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Conflitto Israelopalestinese
Nel XIX secolo la Palestina (che allora comprendeva l'intero territorio di Israele, Cisgiordania e
Striscia di Gaza) era una società prevalentemente musulmana (86%), ma anche cristiana (10%) ed
ebrea (4%). A complicare un quadro di convivenza pacifica, interviene però il movimento sionista
fondato da Theodor Herzl.
Nel 1897 si tiene il primo convegno mondiale sionista a Basilea e negli stessi anni inizia
l'immigrazione verso le terre palestinesi. L'obiettivo, è quello di ridare uno stato alla popolazione
ebraica. Finché i numeri dell'immigrazione restano contenuti, la popolazione araba decide di non
reagire, le cose cambiano quando i sionisti iniziano l'acquisto di terre, che vengono occupate e che
non possono più essere acquistate dalla popolazione araba. Nei primi dieci anni del 1900 nascono i
primi movimenti nazionalisti arabo-palestinesi con l'obiettivo di respingere quella che ormai sta
prendendo le forme di un'invasione.
La situazione si mantiene così per qualche tempo, fino alla fine della prima guerra mondiale,
quando avviene qualcosa che cambia gli equilibri geopolitici: cade l'impero ottomano, il cui
dominio sulla Palestina era durato per quattro secoli. La Società delle nazioni dà mandato alla Gran
Bretagna di amministrare i territori palestinesi.
Qual è stato davvero il ruolo della Gran Bretagna? Lo scopo doveva essere quello di aiutare la
popolazione locale a formare le proprie istituzioni, ma già nel 1917 il ministro degli Esteri parla
della possibilità di fondare da una "focolare nazionale" che possa ospitare gli ebrei dispersi nel
mondo, senza che questo pregiudichi i diritti delle comunità non ebraiche in Palestina.
Non si parla esplicitamente di creare uno stato nei territori palestinesi, ma l'immigrazione sionista
continua ad aumentare: negli anni '20 gli ebrei sono ormai il 10% (84mila) del totale e anche in
questo decennio e in quello successivo si registrano numerosi scontri: alla fine degli anni '30 gli
ebrei sono 360mila. Il tutto mentre il Territorio Palestinese è sotto la guida britannica.
La situazione non fa che complicarsi con il passare del tempo, con scontri sempre più accesi tra i
gruppi paramilitari dell'una o dell'altra fazione.
Nel 1937 arriva la prima proposta di dividere la Palestina in due, ebrei al nord e arabi al sud; ma sono
proprio i palestinesi a rifiutare.
Nel 1939, gli inglesi cambiano atteggiamento: nel loro libro bianco provano a porre un freno
all'immigrazione, ponendo ancora cinque anni di tempi per gli ebrei che volessero raggiungere la
Palestina e in un massimo di 75mila. Sono però, ovviamente, gli anni di Hitler: gli ebrei ignorano il
libro bianco e grazie all'appoggio degli Stati Uniti raggiungono in massa la futura Israele. Alla fine
della seconda guerra mondiale, gli ebrei sono il 30% del totale della popolazione.
Nel 1947 l'Onu propone di dividere i territori in due parti, il 55% per lo stato ebraico il resto per i
palestinesi. Il giorno dopo il voto favorevole alla proposta, la guerriglia araba riprende,
concentrandosi sugli insediamenti dei coloni e dando il via a scontri di una violenza senza precedenti.
Nel 1948 la Gran Bretagna si ritira dal proprio mandato, lasciando il paese in balia del caos e dei
gruppi paramilitari. Tra il 14 e il 15 maggio 1948, contemporaneamente al ritiro degli ultimi soldati
britannici, David Ben Gurion, capo del governo ombra sionista, proclama l'indipendenza dello
"Stato ebraico in terra di Israele", affermando nella dichiarazione di indipendenza di "lanciare un
appello agli abitanti arabi dello Stato di Israele volto a preservare la pace e a partecipare alla
costruzione dello Stato sulla base di piena e indistinta cittadinanza e legale rappresentanza in tutte le
istanze, temporanee e permanenti. Lo Stato di Israele è pronto a fare la propria parte in uno sforzo
comune per il progresso dell'intero Medio Oriente". La spartizione nei due stati prevista dall'Onu non
avrà mai luogo: inizia quella che diventerà la prima guerra arabo- israeliana, tra il '48 e il '49.
Israele conquista i territori con la sola eccezione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Da lì in
avanti, la storia è ancora lunga.
Perché la guerra?
Il conflitto arabo-israeliano, che da cinquanta anni ha trasformato la terra di Palestina in un campo di
battaglia permanente, è un prodotto tragico del nazionalismo, inserito in un contesto di forte
conflittualità religiosa.
Israele, stato indipendente dichiarato il 14 maggio 1948, si costituisce al termine di una
contraddittoria politica di decolonizzazione attuata con gravissime responsabilità da Francia e Gran
Bretagna.
La Palestina non è mai stata una nazione indipendente. Fino al 1914 era parte dell'impero Ottomano;
una regione scarsamente popolata, arretrata e con un sistema semifeudale. Gli abitanti erano in
grandissima maggioranza poveri braccianti al servizio di proprietari terrieri. Nel 1880 la zona
contava circa 24 mila ebrei e 150 mila arabi. Nel 1945 gli arabi erano saliti a 1 milione e 240 mila,
mentre gli ebrei erano 553 mila. Solo Gerusalemme era un centro urbano di una qualche importanza.
Cosa accadde nel frattempo?
La prima guerra mondiale segnò la fine dell'impero Ottomano; l'area mediorientale passò sotto il
controllo (protettorato) franco-inglese. Le diplomazie dei due stati avviarono un triplice gioco:
A) fu promessa l'indipendenza ai grandi proprietari arabi in cambio del loro appoggio in guerra
(1915)
B) Balfour (premier britannico) rispose alla pressione del movimento sionista dichiarando di vedere
con favore lacreazione di uno stato ebraico indipendente in Palestina (1917).
C) l'accordo Sykes-Picot, siglato nel marzo 1915, e tenuto a lungo segreto, fissò la spartizione
dell'intero Medio Oriente in aree di influenza.
La creazione dello stato di Israele
I Trattati di Versailles assegnarono la Palestina al protettorato britannico.
Sia ebrei che arabi si aspettavano una qualche forma di indipendenza; la Gran Bretagna non va oltre a
qualche proposta di spartizione territoriale; la conflittualità tra le popolazioni - sempre più numerose
- cresce continuamente. Il vento di guerra, e i rischi di una penetrazione tedesca nell'area, indussero il
ministro Eden a favorire una strategia di accordo tra i paesi arabi e a proporre (1939) la costituzione
di uno stato indipendente, basato sulla coesistenza etnica. Per limitare la supremazia ebraica e per
non rompere l'alleanza con i paesi islamici, fu fortemente limitata l'immigrazione ebraica - fissata a
quota 75.000.
Con l'inizio in grande scala della persecuzione nazista, è facile immaginare quale ripercussione
drammatica abbia comportato questa scelta.
Non mancarono scontri tra terrorismo ebraico e autorità britanniche, considerate ostili al sionismo.
Terminata la guerra, forse anche in seguito all'ondata emotiva dell'olocausto, l'immigrazione verso la
Palestina non fu più ostacolata dal controllo britannico. Nell'immediato dopoguerra la zona era teatro
di scontri tra ebrei e britannici, e tra ebrei e arabi. Nel maggio 1947 La Gran Bretagna annunciò
all'ONU che si sarebbe ritirata dalla regione. Nel novembre dello stesso anno dalla stessa assemblea
delle Nazioni Unite venne la proposta di dividere la regione in due parti: agli ebrei sarebbe andata la
zona del Negev (permetteva una notevole espansione e capacità di accoglienza di nuovi immigrati).
Usa, Urss e Francia si dichiararono a favore; la Gran Bretagna si astenne; stati arabi, India, Grecia e
Pakistan votarono contro.
Quando le truppe inglesi lasciarono il Medio Oriente, nel maggio 1948, fu immediatamente
proclamato lo stato di Israele.
Gli stati arabi considerarono la creazione dello stato ebraico - fondato su basi religiose e razziali - un
atto di forza intollerabile: un esercito di palestinesi e truppe dei paesi arabi circostanti attaccò il
nuovo stato iniziando la lunga stagione delle sconfitte militari. Aggressioni dei paesi arabi e
controffensive violentissime portarono i soldati di Israele ad occupare vaste zone interamente abitate
dai palestinesi. I conflitti del 1956, 1967 e 1973 aprirono le porte alla tragedia dei "territori occupati":
le alture del Golan, la striscia di Gaza e la Cisgiordania diventarono campi di guerriglia permanente;
con una popolazione a grandissima maggioranza palestinese (1,5 milioni gli arabi acquistati nei
confini israeliani) discriminati e disprezzati da autorità e coloni. Soltanto nella controffensiva del
1949 e in seguito ai disordini dovuti alla proclamazione del nuovo stato ci furono quasi 1 milione di
palestinesi espulsi dalla propria terra, accolti in miserabili campi profughi messi a disposizione dai
paesi arabi e dall'UNRRA.
Le guerre e l'intifada
Dal 1949 il conflitto ha assunto connotati sempre più drammatici.
Nel 1956 i palestinesi costituiscono un movimento di liberazione (Al-Fatah) capace di collaborare
con le forze armate degli stati arabi e di muovere azioni di guerriglia nel territorio israeliano.
Nel 1967 - con fronti caldi come Siria e Egitto - scoppiò una crisi internazionale intorno al controllo
del golfo di Aqaba (Sharm el Sheikh), innescato principalmente da Nasser , presidente dell'Egitto.
Forte dell'appoggio sovietico - se Usa e Francia erano filo-israeliani, ovviamente i sovietici erano
filo-arabi - Nasser annunciò il blocco delle navi che attraversavano il golfo di Aqaba per rifornire
Israele. Lo stato ebraico rispose con la forza: il 5 giugno 1967 l'aviazione bombardò gli aeroporti dei
paesi arabi; le truppe di terra occuparono Gaza, Sherm el Sheikh, la Cisgiordania e Gerusalemme, le
alture del Golan, l'Alta Galilea e il Sinai.
L'attacco passò alla storia come la guerra dei 6 giorni: il 10 giugno le offensive erano già terminate.
Ma le ferite aperte risultarono gravissime: lo scontro all'interno del territorio palestinese si trasformò
in guerriglia permanente, con una militarizzazione molto estesa del movimento di liberazione arabo e
un ricorso alla rappresaglia indiscriminata e violentissima.
Nel 1969 nasce l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) sotto la guida di Yasser
Arafat. Intanto anche il Libano, con il bombardamento di Beirut nel 1968 ad opera dell'aviazione
israeliana, entrava nella spirale di guerra del Medio Oriente. La Francia di De Gaulle divenne
sostenitrice della pacificazione nell'area, appoggiando di fatto l'azione diplomatica dei paesi arabi.