Comunicazione e potere - Castells
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CAPITOLO 4
INTERVENIRE SULLE RETI DI COMUNICAZIONE:
POLITICA MEDIATICA, POLITICA DELLO
SCANDALO E CRISI DELLA DEMOCRAZIA
Il potere dell’immagine
La politica è il processo di allocazione del potere nelle istituzioni. Per instaurare relazioni
di potere è necessario plasmare la mente umana attraverso la costruzione di immagini.
Questo processo avviene nella comunicazione e dunque tramite i media. In questo senso si
può parlare di media politics: la conduzione della politica sui media e con i media.
Solo chi è in grado di comunicare può influenzare le decisioni di voto. Questo vale
naturalmente nei sistemi autoritari, dove il controllo dei media è funzionale al
mantenimento del potere: se viene a mancare può portare al crollo del regime; ma vale
anche in quelli democratici. Tuttavia definire concretamente il concetto di democrazia è
difficile, esso varia da paese a paese perché dipende da culture politiche diverse. La prassi è
sostanzialmente differente dall’ideale democratico.
I media sono lo spazio in cui si costruisce il potere. La politica accetta di seguire le regole, il
linguaggio, le logiche e gli interessi dei media. Tali interessi sono molto diversificati, a
seconda degli attori mediatici e delle audience. Il pubblico è l’elemento chiave, perché
significa risorse. Oltre a conquistare nuovo pubblico, i media s’impegnano raggiungere
target specifici. Questa logica (audience targeting) è seguita soprattutto dai media
schierati, che rispondono all’esigenza di un certo pubblico di sentire pareri simili ai propri
più che di essere informato in maniera indipendente. Seguendo lo stesso meccanismo ma
in direzione opposta, i blog indipendenti cercano di creare sostegno alle opinioni politiche
che non trovano spazio nei media mainstream. Mainstream vuol dire anche percezione di
credibilità, nonostante essa sia in generale piuttosto calata nei confronti dei media (dal
55% del 1985 al 39% del 2007). Internet guadagna punti, ma tv e radio continuano ad
essere i mezzi più consultati per l’informazione. E anche laddove Internet raggiunge buone
quote, i siti consultati sono sempre quelli mainstream (BBC, CNN, Reuters, ecc.).
Omicidi semantici: la politica mediatica all’opera
La politica mediatica è diventata una prassi centrale in tutto il mondo. Vediamone i diversi
compiti chiave:
1. assicurare l’accesso ai media agli attori sociali e politici;
2. elaborare messaggi e immagini efficaci relativamente agli interessi di ciascun attore.
Perché siano efficaci bisogna raccogliere elementi per identificare il pubblico e poi
elaborare le informazioni in maniera adeguata;
3. trasmettere i messaggi con le giuste tecnologie e misurarne l’efficacia con i sondaggi;
4. trovare finanziamenti per sostenere queste attività.
La politica mediatica non si attua solo in campagna elettorale, bensì quotidianamente in
modo da conformare la mente del pubblico per garantirsi una base solida di supporto. Se
non è solida rischia di sgretolarsi al primo evento negativo. Gli eventi possono anche essere
creati appositamente e poi usati per catturare l’attenzione o mettere in crisi l’avversario. 1
La politica mediatica è diversa da paese a paese, in relazione alle specificità politiche e
culturali (ad esempio negli USA si esplica principalmente nella pubblicità a pagamento,
che invece in Europa è rigidamente regolamentata).
Tuttavia esistono degli elementi comuni. Sembra esserci stata un forte avvicinamento al
modello americano: mutuare tecniche dal marketing commerciale è diventato la norma e i
sistemi sono tendenzialmente improntati all’informazione neutrale e al professionismo. La
politica converge verso la politica mediatica. come effetto della globalizzazione: una cultura
mediatica globale e pratiche professionali globali si traducono in forme simili di politica
sui media.
Monitorare l’accesso alla democrazia
I gatekeepers sono i custodi dell’accesso ai flussi di comunicazione. Il loro ruolo cambia in
base al sistema mediatico, a seconda che vi sia un controllo governativo forte, un sistema
prettamente commerciale o una struttura mista.
Innanzitutto distinguiamo tra l’accesso alla regolare programmazione e quello tramite
pubblicità politica a pagamento.
La pubblicità politica è centrale negli USA nelle campagne elettorali. In questo periodo
dunque i media beneficiano di grandi incassi pubblicitari e di un aumento di audience. In
Europa non è consentita o comunque svolge un ruolo molto secondario.
Il fattore principale qui è dunque l’accesso alla normale informazione giornalistica.
Possiamo evidenziare quattro livelli del gatekeeping che interagiscono:
1. il controllo e la supervisione organizzativa di governo o imprese commerciali;
2.le decisioni dell’editore;
3.le scelte dei giornalisti;
4.la logica dell’audience.
Quest’ultimo fattore è rilevante perché introduce un nuovo soggetto con il quale
confrontarsi: il mezzo deve conquistare credibilità in modo da poter essere efficace
nell’ambito della politica mediatica.
Possiamo innanzitutto individuare un effetto di comune denominatore.
Le tendenze attuali dimostrano che ciò che fa crescere audience - e quindi influenza - è
l’informazione che prende le forme dell’intrattenimento, molto più di inchieste e
discussioni. La gente si interessa alle questioni importanti purché se ne parli nel linguaggio
dell’infotainment. Così la politica viene ridotta alla competizione di una horse race. Gli
eventi negativi sono esaltati dal sensazionalismo. Ma è la personalizzazione il fattore
chiave: il pubblico di massa ha bisogno di un messaggio semplice e niente è più semplice
dell’immagine. Per immagine di un politico intendiamo il carattere, il modo di porsi, i
valori che trasmette. Comprendere una politica può essere complicato, giudicare un
carattere è invece alla portata di tutti perché fa appello solo a capacità emozionali. La
politica mediatica è «imperniata sul candidato» (Wattenberg) e quindi slegata dal partito.
Questo modello è diventato comune in tutto il mondo anche perché risponde bene alle
esigenze narrative dei media: il candidato è l’eroe, l’avversario è il cattivo, le vittime da
soccorrere sono i cittadini. Il modello adottato è semplice: il materiale politico viene
elaborato come materiale da infotainment, formattato nel linguaggio sportivo e inserito in
narrazioni vicine a racconti di intrigo, sesso e violenza. Se il candidato è già una celebrità,
tanto meglio.
Le differenze invece sorgono all’attivazione di due filtri: il controllo governativo diretto e
quello imposto dalla proprietà editoriale. Il primo avviene tramite forme di censura diretta
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o occulta (talvolta tramite un’influenza finanziaria) e non si deve pensare che sia una
pratica esclusiva dei regimi autoritari, anzi (vedi Berlusconi in Italia e Aznar in Spagna tra
il 1994 e il 2004). Il secondo sposa generalmente interessi commerciali più che ideologici.
Talvolta alcuni punti di vista politici vengono censurati semplicemente perché sono
incompatibili con le strategie commerciali, ad esempio critiche politiche troppo radicali
sono considerate lontane dagli interessi del pubblico e identificate con atteggiamenti
violenti.
Quest’analisi riguarda esclusivamente i mezzi di comunicazione di massa. Nei mezzi di
autocomunicazione di massa (Internet) non esistono forme tradizionali di controllo
all’accesso.
The message is the medium: politica mediatica e politica dell’informazione
Le caratteristiche della politica mediatica sono essenzialmente tre:
1. personalizzazione;
2.campagne elettorali imperniate sull’uso dei media;
3.pratiche di manipolazione (spin). Lo spin è l’attività dei politici (e dei loro consulenti) di
comunicare le cose in modo favorevole a sé e nocivo per gli avversari.
Naturalmente l’obiettivo è raggiungere una posizione di potere e mantenerla. Quindi il
messaggio da trasmettere agli elettori è semplice: sostenete il candidato e respingete gli
avversari. Tutta la campagna ruoterà intorno a questo, declinata in forme e piattaforme
diverse. Il messaggio prodotto dev’essere infatti un’interfaccia tra i valori del politico e i
valori del cittadino, dev’essere costruito su misura. Il cittadino medio presta attenzione
solo ai temi più significativi e più vicini al suo vissuto; le notizie politiche sono in genere
poco interessanti per lui, a meno che non vengano presentate in forma di infotainment,
toccando così la sua emotività.
L’efficacia della strategia elaborata dipende dall’accuratezza dell’analisi del potenziale
elettorato, oltre che naturalmente dalle qualità contingenti del politico.
Progettare il messaggio: i think tank politici
La politica informazionale è una pratica politica professionalizzata; vengono articolati
messaggi che dipendono dagli interessi e dai valori della coalizione sociopolitica costruita
intorno ad attori politici specifici. Il contenuto e le forme vengono sempre più spesso decisi
con la consulenza di think tank, ossia dei centri di ricerca dove lavorano esperti che
analizzano le tendenze, interpretano i meccanismi cognitivi delle persone e infine
elaborano la conduzione delle politiche.
Hanno preso piede negli USA, dove sono tradizionalmente legati ai gruppi conservatori e
repubblicani, negli anni ’60. Vi era all’epoca una crisi socio-politica molto forte a causa
della guerra in Vietnam: la popolazione metteva in discussione il governo, nascevano molti
movimenti contro-culturali che minavano alla base il conservatorismo. Nixon vinse
comunque le elezioni del ’68 e del ’72 ma il suo consenso veniva eroso sempre più. Con la
crisi economica degli anni ’70 si acuiva il clima di incertezza e si apriva nuovo spazio ai
democratici. Così un’élite conservatrice decise di prendere in mano la situazione
radunando competenze accademiche e professionali, mettendo da parte la politica
dilettantistica e creando una serie di think tank. L’ascesa di questi organismi si riconduce
al 1971, quando l’avvocato Lewis Powell distribuì un memorandum riservato sui pericoli
del controllo della sinistra liberale sulle risorse accademiche e mediatiche. Per evitare la
catastrofe le destre dovevano organizzarsi: nasceva il mondo delle lobby. Il documento
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infatti ispirò la creazione di molte fondazioni e organizzazioni (come la Heritage
Foundation e il Manhattan Insitute) che potevano contare su ricche fonti di finanziamento
e che perciò risultavano molto influenti. Ai think tank viene attribuito il merito della
vittoria di Reagan nel 1980.
I democratici ricorsero presto alla stessa soluzione, ma potevano contare su fonti minori di
finanziamento e quindi su un impatto politico minore. George Lakoff fu uno degli
intellettuali che si prestò alla causa con il suo Rockridge Institute, ma l’estabilishment
democratico non sembrava aver colto l’importanza di questo aspetto. Solo dal 2000 hanno
recuperato quota.
Oggi il numero di think tank è quadruplicato; molti sono a base statale; la maggioranza è di
tendenza conservatrice e proviene dal settore privato. Caratteristica dei conservatori è l’uso
sistematico dei media per plasmare l’opinione pubblica; in questo senso è chiaro che un
budget maggiore assicura una maggiore visibilità (anche perché si possono sostenere
progetti che a loro volta richiamano attenzione mediatica). I liberal spendono il loro
budget in analisi politica, i conservatori lo spendono in relazioni con i media e attività di
lobby sul governo.
In Gran Bretagna i think tank sono arrivati con Tony Blair, anche se in seguito all’11
settembre c’è stato uno scollamento dovuto allo shock politico per l’allineamento con Bush.
Nel resto d’Europa non hanno mai rivestito una funzione veramente operativa:
generalmente si occupano di analisi delle politiche ed elaborazione ideologica.
Mirare il messaggio: il profiling della cittadinanza
Formulate le politiche e le strategie, si passa alla fase successiva: segmentare la
popolazione identificando valori, opinioni, comportamenti sociali e politici. L’elettorato
viene così sezionato in base ai profili sociali, vengono creati dei target specifici (ai quali
indirizzare un messaggio personalizzato) sulla base delle correlazioni statisticamente
riscontrate tra caratteristiche demografiche, inclinazioni mediatiche, opinioni e decisioni
di voto. Se dunque il messaggio è unico (il politico), molte saranno le sue forme, pur
evitando contraddizioni troppo palesi. Sondaggi e focus group aiutano a ridefinire il
messaggio; analizzando l’efficacia in tempo reale si può raddrizzare il tiro anche in piena
campagna, ottenendo risultati migliori. Si possono poi tracciare dei profili per ciascuna
circoscrizione elettorale, utili per mettere a punto forme di propaganda postale, telefonica.
La logica è dunque prettamente commerciale. Il cittadino è simile al consumatore e, del
resto, i database consultati per il profiling sono proprio di aziende e imprese commerciali
(talvolta con una notevole lesione della privacy).
Nel 2000 e nel 2004 è stato Karl Rove (e prima di lui Lee Atwater) ad adattare queste
tecniche di marketing aziendale alla campagna repubblicana dell’ amministrazione Bush.
Rove aveva iniziato negli anni ’70 con la campagna elettorale dei College Republicans
insieme ad Atwater; nel ’78 incontrò George Bush che lo assunse per la sua prima
candidatura al Congresso e poi per la campagna del 1980.
Rove portò nel partito le logiche del MLM (multi-level marketing), ossia «l’adozione di un
reclutamento di tipo piramidale e di tecniche di marketing (vendendo candidati come si
vendono Tupperware)». Gli studi di Rove portarono a comprendere che uno strumento
molto efficace in politica erano i volontari. Essi furono sfruttati in due strategie. La prima
fu la 72-Hour Task Force (2001): l’affluenza dei votanti sarebbe stata incrementata
attraverso una campagna nei 3 giorni precedenti le elezioni sfruttando dei volontari scelti
con cura, in grado di attivare le proprie reti (chiese, associazioni, circoli, ecc.). La seconda
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fu il Voter Vault (2004), un enorme database contenente dati su consumi, abbonamenti
a riviste e molto altro che censiva circa 175 milioni di persone facendone un micro-
targeting. I dati su cui si basa sono acquistati legalmente dagli operatori sul campo. In
base a vari criteri, Voter Vault può stabilire la tendenza di voto di ogni circoscrizione.
Questo ha favorito presso i Repubblicani l’allocazione di una grossa fetta del budget in
propaganda postale e telefonica, mentre le spese per il personale di partito scendevano a
causa dell’automazione.
Anche il Partito Democratico creò due database, Demzilla e DataMart, ma l’elaborazione
dei dati era di gran lunga inferiore. Nel 2008 hanno creato un database centralizzato e più
aggiornato.
Gli studi su queste nuove pratiche hanno mostrato che nel 2004 la mobilitazione degli
elettori è cresciuta notevolmente (dal 54 al 60%), mentre nel resto del mondo le
democrazie vedevano un declino dell’affluenza alle urne. Questo, combinato alla maggiore
polarizzazione e specificità ideologica, potrebbe aver portato alla vittoria dei repubblicani
nel 2004.
La pista del denaro
Come si può intuire, tutte queste attività hanno un costo che spesso non riesce ad essere
coperto dal regolare finanziamento delle organizzazioni politiche. I costi delle campagne
elettorali sono cresciuti esponenzialmente (soprattutto negli USA dove hanno sfiorato, nel
2008, il miliardo di dollari). Ma la crescita dei finanziamenti non è imputabile solo a
questo, bensì anche e soprattutto alla volontà da parte di gruppi di interesse di influenzare
la formazione delle politiche. Oggi le leggi negli USA stabiliscono un limite alle donazioni
che ogni singolo individuo può fare a un candidato durante un ciclo elettorale, ma tale
limite viene scavalcato facendo le donazioni ai partiti o sfruttando altri cavilli burocratici.
Per esempio, le società e le compagnie private - a cui è oggi vietato donare fondi
direttamente per la campagna di un candidato alla presidenza - spesso creano i cosiddetti
«gruppi 527» (prendono il nome dal codice fiscale): essi possono finanziare campagne
pubblicitarie o altre attività di propaganda, a patto che non facciano coordinamento con le
campagne elettorali ufficiali su temi da trattare e che non spingano apertamente il
pubblico a votare per il candidato. Generalmente finanziano la pubblicità a pagamento nei
media.
Ogni candidato ha inventato forme originali ed efficaci di fundraising: Clinton offriva ai
donatori, in base alla cifra messa a disposizione, una colazione alla Casa Bianca o una notte
nella stanza di Lincoln. Anche quando ha raggiunto forme grottesche, questo sistema di
finanziamento non è mai stato contestato. Nonostante la nascita della Federal Electoral
Commission, la democrazia americana resta imbarazzantemente «in vendita». Il sistema
giuridico sembra incoraggiare le attività di lobby, tutto è legale.
Anche nel resto del mondo il denaro compra la politica, talvolta nell’illegalità, talvolta
nell’assenza di una regolamentazione efficace. Il caso del Kenya è peculiare. Fino al 2007
non vi era una legge che imponesse un rendiconto sui finanziamenti, che venivano usati
quindi per le attività più varie. I soldi venivano dall’uso occulto di fondi pubblici ma anche
dall’appoggio di aziende e fonti estere. Gli imprenditori dovevano necessariamente pagare
le élite politiche per ottenere qualcosa, quindi in molti casi decisero di candidarsi
direttamente. Nel 2007 le elezioni videro 130 partiti e 2500 candidati. In quello stesso
anno fu approvata una legge per regolare la situazione, ma pare inefficace. La situazione di
altri stati africani, sud-americani e asiatici è molto simile. 5
In Europa occidentale e settentrionale il finanziamento dei partiti è pubblico e quello
diretto è rigidamente controllato. A differenza degli USA vi è una separazione regolata tra
business e gruppi di interesse della politica europea.
Vi sono due casi particolari però: la Gran Bretagna e la Spagna. In entrambi i paesi i
contributi ai partiti devono essere dichiarati ed esiste un tetto massimo alla spesa per le
elezioni. I partiti, non i candidati, ricevono un finanziamento pubblico diretto sia nel
periodo elettorale, sia tra un’elezione e l’altra; l’entità è proporzionale ai risultati nelle
ultime elezioni. In Spagna anche l’attribuzione dei tempi di trasmissione in tv (perfino nei
tg) è determinata da quello, mentre nel Regno Unito dipende da numero e distribuzione
geografica degli elettori. In Gran Bretagna le spese sono aumentate negli ultimi anni ma di
certo sono ben lontane da quelle americane (parliamo “solo” di 440 milioni di sterline).
Tuttavia l’attuale assetto si deve ad un serie di grossi scandali di cui fu protagonista Blair
nel 1997: grazie al meccanismo del blind trust 1 e alla mancanza dell’obbligo di dichiarare le
donazioni, il partito laburista poteva contare su donazioni di “misteriosi” multimilionari.
In seguito a ciò nacque nel 2000 il Political Parties, Elections and Referendums Act
(PPERA), che controllava spese e finanziamenti, ma gli scandali non finirono. Nel 2005
Blair fu indagato per lo scandalo «Cash for honours»: in cambio di ingenti prestiti il primo
ministro concedeva titoli nobiliari.
Per quanto riguarda la Spagna, il tetto massimo di spesa per ciascun partito è rigidamente
controllato dal Ministero per l’Economia. Il finanziamento è su base pubblica in relazione
ai voti ricevuti nelle ultime elezione e ai seggi ottenuti. Accanto a ciò, i partiti cercano
comunque altre forme di finanziamento - generalmente illecite.
Dunque, se tutti devono sottostare agli stessi limiti, fornire denaro extra è un’operazione
illecita che implica l’apertura di un “credito politico”, ossia implica il clientelismo. I partiti
accettano perché il denaro di cui dispongono non è mai abbastanza. Ma soprattutto i fondi
extra garantiscono una certa flessibilità nel loro impiego, cioè possono essere spesi per
attività che sarebbe difficile definire come politiche; inoltre garantiscono riservatezza (e
quindi vengono usati per spionaggio, ricatti, ecc.).
La manipolazione delle notizie
Intervenire sull’informazione rappresenta l’azione più significativa della politica mediatica.
Il telegiornale viene messo in scena come una forma di intrattenimento in modo da
attrarre lo spettatore-medio. Nel cap.3 abbiamo parlato di agenda setting, priming e
framing; ma i metodi variano a seconda dell’assetto di ogni paese.
Il caso italiano è molto interessante: il 50% dei cittadini usa la tv come sola fonte di
informazione politica (il 77% in periodo elettorale); il giornalismo italiano è, a dispetto
delle apparenze, il più politicizzato del mondo democratico (tra la lottizzazione RAI negli
anni ‘70-’80 e l’ascesa di Berlusconi dagli anni ’90 in poi che ha portato al controllo da
parte del presidente del Consiglio di tutto il sistema televisivo).
Nei tg italiani ritroviamo personalizzazione, spettacolarizzazione, frammentazione
dell’informazione e soprattutto uno schema peculiare: gli attacchi personali tra politici.
Affidamento fiduciario con il quale il titolare conferisce il proprio patrimonio a un consiglio direttivo che lo amministra
1
per suo conto. Tipicamente il blind trust viene costituito da soggetti che accedono a cariche pubbliche di altissima
rilevanza, al fine di assicurare che le decisioni da essi prese nell'interesse pubblico non possano essere influenzate dal
proprio interesse personale: il costituente non ha idea di quali siano i settori economici nei quali è investito il proprio
patrimonio e pertanto non è in grado di favorirli nel proprio agire; ma non serve invece ad impedire che le aziende
favoriscano il loro proprietario. 6
Questo accresce la disaffezione dei cittadini verso la politica, ma fa audience. La
personalizzazione è enfatizzata, al punto che tutto ruota esclusivamente intorno alle
dichiarazioni dei leader. Si è affermata la cultura della politica-spettacolo, sempre più
farsesca.
In particolare Berlusconi ha fatto un uso dei media (senza distinzione tra tv pubblica e
privata) personalistico e patologico: ha condotto battaglie contro giudici e parlamentari, ha
costruito la sua immagine di self made man, ma soprattutto ha scavalcato i partiti
rivolgendosi direttamente agli elettori.
Ma anche la BBC ha qualche scheletro nell’armadio. La vicenda del «Dodgy
Dossier» (2003) ne è un esempio. Nel 2003 Alistair Campbell, spin-doctor di Blair, aveva
elaborato e consegnato ai giornalisti un rapporto sul possesso di armi di distruzione di
massa da parte dell’Iraq. Questo - insieme ad un dossier del settembre precedente -
avrebbe legittimato il supporto inglese alla politica di Bush. Ma un docente universitario
dimostrò che quel dossier era un plagio in quanto riportava interi stralci di un articolo
scritto da uno studente americano. La BBC denunciò l’accaduto. Inoltre, quando le armi di
distruzione di massa non furono trovate, il giornalista Andrew Gilligan dichiarò che una
fonte segreta aveva confessato che il dossier di settembre era stato gonfiato per una sorta
di “strategia della paura”. Campbell pretendeva le scuse di Gilligan e Blair lo difendeva. La
sua popolarità precipitò. Intanto fu identificato come possibile fonte della BBC lo
scienziato David Kelly, ma fu trovato morto suicida. La commissione Hutton indagò sulla
storia e stabilì che le accuse di Gilligan erano infondate, la BBC veniva duramente criticata
e la sua dirigenza si dimise. Molti però accusarono la commissione di aver voluto
insabbiare il caso per non nuocere al governo.
Il momento della falsità: le campagne elettorali
Le elezioni sono il momento culminante, gli ingranaggi della democrazia. Le proposte dei
candidati devono essere costruite per ottenere il supporto dell’elettorato, attivando in esso
processi emotivi e cognitivi. Molte campagne adottano una strategia a 3 vie:
1. ci si assicura la base storica, i fedeli sostenitori del partito. Non si deve quindi deviare
troppo rispetto alla tradizione;
2.si cerca di confondere e minare la base di consenso dell’avversario evidenziandone i lati
negativi o le contraddizioni rispetto ai valori dell’elettorato;
3.si punta a conquistare l’appoggio degli indecisi e degli indipendenti. Generalmente
questa è la strada determinante. Gli indipendenti/indecisi sono molto attratti dai
messaggi negativi perché tendono a mobilitarsi contro le eventuali conseguenze negative
che deriverebbero dall’elezione di un certo candidato.
Per attuare queste strategie serve un’infrastruttura solida. Innanzitutto servono dei
finanziamenti: più soldi ci sono, più è alta la possibilità di essere eletti. Poi c’è bisogno di
consulenti qualificati, motivo per il quale oggi la politica è sempre più professionalizzata.
Serve un’analisi accurata dell’elettorato che verrà poi sfruttata nelle operazioni di volontari
e attivisti. Generalmente il richiamo degli elettori funziona di più se a farlo è qualcuno
ideologicamente impegnato. La campagna si esplica essenzialmente nei media o comunque
in modo da poter essere ripresa sui media, in particolare in tv. Anche Internet va
assumendo un grande rilievo per gestire la campagna ed entrare in contatto coi supporter
(vedi il caso di Obama, cap.5). I forum e le reti d’informazione vengono usati per
organizzarsi; i siti web proiettano un’immagine di efficienza e modernità e permettono di
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raggiungere gli elettori scavalcando i partiti. Anche gli SMS sono sempre più usati per
diffondere informazioni e fare propaganda.
Le campagne in un ambiente digitale multimediale
In ogni campagna si devono individuare i canali più appropriati. Abbiamo già accennato al
fatto che la tv rappresenta la fonte principale, ma via via il suo prestigio sta calando (dal
75% nel 2004 al 60% nel 2007) a vantaggio di Internet (21% nel 2004, 46% nel 2007). I
giovanissimi consultano sul web diverse fonti, mentre gli ultratrentenni si limitano in
genere ad una sola. I siti più consultati sono tuttavia quelli dei media tradizionali (come la
CNN), quindi non ci si discosta molto dal mainstream.
Il ruolo dell’email e dei social network nelle campagne elettorali è un dato di fatto: si
guardano video, interviste, discussioni, si raccolgono informazioni sui candidati. Internet è
diventato un mezzo decisivo perché i giovani rappresentano il fulcro principale delle
politiche dei candidati.
Fare politica mediatica vuol dire adattarsi ad uno stile e a un linguaggio diverso: i politici
devono fornire materiali stimolanti e interessanti, in grado di attirare il pubblico e
rispettare il formato richiesto (ad esempio le dichiarazioni devono essere brevi, come i
soundbite americani della durata di 7.7 secondi). Una tendenza imperante sono gli
spezzoni video su YouTube, una forma di diffusione virale 2 e molto influente.
La caratteristica dell’era digitale è l’interazione tra Internet e i media mainstream.
Chiunque oggi grazie al web può creare informazione, ma il suo successo dipende da come
essa viene percepita dalla gente; in questo hanno un ruolo rilevante di cassa di risonanza i
mass media. La differenza tra comunicazione di massa (media tradizionali) e
autocomunicazione di massa (Internet) sta nel livello di controllo all’accesso nel sistema:
Internet è meno controllato - quindi teoricamente meno credibile - ma offre una maggiore
varietà di informazione.
La messinscena della scelta politica: i dibattiti elettorali
I dibattiti politici televisivi sono un’esibizione di personalità. Sono meno decisivi di quanto
si pensi, perché si limitano tendenzialmente a confermare le predisposizioni della gente: i
cittadini tendono a schierarsi comunque con il loro candidato favorito, piuttosto che con
quello che è stato più persuasivo. In ogni caso, possono essere un momento importante
soprattutto se il candidato è in grado di sfruttare gli eventuali errori dell’avversario.
Le regole sono molto rigide e vengono contratte dai responsabili delle campagne: sequenza
delle domande, moderatori, intervistatori, ecc.
Nell’analisi bisogna tener conto, oltre che del dibattito in sé, anche dello spin post-dibattito
dei commentatori e della reazione dei media e del pubblico.
La politica della personalità
L’immagine positiva o negativa del candidato determina l’esito delle elezioni. Questo
deriva da vari fattori: la minore influenza dei partiti nella società; i periodi molto brevi di
campagna elettorale; la dipendenza dai media nell’informazione; il ruolo principe della
Le forme di marketing virale sono forme non convenzionali che sfruttano la capacità comunicativa di pochi soggetti
2
interessati per trasmettere il messaggio ad un numero elevato di utenti finali. È un'evoluzione del passaparola, ma se ne
distingue per il fatto di avere un'intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna. 8
pubblicità politica in alcuni sistemi, che produce un’attrazione/repulsione immediata in
base a fattori fisici e scenici; la vaghezza dei candidati stessi circa i propri programmi.
Ma soprattutto gli studi mostrano che i votanti tendono ad essere degli «avari cognitivi», a
disagio nel maneggiare questioni politiche complesse. Per questo nel loro comportamento
si individua una bassa razionalità di informazione: le decisioni di voto sono basate sulle
esperienze della vita di tutti i giorni, quindi anche sulla fruizione dei media. Si cerca la via
più facile per acquisire informazioni. Quindi ci si fa un giudizio basato sull’aspetto e sulla
personalità in termini di affidabilità e carisma. La gente cerca qualcuno che gli assomigli
ma che abbia una capacità di leadership superiore: prima si valutano le qualità umane del
candidato, poi - in una seconda fase - la sua competenza ed efficienza. Il votante cerca
sincerità, intelligenza e indipendenza.
Le valutazioni avvengono quindi sulla scorta delle emozioni. Tutto sta nel creare una
relazione positiva con gli elettori: le strategie di spinning ricostruiscono l’immagine del
candidato facendo leva sui suoi punti di contatto con la gente comune (l’essere alla mano,
l’avere umili origini, ecc.). Più che una persona piacevole, il candidato dev’essere una
persona dalle grandi doti relazionali.
Un esempio: il caso spagnolo alla fine degli anni ’70. Dopo l’esperienza fascista, il Partito
Socialista cercò di farsi avanti puntando su un candidato giovane, carismatico, piacevole e
brillante: Felipe Gonzales. Nonostante le sue doti naturali, a vincere fu il candidato
centrista Adolfo Suarez, anch’egli giovane e determinato. Ma i socialisti lavorarono
sull’immagine di Gonzales e su una campagna negativa nei confronti di Suarez. La
strategia funzionò e i socialisti vinsero in maniera schiacchiante. Tutta la campagna
ruotava, innovativamente, attorno a Gonzales. Il rischio era che se fosse caduto il governo,
tutto il partito ne avrebbe risentito. La politica democratica era diventata politica
d’immagine e, preso atto di ciò, si istituì un dipartimento dell’immagine presso l’ufficio del
Primo Ministro.
Licenza di uccidere: la politica dell’aggressione
Esaltazione del candidato e distruzione dell’avversario vanno di pari passo. Ci sono vari
modi di minare la credibilità altrui: denunciando malefatte, mettendo in dubbio la sua
integrità morale o politica, associandolo a stereotipi negativi, rivelando corruzione o
illegalità nei partiti che lo appoggiano, ecc.
E’ provato che le immagini negative sono più convincenti di quelle positive, per cui il
killeraggio politico è ormai una prassi: in ogni campagna politica c’è la opposition
research. Stephen Marks è un ex consulente repubblicano specializzato proprio in questo;
ha rivelato in un libro le sue tattiche e difende questa pratica sostenendo che è un servizio
pubblico. Con lo scandalo Watergate questi consulenti presero il nome di rat-fuckers.
Prima si identificano i punti deboli del candidato e poi si dà inizio alla ricerca, anche
giungendo a compromessi morali per portarla avanti. Le informazioni raccolte vengono
elaborate nel modo più controproducente possibile e lasciate trapelare ai media. Senza di
essi, la black propaganda non avrebbe successo.
I partiti quindi devono essere sempre pronti a controbattere; per questo motivo i
consulenti fanno la cosiddetta «valutazione di vulnerabilità», una ricerca sui punti deboli
del proprio candidato che possa prevenire gli attacchi altrui.
Il rischio della campagna negativa è che essa susciti disapprovazione nel proprio elettorato.
Sarebbe infatti meglio lasciar trapelare notizie ai media rimanendo però al di fuori della
mischia. 9
DESCRIZIONE APPUNTO
Questo appunto è un riassunto del quarto capitolo del testo Comunicazione e Potere, M. Castells,2009, utilizzato durante il corso di Comunicazione politica tenuto dalla prof.ssa Bentivegna. Qui si spiega e il motivo per cui, nella società in rete, la politica diventa fondamentalmente politica mediatica, concentrandosi sulla sua espressione più caratteristica, la politica dello scandalo, e collegando i risultati dell’analisi con la crisi mondiale di legittimazione politica che mette in discussione il significato stesso di democrazia in gran parte del globo.
Il rischio maggiore sta nell’appropriazione della rete internet da parte del potere (sono un esempio i casi delle diverse strategie di controllo di Russia e Cina) e da parte delle imprese, che perseguono una strategia di “mercificazione della libertà".
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vipviper di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di COMUNICAZIONE POLITICA e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Bentivegna Sara.
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