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Southall. Gli abitanti di Southall hanno abbracciato il discorso processuale sulla cultura. In questa prassi
dialogica, nessuna comunità e nessuna cultura possono essere definite senza riferimento alle altre, e la
prassi multiculturale non è interessata alla peculiarità ma al pensare multirelazionale.
In ciascuna delle comunità reificate di cultura si fanno mosse che integrano i “non membri”. Ciò che qui è
d’interesse è un nuovo tipo di processo che fa avanzare la prassi multiculturale e incoraggia il pensiero
multirelazionale della nostra analisi: la convergenza culturale.
Applicato alla dinamica della cultura, questo è un processo veramente multiculturale. Non ci troviamo più
di fronte ad una data freccia che imita la traiettoria di qualche altra, come se una minoranza imitasse una
autoproclamatasi maggioranza. Né siamo di fronte ai processi di adattamento, acculturazione,
integazione. La parola convergenza descrive separati processi di cambiamento culturale che puntano
tutti nella stessa direzione, ma ciascuno lo fa prendendo un proprio differente sentiero verso lo stesso
punto comune, il punto di convergenza. Tale punto di convergenza non è affatto detto che sia definito da
una maggioranza egemonica.
Ex convergenza: Southall Music Fusion, creazione di uno stile musicale trasversale che fecondasse a
vicenda le differenti tradizioni stilistiche degli afrocaraibici, asiatici del sud e bianche di Southall.
Il fenomeno della convergenza riguarda anche i rituali (ex famiglie indù o sikh celebrano il natale).
Queste forme di convergenza possono essere interpretate come una mossa demoniaca
dell’imperialismo culturale bianco o come una sfida alla teoria durkheimiana del rituale.
Secondo Durkheim, lo scopo dei rituali, x una società, è la celebrazione della propria esistenza. Egli
viene ripreso dai multuculturalisti degli stivali rossi: nel rituale troviamo l’espressione più autentica e
sacra dell’identità nazionale, etnica o religiosa. Ma i dati di Southall sembrano contraddire questa
concezione: le persone celebrano rituali che non appartengono loro x tradizione e molti rituali di fatto
riguardano le relazioni con gli altri, anziché le relazioni nella comunità culturale.
In realtà, la teoria di Durkheim dev’essere applicata a una qualità completamente astratta che egli
chiama società, qualcosa che oggi noi chiamiamo socialità o socievolezza, e che è molto diversa da
qualsiasi cultura o comunità reificabili in senso stretto.
Possiamo rintracciare processi di convergenza multiculturale anche nei modi in cui gli abitanti di Southall
concepiscono le loro verità religiose (ex uso lingua inglese x spiegare le loro differenti idee religiose
porta alla nascita di espressione comuni, come “prete” x imam o pandit). Ne risulta che le religioni non
solo sono comparabili ma persino omologhe, cioè fatte degli stessi pochi elementi comuni a tutte.
Questo mostra un nuovo modo di pensare le differenze religiose come relazionali, anziché assolute, e
non è distante dall’idea che tutte le religioni convergano sulla stessa verità.
Tuttavia, l’esistenza di un discorso processuale non significa la fine di quello reificante. Le persone in un
ambiente multiculturale usano entrambi i discorsi culturali allo stesso tempo. Nel decidere di usare l’uno
o l’altro, i criteri sono situazionali e pragmatici. Vi sono fini che si possono raggiungere solo tramite la
differenza culturale reificante. Allo stesso tempo, vi sono altri scopi x cui ci si deve unire ad altre persone
, e spesso lo si può far meglio mettendo in questione e relativizzando i confini culturali reificati.
Essere un abitante di Southall socialmente competente significa sapere quando è meglio reificare e
quando è meglio relativizzare la differenza. Capire la prassi multiculturale significa analizzare quando le
persone passano da un discorso all’altro.
Dal sogno al significato: una sintesi.
Baumann enuncia sei regole per un futuro multiculturale sulla base del pensiero multirelazionale:
• riconoscere lo stato-nazione moderno come una creazione problematica, pseudoetnica e
pseudosecolare;
• ripensare le identità nazionali, etniche e religiose, considerandole processi e non entità reificate;
• basare le aspettative di eguaglianza su diritti garantibili che siano concessi sulla base di diritti di
residenza, piuttosto che sullo status civico;
• incoraggiare tutti gli impegni che attraversano le linee divisorie stabilite nazionali, etniche o religiose;
• sviluppare una scienza sociale meno nazionalista, etnicista o religiosamente esclusiva;
• de- reificare tutte le reificazioni accettate trovando fratture trasversali.
Dal sogno alla pratica: ciò che possono fare gli studiosi. Nuove concezioni richiedono nuovi progetti
Baumann individua tre filoni di ricerca per la ricerca sociale sul multiculturalismo:
• le relazioni tra culture dello stato-nazione e le “loro” minoranze, con particolare riferimento ai settori del
mercato, dei media e della scuola;
• le relazioni fra minoranze e nelle minoranze – in particolare, da un lato, le “culture di impegno”, che
attraversano le identificazioni nazionali, religiose ed etniche, e, dall’altro, le dinamiche di scambio fra
differenti (sub) elettorati;
• i processi che attraversano i confini dello stato-nazione: il familismo a lunga distanza, il
trasnazionalismo politico o religioso, i legami fra diaspore in paesi differenti.
Vite in cantiere
Dati e caratteristiche delle migrazioni rumene.
Introduzione.
Il flusso di immigranti rumeni comincia nel 1990 dopo la caduta del regime comunista e raggiunge il
massimo picco nel 2002 quando non viene più richiesto il visto per entrare nei paesi Schengen, facendo
si che essa diventi la nazionalità straniera più presente in Italia. Analizzando l’area geografica di Bologna
e dintorni, si viene a scoprire che la presenza di immigrati romeni, specie di rom, ha portato ad un
acceso dibattito sulla situazione, dibattito che si è anche esteso su scala nazionale, che si è andato
aggravando anche quando nel 2007 la Romania è entrata a far parte dell’Unione Europea, sfociando a
volte addirittura in quella che viene chiamata “emergenza rom”, grazie ai mass media che amplificano le
notizie di cronaca nera riguardanti cittadini rumeni.
Tuttavia è chiaro che la migrazione di rumeni eè una migrazione di lavoratori che sono disposti anche a
lavorare alla giornata o in nero e in settori in cui gli italiani mostrano poca propensione a lavorare, come
l’edilizia per gli uomini rumeni o i lavori domestici per le donne, due settori nei quali l’incidenza del lavoro
in nero o irregolare è molto rilevante. Il tutto pur sapendo di lavorare in condizioni peggiori dei loro
connazionali “regolari” e con il rischio di licenziamento senza buona causa o di mancato pagamento
della somma pattuita.
Il libro tratta in primo luogo del flusso migratorio che lega la Romania, ed in particolare la regione
dell’Oltenia, a Bologna ed in secondo luogo delle interazioni fra lavoratori immigrati, anche di altre
nazionalità, e con i datori di lavoro italiani all’interno dei cantieri edili cercando di capire come il contesto
lavorativo e ciò che vi è al di fuori interagiscono. Il tutto attraverso metodologie di ricerca di tipo
qualitativo ed etnografico.
La Romania da Cauşescu alla transizione.
Nel 1989 a seguito di manifestazioni nel nord ovest della Romania, il dittatore Ceauşescu e sua moglie
vengono arrestati e fucilati: è l’inizio di quella che viene chiamata la “rivoluzione mancata”, poiché
sostanzialmente, anche con l’ascesa di Iliescu a Presidente, la situazione non cambierà molto e le
strutture del potere politico ed economico restano x lo più le stesse. Si dovrà attendere il 1990 che con
altre proteste porterà alla scomparsa del regime comunista, anche se gli ex comunisti rimarranno al
potere fino al 1996, quando le elezioni verranno vinte dalla destra.
Ma la società rumena, già dal 1989 aderisce ai valori democratici ed entra in una fase di transizione
verso la democrazia e il libero mercato, attraverso varie riforme e un processo lungo e ambiguo.
Spariscono la collettivizzazione delle terre e delle industrie, che vengono progressivamente sottoposte
ad un fallimentare processo di privatizzazione della proprietà, che finirà per distruggere buona parte del
tessuto industriale rumeno, facendo cadere lo Stato in una profonda crisi economica, dilaniata
dall’inflazione e dalla disoccupazione, per tutti gli anni novanta.
Dal 1996, con la salita al potere della destra, la situazione si stabilizza un po’ e cominciano ad arrivare i
primi investimenti esteri, attirati dalla manodopera a basso costo. C’è un flusso migratorio interno dalle
città verso contesti rurali dovuta al ritorno di forza lavoro nei paesini dai quali provenivano a causa di un
processo di espulsione dalle città (disoccupazione e del minor costo della vita in campagna). Allo stesso
tempo vi è l’esaurirsi del navetism, il pendolarismo quotidiano dei lavoratori: i navetisti sono i primi a
perdere l’impiego in quanto le imprese non ritengono più vantaggioso garantire il trasporto.
La crisi rumena è economica (riruralizzazione, crisi trasporto pubblico, frammentazione poprietà terriera,
arretratezza infrastrutture/tecnologie)e politica, segnata da un profondo senso di insicurezza e delusione
nei confronti dei capi di Stato.
A partire dal 2000 la peggior fase della transizione sembra superata, con l’entrata nell’UE e l’economia
rumena fra le più dinamiche dell’est Europa, con una diminuzione della disoccupazione, l’arrivo di
immigrati da altri Pesi e l’aumento dei consumi. Tuttavia non cresce il tenore di vita di alcune fasce di
popolazione, tanto che fra il 2000 e il 2008 sorge un fenomeno piuttosto importante: l’emigrazione.
Flussi migratori rumeni: dimensioni, fasi e caratteristiche.
Sotto regime, non vi fu quasi mai una massiccia emigrazione di rumeni, poiché essa era impedita dal
regime e solo ebrei e tedeschi, grazie ad accordi con i Pesi esteri, potevano spostarsi dalla Romania. Ci
fu l’emigrazione di poche persone intellettuali, dissidenti o artisti e un costante e massiccio flusso
migratorio interno, per lo più forzato, dalle campagne alle città.
Dagli anni Novanta l’emigrazione diventa uno dei principali processi sociali, economici e culturali che
caratterizzano la Romania. Per i suoi abitanti emigrare è l’unica risposta sensata da dare alla povertà,
alla disoccupazione e alla crisi economica. Nonostante la consapevolezza delle dure condizioni di lavoro
a