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Dietro alle scene non è una commedia contro la pratica del teatro – sarebbe un assurdo paradosso

– ma contro la pratica del cattivo teatro. L’uso del teatro nel teatro si rivela a tale proposito

funzionale: la modalità della prova denuncia con spietatezza tutta l’approssimazione che domina il

mondo della scena drammatica.

La prova interna comincia in I, 4: benché collocata entro uno spazio domestico, si presenta come

una vera e propria pièce interna da svolgersi sotto gli occhi del capocomico e del suggeritore, con

il copione in mano, secondo la formula tipologica usata nel secolo precedente. Il raccordo tra i due

livelli è rappresentato anche qui dal suggeritore, Antonio. Non si tratta però della figura del

demiurgo, che non è d'altronde ravvisabile nemmeno nei personaggi di Cirillo, privo di qualsiasi

lungimiranza o consapevolezza artistica, o Demetrio, che soffre presente alla prova. Si delinea alla

fine della prova interna il panorama desolante in cui si dibatte il mondo del teatro drammatico

professionistico ottocentesco, dominato dalla miserie e dalla logica della sopravvivenza

economica, che rendono accettabili ogni compromesso e ogni scelta di allestimento scenico. Un

divertimento a buon mercato per un pubblico di bocca buona, che pare rassegnato solo a cogliere

l’occasione per farsi una risata o passare qualche ora di svago.

Il quadro tratteggiato da Bon si rivela in tutta la sua efficacia nel II atto che l’autore costruisce, con

una geniale trovata scenografica, rappresentando sul palco appunto il “dietro alle scene” di cui

parla il titolo, con un originale utilizzo del procedimento di raddoppiamento dei piani. Il dietro alle

scene risulta così lo spazio riservato alla pièce cornice, che sceneggia in modo gustoso le reazioni

degli attori alla recita della pièce interna, di cui si può cogliere, attraverso il fondale posto di scorcio

e il retro delle quinte, qualche brano, ma soprattutto, la reazione del pubblico che si suppone

presente in sala. Con la grande economia di mezzi propria del teatro drammatico italiano del

tempo, Bon predispone un ambiente che prelude al raddoppiamento della sala teatrale. Tutta la

famiglia dei commedianti vi è dipinta con una sincerità coraggiosa, in tutto il grottesco di una

supina ignoranza, entro un crescendo di equivoci e incidenti schiettamente comici che

prefigurano,sotto forma di una prova interna in extremis, il loro fiasco nella commedia. solo alla

scena 12, dopo l’affissione dell’ordine degli ingressi sulla quinta da parte del suggeritore e la

collocazione delle bilance, può avere inizio lo spettacolo: il pubblico segue dapprima in silenzio la

rappresentazione, fino alla catastrofe del primo fallimentare cambio di scena. Se a Pietro

apparitore la mutazione scenografica non riesce, a Bon drammaturgo la situazione si presta per un

geniale colpo di teatro che permette la visione raddoppiata della sala teatrale, con una

realizzazione allo specchio del teatro nel teatro.

Rappresentati per la prima volta nel dicembre del 1838 al Teatro Re di Milano, i tre atti di Dietro

alle quinte ottennero un discreto successo, se si considera che Bon li riporterà in scena più volte

negli anni immediatamente successivi.

Nel 1852 Paolo Ferrari si ispira sicuramente alla struttura di questa commedia per la composizione

di Goldoni e le sue sedici commedie nuove. Come già indica il titolo, la pièce narra le vicissitudini

della stagione di carnevale 1749-1750, nella quale Goldoni tormentato dalle rivalità della

concorrenza e dalle difficoltà della compagnia Medebach, matura il proposito di risollevare le sorti,

in particolare dopo lo sfortunato debutto di L’erede fortunata, proponendo al pubblico veneziano

sedici nuove commedie per la stagione successiva, che sancirà il trionfo della riforma del teatro

comico. È interessante rimarcare tuttavia che già le recensioni dell’epoca e, in seguito, i maggiori

studi critici, mostrano di trascurare l’impianto meta teatrale e il gioco di teatro nel teatro, avviando

piuttosto un’insistita querelle sull’originalità compositiva dell’opera. In realtà, la volontà di riflettere

sulla commedia italiana stessa è ben sottolineata dall’autore sin dalla premessa del 1854, il quale

instaura un parallelo tra la sua produzione e quella settecentesca di Goldoni. Questi è, tra le altre

cose, il personaggio demiurgo del testo. Tale immagine di Goldoni matura già nella prima parte

della commedia, che prevede due atti interamente giocati sul piano della cornice, come attestano

le due ambientazioni. Nel I atto siamo infatti in casa di Goldoni la sera del debutto della Vedova

scaltra: qui il drammaturgo si gusta dall’esterno i battibecchi come uno spettacolo, assumendo la

posizione di spettatore interno privilegiato che assiste alle varie parti della commedia. all’interno

dell’articolazione dei plot i dissidi del I atto hanno la funzione di delineare agli occhi dello spettatore

ottocentesco la difficile situazione in cui si svolge il lavoro del drammaturgo, reso ancora più

instabile dalla volubilità del pubblico e dalla acredine dei detrattori pronti a mettere in satire le

commedie di nuovo stile. Tale prospettiva viene ribadita nel II atto, che rivela la dimensione di

accoglienza pubblica del lavoro goldoniano nella Venezia del tempo. L’azione è ambientata in una

bottega da caffè, dove si ritrovano i nemici e i sostenitori della nuova commedia, tra i quali Carlo

Zigo, il principale nemico del drammaturgo. Ad essi si mescolano anche Goldoni e Medebach,

ugualmente mascherati. La situazione presta a un’ulteriore occasioni si spettacolo interno,

sviluppato sul gioco degli equivoci di identità.

Il II atto prevede invece la consueta situazione della prova in scena. È questa la parte che riprende

maggiormente il modello del Teatro comico, di cui ricalca la struttura del I atto con l’arrivo graduale

dei comici in vista della prova: la variante è qui rappresentata dalla funzione del suggeritore Tita

che, non visto dalle attrici, si pone nella sua buca per ascoltare le loro confidenze e scopre

l’infedeltà della moglie, che lo tradisce con il secondo amoroso. L’uomo però deve tenersi tutto

dentro perché la prova va ad incominciare, al cospetto dell’autore.

Come tutti i demiurghi, anche Goldoni si assume quindi competenze distributive e registiche

seguendo passo passo la scena di commedia e contrappuntando le battute con opportuni

commenti, che rivelano la sua superiore e lucida visione delle cose. Si assiste così a un avvio di

pièce interna che, tuttavia, non riesce a scorrere filata, malgrado gli sforzi dell’autore-regista, a

causa delle interferenze degli spettatori interni pungolati dalla gelosia, benché dalla situazione

debba essere esclusa ogni situazione parodistica, come avverte Ferrari: “A questo punto

specialmente si guardino gli attori dal caricare troppo la comica di questa scena, o dal fare

ridicolezze. Comici la scena. Tita suggerisce abbastanza forte da essere inteso dal pubblico, e

quando le parole sono affettuose fa sentire nel modo di suggerirle la rabbia e la gelosia che lo

strugge […]”. La sequenza della prova interna è costruita da Ferrari sul contrappunto comico tra il

versante professionale dell’attore e la vicenda privata, cosicchè lo scambio amoroso viene vissuto

conflittualmente dai due interpreti che nella pièce cornice simpatizzano tra loro, ma che sono

contemporaneamente già impegnati con altri membri della compagnia. Ciò ostacola ancora di più il

lavoro dell’autore-regista che vorrebbe ottenere un risultato di naturalezza sulla scena, cosicchè

prossemica, atteggiamenti e gesti siano diretta conseguenza delle parole. Al conseguimento di tale

effetto si oppongono tuttavia l’imperfetta conoscenza della parte e la motivata approssimazione del

suggeritore, che tradisce il testo. Goldoni lo riprende e, in lui, si intravede l’autore Ferrari che “va

perdendo la pazienza” di fronte all’abituale consuetudine del suggeritore di professione di seguire il

copione con una certa libertà. Il demiurgo Goldoni diventa il tutore del testo e della sua fedele

riproduzione in scena, combattendo l’ardua battaglia contro l’approssimazione della messinscena

tipica dell’Italia sette e ottocentesca. La situazione di teatro nel teatro e la funzione dell’autore

demiurgo vengono replicate nell’atto successivo, che presenta un’ambientazione dietro alle scene

direttamente ispirata alla commedia di Bon: siamo infatti nella stanza attigua al palco del teatro

Sant’Angelo, dove soggiornano gli attori in attesa di entrare in scena, la sera della

rappresentazione dell’Erede fortunata. Qui Goldoni, superato un momento di umano abbandono

dovuto alla reazione negativa del pubblico, torna ad essere il demiurgo, rivestendo la sua funzione

di mediatore tra i due livelli, visto che esce ad arringare il pubblico e a tentare di far riprendere la

recita; compresa l’inefficacia del tentativo, l’autore entra in gioco e compone il famoso complimento

di chiusura per la prima attrice contenente l’annuncio delle sedici commedie nuove, che qui risulta

una decisione estemporanea, dettata dalla necessità, ma in grado di risolvere con un colpo di

teatro brillante l’esito della pièce interna.

Nella commedia, nessun personaggio mostra di avere la lungimiranza del drammaturgo, la cui

funzione di autore-demiurgo diviene l’elemento risolutivo per il successo del suo teatro: le

commedie hanno consenso di pubblico perché scritte a ridosso della scena da un uomo che si

compromette direttamente con il lavoro degli attori, scrivendo le parti necessarie al momento

giusto, modificando i suoi progetti secondo le circostanze e il materiale umano che ha a

disposizione.

Questo ritratto di autore ideale era l’immagine che Paolo Ferrari aspirava a sovrapporre a se

stesso. anche lui, come Goldoni, dirige personalmente le prove e suggerisce agli attori intonazioni

e movimenti di scena, seguendo tutte le fasi di preparazione. Vista alla luce di questi documenti, la

poetica meta teatrale di Goldoni espressa attraverso la prova in scena del III atto e lo spettacolo

del V atto si traduce nella necessità di un autore-direttore in grado di decidere direttamente sulla

vicenda scenica del testo, facendosi garante della fedeltà delle intenzioni della pagine e al

contempo delle qualità materiali dell’allestimento, sottratto alla sfera di autonomia del capocomico

e del’attore.

La “Grande Magia” del teatro di Eduardo

Sin dal 1922, non casualmente l’anno successivo al debutto dei Sei personaggi di Pirandello, il

motivo del teatro nel teatro compare nella drammaturgia di Eduardo De Filippo, all’epoca attore

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
34 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher delia.dovi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Drammaturgia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Cambiaghi Mariagabriella.