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Il terzo consiste nella neutralizzazione, tramite l’involucro (cioè il vestito),
3)
dell’oggetto maschile, considerato come osceno: a tal proposito, il rapporto che il
transessuale stabilisce col vestito si distingue radicalmente da quello che istituisce il
travestitista. Infatti, a differenza di quest’ultimo, il transessuale rigetta tutto ciò che si
trova dietro il velo; il pene, quindi, è un “di più”, uno scarto da eliminare, uno
“spigolo” che impedisce al vestito di aderire perfettamente alla pelle. Pertanto, al
transessuale non importa tanto di avere una neovagina per godere in modo femminile,
ma di ridurre al massimo la discordanza tra il pene e il vestito;
4) Il quarto tratto riguarda il fatto che la materialità del pene disturba dolorosamente,
rendendo insufficiente l’efficacia dell’involucro. Le parti maschili sono, quindi,
vissute con doloroso disagio.
A tal proposito, Czermak parla di “ipocondria fallica” per designare il rigetto del
significante fallico e il conseguente ritorno dell’organo genitale, cioè del pene. E’ a
partire da qui che i soggetti, collocati al di fuori del campo fallico, reintegrano i loro
oggetti a piccoli negli orifizi primordiali;
5) Il quinto tratto strutturale è dato dal collasso del corpo al vestito, qualificato
dall’Autore come autentico delirio di involucro: è, infatti, il tratto in cui il
funzionamento psicotico appare in tutta la sua evidenza, mostrando un collasso
nel Reale, in virtù di una carenza del Simbolico.
dell’Immaginario
Czermak sostiene che, per il transessuale, “l’immaginario è il suo stesso reale”. E’ in
questa fase che viene stabilita quell’architettura del “godimento di involucro”, che
trova la sua consistenza nel vestito, e che non ha niente a che vedere con quello
fallico, ma è quel godimento Altro di cui parlava Lacan.
Nel transessualismo, il collasso del vestito alla pelle mira alla riduzione del soggetto
alla pura apparenza. In questo movimento verso l’involucro femminile, è il soggetto
qui si ha la “morte del soggetto”, nucleo centrale
stesso che tende a scomparire (da
di ogni psicosi, e che ritroviamo anche nel transessualismo)…
Sempre a proposito del transessualismo, Czermak parla di preclusione (forclusione)
del Nome-del-Padre, che è il meccanismo specifico della psicosi.
Questa mancanza del significante paterno, nel caso del transessuale, è rimpiazzato dal
significante “La donna”: infatti, è “La donna” che il transessuale vuole incarnare, e
non “Una donna” qualsiasi.
Oggi, più che l’ “etica del bene” di cui parlava Kant, ci sembra adeguata un’ “etica
del desiderio”, che non coincide col bene. Infatti, non sempre ciò che il soggetto
desidera è ciò che gli fa bene! Si pensi, ad es., al fatto che medici e psicoterapeuti
cercano di accertarsi sulla consistenza della domanda, formulata dai transessuali, di
cambiare sesso, proprio perché sono consapevoli dell’irreversibilità
dell’operazione… Ciò proprio perché, spesso, domanda e desiderio non coincidono,
per cui il soggetto non accetta il nuovo status anatomico (a volte seguono anche
suicidi).
Pertanto, l’etica del desiderio è qualcosa che si situa al di là del bene, qualcosa che,
pur di essere raggiunto, obbliga il soggetto a danneggiare il proprio bene. Desiderare
provoca non piacere, ma dolore!