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Osservare
Ovvero evitare di osservare per giudicare, definire o classificare ma bisogna osservare per comprendere. Occorre saper mettere "tra parentesi" i propri giudizi - anche se non è facile - :
- Bisogna fare quello che Edmund Husserl chiamava "sospendere il giudizio".
La relazione come gioco di specchi. La relazione è un "atto speculare" che ognuno costruisce la propria immagine e quella dell'altro. Nel nostro caso l'operatore si costruisce un'immagine dell'immigrato e l'immigrato si costruisce un'immagine dell'operatore. Si può anche dire che l'operatore ha già un'immagine prefabbricata dell'immigrato e anche l'immigrato ne ha una dell'operatore e del suo ruolo. L'immagine che ha l'immigrato è filtrata dal suo modello culturale e quando si parla di modello culturale occorre intendere il suo modo di rapportarsi con il mondo dei servizi (modello).
Appreso nel proprio paese di origine). Sta all'operatore comprendere questo per evitare di interpretare male certi atteggiamenti e trovare le modalità adeguate alla comprensione dell'immigrato.
Focalizzarsi sull'individuo
Ogni storia di migrazione è una storia a sé; l'immigrato non può essere identificato soltanto con il proprio modello culturale di provenienza. Va colto la specificità della sua storia come persona. Non può essere inglobato all'interno di una categoria generale che spesso non spiega niente.
Ogni immigrato ha una biografia e una storia, una sua esperienza prima di arrivare in Italia.
Riconoscere l'altro non solo come problema, ma anche come risorsa
L'operatore deve usare il metodo biografico per ricostruire l'insieme delle esperienze dell'immigrato.
La mediazione scolastica: obiettivi
Prevenire la violenza scolastica;
Migliorare la convivenza;
Costruire valori interculturali condivisi• Anche l'insegnante può porsi nell'ottica della mediazione, oppure può essere• affiancato da questa figura 13Cosa non è il mediatore1. Il mediatore culturale non è l'esperto di intercultura cui demandare tutto ciò che• concerne l'educazione interculturale e l'integrazione dei bambini non autoctoni2. Non è pensabile che tutte le funzioni della mediazione siano svolte da una sola• persona che peraltro dovrebbe possedere abilità e capacità illimitate.3. Non è legittimo delegare in toto al mediatore il ruolo di agente, principale o• esclusivo, del cambiamento sociale.4. La mediazione cognitiva (ovvero la presenza costante di un mediatore culturale in una classe in cui vi siano molti bambini di etnia minoritaria ad affiancare il lavoro dell'insegnante) è una funzione non solo difficilmente realizzabile ma nemmeno auspicabile.
Costruire uno spazio interattivo appropriato, è compito dell'insegnante, non di altri.Non sembra auspicabile nemmeno la figura del mediatore come informatore, ovvero come colui che entra nelle classi con interventi sporadici per far conoscere la cultura di un determinato paese. È, in sostanza, il rischio di ridurre la cultura alla dimensione folkloristica.
Il mito della imparzialità. Il rischio è che il mediatore si trovi tirato dalle due parti e di non riuscire a gestire questa difficilissima situazione.
Cos'è il conflitto etnico?
Riguarda 2 o più gruppi etnici.
Il concetto di "etnico": Ethnos (greco) = gruppo con una discendenza comune, unito da legami di sangue.
I Greci lo opponevano a polis.
Dibattito: introduce una distinzione rigida fra gruppi che possono essere classificati e comparati.
In psicologia: "insieme di persone che si definiscono tali e si sentono simili per alcuni.
attributi” (Rotheram e Phinney, 1987).
Attributi oggettivi: colore di pelle;
- Attributi soggettivi: consapevolezza di essere una comunità e volontà di seguire scopi• comuni.
Nel “conflitto etnico” la risorsa contesa è l’identità delle parti, che porta alla• squalificazione dell’altro (inferiorità morale, culturale e intellettuale)
Conflitto etnico internazionale: 2 nazioni si contrappongono per la loro diversa• appartenenza etnica;
Conflitto etnonazionale: all’interno di uno stato, due gruppi di etnia diversa entrano in• contrasto (di solito una maggioranza e una minoranza). Es. Rwanda
Conflitto etnico metropolitano (Cotesta, 1999): in quartieri ad alta densità straniera• (es. Banlieue parigine)
Conflitto etnico è un evento in cui prevale la dimensione psicologica.• 14
Perché il conflitto degenera in violenza? Perché la Shoah?
Dollard, Miller et al. (1939):
Ipotesi della "frustrazione - aggressività"
- Il conflitto si origina da eventi frustranti. L'aggressività è indotta dall'esperienza di frustrazione
Processi che intervengono nella frustrazione-aggressività
- Generalizzazione: le persone preferiscono un bersaglio con caratteristiche simili alla fonte della frustrazione
- Inibizione: sopprimere le risposte aggressive dirette verso la fonte della frustrazione, soprattutto se questa è potente e in grado di assegnare punizioni.
Quando questi processi convergono, l'individuo manifesta il massimo dell'aggressività, quando la somiglianza fra gli stimoli è intermedio
Aspetti positivi: l'ipotesi frustrazione-aggressività prende decisamente le distanze da una concezione di aggressività come prodotto di un istinto innato
Critiche: la frustrazione può indurre risposte diverse dall'aggressività (es. pianto)
così come non sempre i comportamenti aggressivi sono causati da frustrazioni individuali (es. terrorismo)
Rielaborazione di Berkowitz:
- L'aggressività è solo una delle risposte possibili a un sentimento negativo;
- L'autore parla di "eventi avversi" che possono generare aggressività;
- È una teoria che spiega il comportamento individuale e non di gruppo.
Nel 1954, Sherif e collaboratori elaborarono una teoria riguardante il conflitto intergruppi grazie ad un originale esperimento. Essi organizzarono un campo estivo al quale parteciparono 22 bambini di undici anni, che vennero suddivisi in due squadre ("Aquile" e "Serpenti a sonagli") che presero parte a delle attività competitive.
Gli autori ebbero modo di osservare che:
- i ragazzi svilupparono un forte attaccamento nei confronti del proprio gruppo, stabilirono delle norme interne e scelsero un leader;
forte potere di richiamo per i componenti disuperordinati,ciascun gruppo ma impossibili da raggiungere se non con l'impegno congiunto di tutti.
Ciò permise effettivamente di far avvicinare i soggetti appartenenti alle due fazioni.
teoria del conflitto
Questo esperimento sul campo permise a Sherif di articolare la
- realistico [1966
Secondo la teoria del conflitto realistico, l'ostilità tra gruppi è determinata dalla
- competizione per il possesso di risorse materiali scarse e ambite. In tali circostanze, si crea uno stato di interdipendenza negativa in cui le acquisizioni di un gruppo avvengono necessariamente a spese dell'altro.
La teoria del conflitto realistico postula inoltre che l'esistenza di interessi contrapposti dia luogo ad una serie di mutamenti nella relazione intergruppi in seguito ai quali gli individui cominciano a pensare in maniera stereotipata ai membri del gruppo esterno e, in rapida successione, a nutrire
degli atteggiamenti pregiudiziali nei loro confronti. In un breve arco di tempo, l'escalation di reazioni negative culmina in un'aperta ostilità e in tutta una serie di comportamenti discriminatori tra i membri dei due opposti raggruppamenti. Come possiamo tradurre questa teoria? La competizione per beni materiali (es. Posti di lavoro, case..) genera conflitto, soprattutto in momenti di crisi economica o quando le risorse sono poche. La teoria del conflitto realistico è "di gruppo", ovvero mostra che il gruppo è un'entità a sé stante, con regole e dinamiche proprie. Un'altra teoria volta a spiegare l'antagonismo tra gruppi è quella della deprivazione relativa. Secondo la teoria della deprivazione relativa (Crosby 1976; Ellemers, Wilke e Van Knippenberg 1993; Kawakami e Dion 1993), indipendentemente dallo status sociale di cui gode il proprio gruppo, è il confronto con una fazioneesterna ritenuta migliore chefa sperimentare uno stato di deprivazione relativa, ossia un’insoddisfazione riguardo alle condizioni di vita attuali.
La ricerca ha individuato nel corso degli anni alcuni prerequisiti affinché si sperimenti lo stato di deprivazione relativa: 16 l’assenza della caratteristica desiderata deve ritenersi attribuibile a fattori esterni al gruppo più che a colpe dello stesso; il gruppo esterno deve essere affine a quello di appartenenza e possedere qualche caratteristica che si desidera, come la ricchezza o un elevato status sociale; tale caratteristica deve ritenersi spettante di diritto anche al proprio gruppo.
La conseguenza immediata di questo stato di cose è: un incremento del pregiudizio e dell’ostilità diretti al gruppo esterno [Applegryn e• Nieuwoudt 1988] che possono facilmente sfociare in agitazioni sociali volte a ribaltare