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Immunofluorescenza

Per risolvere questo problema, è stata inventata la immunofluorescenza, che è una modificazione

della microscopia a fluorescenza e che funziona secondo un principio differente da quello della

microscopia ottica normale.

(A) Qui si vede il bordo di una cellula con una serie di filamenti (filamenti proteici del

citoscheletro).

(B) Qui invece si vede la marcatura fluorescente di questi filamenti, ottenuta perché questa

cellula produce le proteine di questi filamenti in una versione fluorescente.

Cosa significa “fluorescenza”? Vediamo il funzionamento di questo tipo di microscopio.

La sorgente luminosa viene filtrata in maniera tale da produrre un raggio luminoso che è

monocromatico (o comunque contenuto in una ristretta parte di lunghezza d’onda), ad esempio in

questo caso blu. Questo è inviato a illuminare l’oggetto attraverso l’obiettivo da cui poi si osserverà

l’oggetto (e non attraverso il condensatore). In questo caso non si osserva la trasmissione della luce

blu attraverso l’oggetto, e nemmeno la rifrazione o la riflessione di questa luce blu. Si osserverà se,

una volta stimolata la luce blu, esistono delle molecole che reagendo con questa luce blu emettono

delle radiazioni. La molecola che si chiama, ad esempio, flueorescen, stimolata dalla luce blu,

produce una radiazione verde. Questa verrà captata dall’obiettivo, e attraverso lo specchio che

riflette solo la luce blu ma che fa passare la luce verde, si possono osservare le strutture verdi della

cellula, o le cellule verdi. Si potranno quindi vedere quelle cellule o quelle parti di cellule che, una

volta raggiunte dalla radiazione blu, producono una radiazione verde. È un principio differente da

quello della microscopia ottica convenzionale. Esistono molte molecole fluorescenti diverse che

vengono utilizzate in questo tipo di microscopia. Una volta stimolate da un tipo di radiazione,

emettono radiazioni a lunghezza d’onda via via diverse.

Il FITC ad esempio è la fluoresceina illuminata a radiazione blu-verdastra che produce la radiazione

verde.

Il DAPI (una molecola che si lega al DNA) illuminato a radiazione ultravioletta produce radiazione

blu. Se si immerge un preparato istologico nel DAPI, il DNA delle cellule contenuto nei nuclei delle

cellule capterà il DAPI e si attaccheranno. Illuminando ora questo preparato con una luce

ultravioletta, il DAPI emanerà una luce blu, permettendo la localizzazione del DNA.

Questa tecnica serve per osservare diversi particolari contemporaneamente.

Qui possiamo vedere contemporaneamente la divisione di tubulina, actina e DNA nelle stesse

cellule nello stesso momento.

Qui possiamo vedere la differenza fra visione a campo chiaro (praticamente invisibili) e

l’immunofluorescenza. In blu si vede DNA colorato col DAPI, le strutture verdi sono anticorpi a cui

ho legato la fluoresceina usate contro una struttura detta E-caderina. In rosso si vede un altro

anticorpo a cui è legato un altro fluoroforo (rodamina), che riconosce specificamente la proteina

Vimentina. Son state fatte tre foto: una per il DAPI, una per la radiazione rossa, una per la

radiazione verde, e poi son state sovrapposte. Così si possono osservare tre cose

contemporaneamente, e volendo anche di più.

Questo mi permette inoltre di scoprire che c’è una zona di questo preparato che chiaramente

presenta delle cellule che hanno caratteristiche molto diverse da un’altra zona, cosa che non era

molto chiara in campo chiaro.

Microscopio Confocale Il microscopio confocale

è un particolare tipo di

microscopio a

fluorescenza in cui si usa

lo stesso principio di

prima, utilizzando però un

laser (che produce una

radiazione

monocromatica: dotate di

una singola lunghezza

d’onda) come sorgente

luminosa.

Il laser produce una

radiazione che viene

allagata e mandata verso

l’oggetto da osservare

(molecole marcate con la

fluoresceina), e quindi

molecole investite da

radiazione blu emetteranno radiazione verde. In questo caso però, nell’osservazione, si utilizza

prima dello schermo in cui si osservano questi preparati, un pinhole (un bucherellino), che è di una

specifica dimensione e serve a favorire l’osservazione.

Come funziona? Le strutture che sono perfettamente a fuoco produrranno delle radiazioni che si

intersecheranno e andranno a focalizzarsi attraverso il buco (pinhole) riuscendo a raggiungere poi lo

schermo in modo indisturbato. La stragrande maggioranza delle altre, invece, verrà bloccata dalla

struttura su cui c’è il pinhole (una sorta di schermo, un filtro nero); ne passerà solamente una

piccola parte.

Il risultato è che la gran parte delle radiazioni che passano attraverso il pinhole sono a fuoco, quindi

con questo strumento si può modificare la parte che mano a mano ho messo a fuoco. Posso fare cioè

una sorta di sezioni ottiche (perché tutti i preparati istologici hanno una cellula che comunque ha un

suo volume), siccome con questo strumento si può osservare solo un piano, il piano focale, uno alla

volta.

Il risultato lo si può vedere da questa immagine. E

• (A) microscopia tradizionale

• (B) microscopia confocale

La microscopia confocale sta sostituendo quella a fluorescenza tradizionale perché evidentemente

permette una visione più dettagliata delle strutture cellulari.

Microscopia Elettronica

Se vogliamo osservare strutture più piccole di 0,2 um (risoluzione della microscopia ottica),

dobbiamo utilizzare il microscopio elettronico (a trasmissione).

Funziona con lo stesso principio del microscopio ottico.

Dalla formula della risoluzione è evidente che dobbiamo abbassare il valore della lunghezza d’onda.

Si potrebbero usare raggi X o radiazioni ultraviolette, ma poi non si potrebbero vedere. Vanno bene

nelle radiografie perché passano attraverso i tessuti molli, come se fossero trasparenti ai raggi X.

Questo perché la lunghezza d’onda dei raggi X è sufficientemente piccola da attraversare i tessuti

molli. Mentre la lunghezza d’onda luminosa invece no. E per vederli, poi, c’è bisogno delle lastre.

Dobbiamo perciò trovare delle radiazioni di lunghezza d’onda:

• sufficientemente piccole da permettere una risoluzione adatta ad osservare piccole strutture

• in qualche modo osservabili, visibili

• tali che le strutture che cerchiamo non gli siano invisibili

La microscopia elettronica usa gli elettroni. La meccanica quantistica dice che gli elettroni hanno

natura sia particellare che ondulatoria. Aumentando la velocità (il voltaggio) di un fascio di

elettroni, si diminuisce quindi la lunghezza d’onda, aumentando infatti la sua energia (frequenza di

vibrazione) la lunghezza d’onda si abbassa perché sono inversamente proporzionali.

Si fa quindi passare un fascio di elettroni attraverso un preparato istologico.

Il fascio di elettroni, per un microscopio elettronico a trasmissione, ha una lunghezza d’onda di

circa 0,05 A.

Per focalizzare questo fascio di elettroni si usano dei magneti, che deviano gli elettroni in maniera

tale da concentrarli sull’oggetto.

Avremo perciò un condensatore come le lenti ottiche del microscopio ottico composto, un

obbiettivo, e alla fine una lente proiettore (non un oculare) che manda verso lo schermo (come una

vecchia televisione col tubo catodico).

(Tubo catodico: tubo in cui è fatto il vuoto e nel quale fasci di elettroni vengono lanciati formando

dei fasci che man mano si scagliavano contro tutto lo schermo, illuminando particolari fluorofori

in posizioni specifiche. All’inizio solo in bianco e nero: il fluoroforo si illuminava o meno in base

all’energia dell’elettrone. Poi i colori son stati messi grazie all’utilizzo di tre fluorofori, uno vicino

all’altro, che per l’occhio umano appare come un unico punto di uno specifico colore).

Nel microscopio elettronico si usa lo stesso principio, solo che non si possono vedere i colori: le

zone saranno o trasparenti agli elettroni (dove quindi gli elettroni son riusciti a passare), ed

appariranno come bianche, e zone invece che appariranno scure perché in quel punto gli elettroni

non son riusciti a passare (zona elettrondensa).

Le due immagini che notiamo nelle due foto nell’immagine qui sopra sono date da

• Microscopio ottico al massimo ingrandimento

• Microscopio elettronico allo stesso ingrandimento

Si nota la differenza di risoluzione.

Nonostante la lunghezza d’onda degli elettroni sia molto bassa, le lenti magnetiche creano un

disturbo tale da non permettere la risoluzione massima consentita. La risoluzione reale del

microscopio elettronico a trasmissione (TEM) è leggermente maggiore di 0,1 nm. Questo permette

di arrivare vicino alla risoluzione dei singoli atomi, ma non si vede bene. Si può vedere, ad

esempio, il DNA ma non si percepisce il dettaglio della doppia elica. Per vederla si è usata la

diffrazione a raggi X.

Il TEM è perciò utile per vedere strutture più piccole di una cellula (organelli, virus e singole

molecole).

Riassumendo: si usa un fascio di elettroni. Il campione istologico dev’essere nel vuoto (come nel

tubo catodico), e perciò non si possono osservare strutture viventi come invece nel microscopio

ottico. Nella maggior parte dei casi si devono utilizzare delle sezioni (molto più fini che nel

microscopio elettronico), perché se no ci son troppi oggetti nel mezzo per riuscire ad avere una

immagine distinta. Per fare queste sezioni si usa un ultramicrotomo, simile al microtomo ma che

riesce a fare delle sezioni molto più sottili, circa 100nm. Queste sezioni vanno raccolte su una

griglia (non su un vetrino), e poi le si “colora” (impregnandole con dei metalli pesanti). Questo

perché una radiazione di così piccola lunghezza d’onda, incontrando una struttura di così piccole

dimensioni, la attraversa come se fosse acqua. Per poterle quindi osservare al TEM è necessario

“colorarle” con dei metalli pesanti, che possono infatti intercettare gli elettroni (come ad esempio

l’Osmio).

Questa impregnazione non è uniforme in tutte le parti cellulari.

Il risultato è simile a questo

Parte di una sezione di una cellula vista con il TEM, si notano strutture molto nere: sono vescicole

che si sono fortemente impregnate di Osmio. Questo non significa che nella cellula reale queste

strutture siano nere, significa solo che contengono delle molecole che favoriscono l’impregnazione

con l’Osmio. La microscopia elettronica perciò non rivela delle caratteristiche visibili a microscopia

ottica, ma rivela delle caratteristiche molecolari differenti da quelle

della microscopia ottica.

Inoltre non permett

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Publisher
A.A. 2014-2015
13 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/06 Anatomia comparata e citologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher peppotta di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Citologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Zavan Valeria.