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La competizione

Le ostilità spesso nascono quando i gruppi competono per lavori, alloggi o risorse insufficienti. Sherif fece esperimenti con ragazzini di 11 e 12 anni. Dopo aver studiato le radici sociali della crudeltà, Sherif introdusse alcuni elementi essenziali in varie esperienze di campeggi estivi di tre settimane. In uno di questi studi divise 22 ragazzi di Oklahoma city, che non si conoscevano tra loro, in due gruppi, li portò in un campeggio di boy scout in autobus separati e li sistemò in ranch distanti. Per buona parte della prima settimana ogni gruppo non seppe dell'esistenza dell'altro. Cooperando in varie attività i membri di ogni gruppo si compattarono. Un gruppo era "Aquile", l'altro "Serpenti a Sonagli". Questi ultimi si accorsero dell'altro gruppo perché nel loro campo da baseball, i responsabili del campo proposero giochi competitivi e entrambi i gruppi risposero con entusiasmo. Da qui il

Campo estivo degenerò in battaglia. Il conflitto iniziò con una serie di soprannomi che gli uni davano agli altri durante le attività competitive, poi con lo spargimento di rifiuti nella sala mensa, pestaggi ecc. La competizione vincitori-vinti aveva prodotto un intenso conflitto. Il loro comportamento scellerato era scatenato da una situazione perversa, di competizione e conflitto. La competizione alimenta conflitto quando:

  • le persone percepiscono che risorse come denaro, lavoro o potere sono limitate ed disponibili in un gioco a somma diversa da zero (quando il guadagno degli altri equivale alle proprie perdite);
  • le persone percepiscono l'outgroup come potenziale competitore. Sherif ha reso degli estranei in nemici, ma anche poi rese dei nemici in amici con gli obiettivi sovraordinati.

PERCEZIONE DI INGIUSTIZIA

Secondo alcuni, le persone percepiscono la giustizia come equità; la distribuzione di ricompense in proporzione ai contributi individuali. Se una delle

due persone contribuiscono di più e hanno meno benefici dell'altra, si sentiranno sfruttate e irritate; d'altra parte, l'altra persona potrà sentirsi uno sfruttatore e avvertire senso di colpa. È possibile che una delle due persone sia più sensibile all'iniquità rispetto all'altra. La percezione di iniquità nelle relazioni sta alla base di un'altra teoria utilizzata per spiegare il conflitto, la teoria della deprivazione relativa, secondo la quale sentimenti di scontentezza e ostilità sorgono dalla convinzione che altre persone e altri gruppi si trovino in condizioni migliori rispetto alle proprie o a quelle del proprio gruppo. Le persone che sperimentano deprivazione relativa percepiscono iniquità tra ciò che hanno dato e ciò che hanno ricevuto in una relazione passata. GLI ERRORI DI PERCEZIONE Il conflitto è la percezione di un'incompatibilità tra azioni e obiettivi. Inrealtà molti conflitti non contengono altro che un piccolo nucleo di obiettivi incompatibili. Il problema maggiore è rappresentato da errori di percezione in merito alle ragioni e agli obiettivi degli altri. Grazie all’errore fondamentale di attribuzione ogni persona o gruppo vede l’ostilità dell’altro come il riflesso di una disposizione negativa o malvagia. Anche il solo fatto di essere parte di un gruppo scatena il pregiudizio dell’ingroup. Gli stereotipi negativi dell’outgroup, una volta formati, resistono spesso alle prove che li confutano. Così non dovrebbe sorprendere, ma far riflettere, scoprire che le persone in conflitto, ovunque nel mondo, si formano immagini distorte dell’altro. Gli errori di percezione di coloro che entrano in conflitto sono reciproci. Le persone in conflitto attribuiscono virtù simili a se stessi e difetti simili agli altri. Brofenbrenner visitò l’Unione Sovietica nel 1960 econversando con i cittadini russi rimase allibito nel sentire che le cose che dicevano sull'America erano uguali a quelle che gli americani dicevano della Russia. Le percezioni un'immagine allo specchio. Negative dell'immagine allo specchio sono state un ostacolo alla pace in molti luoghi. Tali conflitti, nota Zimbardo, creano un mondo diviso in due categorie, i buoni come noi e i cattivi come loro. Per risolvere i conflitti è necessario abbandonare le percezioni esasperate e arrivare a comprendere la mente dell'altro. Ma ciò non è facile. I conflitti di gruppo sono spesso alimentati dall'illusione che i leader nemici siano persone malvagie ma che la gente, benché controllata e manipolata, sia a nostro favore. Questa percezione leader malvagio-gente buona ha caratterizzato la reciproca visione di americani e russi durante la guerra fredda. Quando la tensione aumenta il pensiero razionale diventa più difficile. La visione del nemico.

Il conflitto è un dato ineluttabile della vita individuale e collettiva: compone la trama strutturante della dinamica sociale; entra in tutti gli ambiti della vita quotidiana, dal personale al professionale, dal politico al sociale. Quando siamo coinvolti in un conflitto, spesso la nostra capacità di pensare in modo razionale e obiettivo viene compromessa. La comunicazione diventa più semplicistica e stereotipata, e i giudizi istintivi diventano più frequenti. Anche la sola aspettativa di conflitto può servire a bloccare il pensiero e impedire la risoluzione creativa di un problema.

Se i malintesi accompagnano i conflitti, allora dovrebbero apparire e scomparire quando i conflitti aumentano e diminuiscono. Gli stessi processi che creano l'immagine del nemico possono rovesciare quell'immagine quando il nemico diventa alleato. Un buon consiglio è: che quando ci troviamo in una situazione conflittuale, non presumiamo che l'altro non riesca a condividere i vostri valori e la vostra moralità. Piuttosto confrontiamo le percezioni, considerando che è possibile che l'altro percepisca la situazione in maniera diversa.

I TIPI DI AZIONE CONFLITTUALE

Il conflitto può manifestarsi in diversi modi e può essere affrontato in modi diversi. Ecco alcuni tipi di azione conflittuale:

  • Conflitto diretto: quando le parti coinvolte si confrontano apertamente e cercano di risolvere il problema attraverso il dialogo e la negoziazione.
  • Conflitto passivo-aggressivo: quando una delle parti coinvolte esprime la propria insoddisfazione in modo indiretto, attraverso comportamenti ostili o sabotaggi.
  • Conflitto evitante: quando le parti coinvolte cercano di evitare il conflitto, ignorando il problema o ritardando la sua risoluzione.
  • Conflitto competitivo: quando le parti coinvolte cercano di ottenere il massimo vantaggio per sé stesse, a discapito delle altre parti.
  • Conflitto collaborativo: quando le parti coinvolte cercano di trovare una soluzione che soddisfi i bisogni di tutte le parti e promuova la cooperazione.

interstizi dell'avventura umana. Come sostiene Moscvici, il vero incontro con l'altro presuppone l'incontro con l'alterità, il diverso da sé, il che comporta inevitabilemente, strutturalmente e proficuamente il sorgere di conflitti. Viceversa se l'incontro non avviene con l'altro ma con la sua reificazione, non si costruisce nessun legame. Il conflitto è una costruzione relazione e sociale che nasce dalle percezioni che attori in interazione sviluppano di una incompatibilità su diversi fronti e che riguarda la sfera cognitiva, affettiva e volitiva.

L'eliminazione della segregazione razziale nelle scuole americane ha prodotto benefici rilevanti, come per esempio l'incremento del numero degli afroamericani nelle scuole superiori. Stephan ha concluso che l'eliminazione delle leggi razziali ha avuto poca influenza sugli atteggiamenti razziali. Si può osservare che qualche volta l'eliminazione della

La segregazione migliora gli atteggiamenti razziali e qualche volta no, soprattutto quando si è in ansia o si percepisce una minaccia. I ricercatori sono andati in dozzine di scuole in cui sono state eliminate le leggi razziali e hanno osservato con chi mangiano, parlano e giocano i bambini. L'etnia o la razza influenza il contatto. I bianchi si associano in maniera sproporzionata con i bianchi, gli afroamericani con altri afroamericani. In uno studio studenti universitari afroamericani, sebbene fossero solo il 7%, inviavano il 44% delle mail ad altri studenti afroamericani. Gli sforzi per facilitare il contatto talvolta sono utili, ma qualche volta cadono nel vuoto. Molte persone appartenenti a razze o etnie diverse affermano che sarebbero contenti di avere più contatti, ma percepiscono erroneamente che l'altro non abbia il loro stesso desiderio. Alcuni studi hanno rilevato che un numero elevato di contatti tra gruppi riduce l'ansia che accompagna il momento.

iniziale dell'incontro e che un contatto personale prolungato, per esempio tra studenti appartenenti a razze differenti, sortisce il medesimo effetto. In uno studio di Stangor e colleghi emerse che più gli studenti americani che studiavano in Germania o in Inghilterra avevano contatti con le persone del paese ospitante, più i loro atteggiamenti nei confronti degli ospiti diventavano positivi. Chi intrattiene rapporti di amicizia con i membri dell'outgroup sviluppa atteggiamenti più positivi verso tutto l'outgroup. È molto più probabile che si aiutino le persone diverse da noi se la loro identità di outgroup inizialmente è minimizzata, e se le si vede essenzialmente come noi e non ci si sente minacciati dalle differenze. Contatti alla pari è molto importante che i contatti siano alla pari come quelli tra commessi, soldati, vicini di casa e ragazzi nei campi estivi. Tali interazioni tendono a promuovere la crescita.

Intellettiva e a stimolare una maggiore accettazione delle differenze.

LA COOPERAZIONE

Sebbene un contatto alla pari possa favorire il superamento delle ostilità, talvolta non è sufficiente. Non lo fu quando Sherif fermò la competizione delle Aquile contro i Serpenti a sonagli e riunì i gruppi per attività non competitive, come guardare video, consumare pasti, ecc. A quel punto le ostilità erano così consistenti che il solo contatto forniva unicamente opportunità per scherni e attacchi. L'eliminazione della separazione fisica però non promosse la loro integrazione sociale. Sembra che il contatto competitivo divida e quello unisca. Nei conflitti a tutti i livelli, cooperativo dalle coppie ai rivali nelle squadre nazionali, le minacce condivise e i traguardi comuni alimentano l'unità. Avere un nemico comune aumentò la coesione nei gruppi dei ragazzi degli esperimenti del campo estivo di Sherif e di molti esperimenti successivi.

In tempi di lotta interetnica l'orgoglio di gruppo aumenta in modo analogo. Quando in guerra si affronta una minaccia esterna ben definita, aumenta il senso di "noi", come per gli americani dopo l'11 settembre. Un altro studio importante è quello di Sheldon Salomon e i suoi colleghi (2004). I ricercatori posero studenti americani in due diversi gruppi sperimentali chiedendo ai membri di un gruppo di riflettere sugli eventi dell'11 settembre e sul terrorismo e ai membri del secondo gruppo di riflettere su un esame imminente. Successivamente ad entrambi i gruppi venne chiesto di esprimere la propria opinione in merito alle azioni del Presidente Bush. I membri del primo dichiararono di concordare con l'affermazione "appoggio le azioni del Presidente e dei membri dell'amministrazione che hanno preso una coraggiosa decisione con l'Iraq", in misura superiore e statisticamente significativa rispetto ai membri del secondo gruppo. Per il mondo,Per una nazione, per un gruppo avere un nemico comune è essenziale per creare un senso di unità e solidarietà. Quando un nemico comune minaccia la sicurezza o gli interessi di un'intera comunità, le persone tendono a mettere da parte le loro differenze e a unirsi per affrontare la minaccia. Questo può portare a un senso di appartenenza e orgoglio nazionale o di gruppo. Tuttavia, è importante notare che la creazione di un nemico comune può anche portare a divisioni e conflitti. Quando un gruppo identifica un nemico comune, può essere tentato di demonizzare e discriminare coloro che sono considerati parte di quel nemico. Questo può portare a tensioni interne e a un aumento dell'odio e della violenza. Inoltre, la creazione di un nemico comune può anche essere utilizzata come strumento di manipolazione da parte dei leader politici o dei media. Possono sfruttare la paura e l'ansia delle persone per consolidare il loro potere o per distrarre l'attenzione da altre questioni importanti. In conclusione, avere un nemico comune può avere sia effetti positivi che negativi. Può creare un senso di unità e solidarietà, ma può anche portare a divisioni e conflitti. È importante essere consapevoli di come viene utilizzato il concetto di nemico comune e di come può influenzare le dinamiche sociali e politiche.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
11 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/06 Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Conflitti nei gruppi sociali e processi di mediazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Melotti Giannino.