento che rende diversa la natura dei costi variabili è che i costi di produzione variabili fanno
riferimento alla quantità prodotta, mentre i costi commerciali variabili fanno riferimento alla quantità
venduta. Le due quantità coincidono solo nel caso di rimanenze uguali a zero.
Un altro di costo di produzione particolare è la MOD (manodopera diretta), per manodopera diretta
s’intende quel costo di produzione variabile che insiste solo sulla produzione (in Italia non vale questo
discorso a causa della legislazione in materia di lavoro dipendente) tutto il personale restante non definibile
come MOD è considerato costo fisso per l’azienda.
Jacopo Pagliaccia Lezione del 19/10/2016
Costo semi-variabile: è un costo che ha una parte interna di costo fisso e una parte variabile, ovvero una
parte del costo non varia al variare del volume di output [parte fissa] mentre l’altra varia al variare della
produzione [parte variabile].
C CSV COSTO SEMI-VARIABILE
CV CF
Q
Costo a gradino: indica quant’è il costo per stock di materie prime, cioè, l’ampiezza del gradino indica il
livello di produzione che si può effettuare con uno stock mentre l’altezza rappresenta l’aumento del costo
per uno stock di materie prime in più. In questo caso se si indicano le materie prime non più come unità
singole, ma come unità di stock si può ottenere, approssimando a 1 gli stock, una retta che esemplifica
l’analisi. La curva a gradini indica il costo
degli stock presi singolarmente,
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