Riassunto esame Cinematografia I, prof. Ce, libro consigliato Il Film di Buccheri
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ESTRATTO DOCUMENTO
L’equipaggiamento tecnico usato per le riprese viene noleggiato da appositi fornitori, a settimana o a
giornata, con prezzi proporzionati al periodo di noleggio. In fase di preproduzione, il direttore della
fotografia e il fonico stendono una lista del fabbisogno tecnico necessario per le riprese e dei luoghi
delle riprese. Nel periodo delle riprese l’attrezzatura viene spostata da un posto all’altro, ed è per
questo che tutto deve essere assicurato contro rischi di rottura o furto.
La macchina da presa
5.1.
E’ lo strumento fondamentale per la realizzazione di un film. E’ composta da tre elementi principali:
a) Il magazzino, o chassis, è il contenitore del rullo della pellicola vergine e già impressionata;
b) Il corpo macchina contiene il sistema di avanzamento della pellicola e la camera oscura per
impressionarla;
c) Il sistema ottico di ripresa e di controllo visivo, ovvero obiettivi, mirino reflex, ecc. ;
Il rullo della pellicola viene chiuso in un contenitore ermetico alla luce, un meccanismo di trascinamento la
trasporta poi nella parte frontale, davanti al cosiddetto quadruccio, o finestrino. La velocità di scorrimento
è di 24 fotogrammi al secondo. Per scorrere in maniera costante, la pellicola passa in un corridoio di guida,
e l’avanzamento regolare è garantito da un sistema di griffe (e controgriffe), dei piccoli denti che
agganciano la perforazione della pellicola e contemporaneamente portano la pellicola vergine al quadruccio e
la pellicola già impressionata al magazzino.
La quantità di luce è regolata dall’otturatore (oltre che dal diaframma), si tratta di un semicerchio che
ruota su se stesso e taglia la luce 24 volte al secondo, con un tempo di esposizione di 1/48 di secondo,
ovviamente la metà dei 24 fotogrammi al secondo.
L’immagine ripresa poi arriva al mirino dell’operatore attraverso un cannocchiale laterale detto loupe. La
stessa immagine viene registrata da una microtelecamera che la trasmette a un monitor di controllo, sul
quale il regista può controllare l’inquadratura in tempo reale.
Le macchine da presa si differenziano per versatilità, per affidabilità, per precisione, per perso e per
ricchezza di accessori. Quasi sempre sul set si usa una sola cinepresa, a volte però viene anche usato il
sistema della camera multipla, introdotto nella Hollywood degli anni trenta, viene oggi usato solo per
complesse scene d’azione.
La pellicola
5.2.
La pellicola è il supporto su cui vengono fissate le immagini del film, si basa sullo stesso processo
chimico della pellicola fotografica, è infatti formata da un sottile strato di celluloide trasparente, sopra il
quale si trova un’emulsione formata da cristalli di alogenuro d’argento sospesi su si una gelatina
animale. Sollecitati dai raggi luminosi i cristalli anneriscono, formando così il negativo dell’immagine
ripresa, è presente anche uno strato antialo, che evita aloni e riflessi. La pellicola dopo essere stata impressa
deve essere lavorata in laboratorio secondo un processo negativo-positivo, che inverte i colori per ridare le
immagini riprese con i colori reali. La sensibilità di una pellicola indica la rapidità con cui questa viene
impressa, ed è un valore inversamente proporzionale all’esposizione, convenzionalmente si misura in ASA
(American Standard Association) o in DIN (Deutsche Industrie Norm), dipende dalla grandezza dei
cristalli, più sono grandi e più sono sensibili, creano però così una grana maggiore, creando problemi di
definizione. La densità è poi il grado di annerimento dell’immagine sul negativo sviluppato. La risposta
cromatica è la capacità di riprodurre lo spettro dei colori, oggi vengono usate per lo più pellicole
pancromatiche, che sono sensibili a tutti i colori, possono essere di due tipi: bilanciate sulla luce diurna,
ovvero ad una temperatura colore di 5.600° K, e quelle bilanciate sulla luce artificiale, al tungsteno, con una
temperatura colore di 3.200 °K. La pellicola professionale cinematografica esiste quasi esclusivamente di
due dimensioni, 16mm e 35mm, quest’ultima è la pellicola standard, mentre il 16 mm è usato per
documentari, cortometraggi, film a basso costo o per creare effetti particolari. L’8mm e il super 8mm sono
oggi molto rari da trovare, e comunque difficilissimi da sviluppare. Infine per i kolossal si più usare il
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70mm, anche se, mancano nelle sale cinematografiche proiettori adatti, viene comunque riversato su un
35mm. I numeri 35 e 16 indicano la larghezza della pellicola e non dei fotogrammi, infatti per una 35mm
abbiamo un fotogramma 18-24mm. Le dimensioni del fotogramma oggi si ridimensionano mettendo delle
mascherine sull’otturatore, nella pellicola 35mm la dimensione più usata è quella con un rapporto altezza
di 1:1,33, detto formato classico, spesso si usano anche rapporti come 1:1,66 (panoramico), 1:1,85
(vistavision) e con l’uso di lenti anamorfiche si arriva a 1:2,35 (cinemascope). In Italia gli unici fornitori
sono la Kodak e la Fuji, prima delle riprese si chiede al fornitore di accantonare la quantità di pellicola
necessaria, ordinando in maniera abbondante, per non rischiare di doverne ordinare altra, che sicuramente
avranno emulsioni diverse.
Gli obiettivi
5.3.
Gli obiettivi sono la parte ottica della cinepresa, sono costituitida un sistema di lenti che convogliano la
luce proveniente dall’immagine ripresa nella camera oscura. Il piano su cui si forma l’immagine viene
chiamato piano focale, ovvero la pellicola, e la distanza tra l’obiettivo e il piano focale è la lunghezza
focale. Se la lunghezza focale è minore alla diagonale della pellicola avremo un obiettivo corto-focale, o
grandangolare, se invece le due grandezze sono uguali avremo un obiettivo normale, se invece la
lunghezza focale è maggiore del diametro della pellicola l’obiettivo sarà lungo-focale, ovvero un
teleobiettivo. La lunghezza focale determina l’angolo di ripresa, ovvero la porzione di spazio che riesce a
riprendere. In base a questi fattori, per la pellicola da 35mm, possiamo avere tre tipi di obiettivi:
Grandangoli, normali e teleobiettivi, i primi hanno una lunghezza focale sotto i 50mm e permettono un
angolo di ripresa superiore ai 75°; i normali, con una lunghezza focale di 50mm, hanno un angolo di ripresa
pari a 50mm; mentre i teleobiettivi hanno una lunghezza focale superiore ai 50mm, con un angolo di ripresa
inferiore ai 30°. Un altro fattore importante legato alla lunghezza focale è la profondità di campo ,
ovvero la distanza entro la quale soggetti posti su diversi piani risultano nitidi. Nei grandangoli la
profondità di campo è maggiore. Questo valore però è anche strettamente legato al diaframma, una serie
di lamelle che regolano la quantità di luce che entra nell’obiettivo. Questo viene aperto o chiuso con una
ghiera, secondo valori standard (f:1/1.4/2.8/4/5.6/8/11/16/22/32), più il valore è alto e più il buco è piccolo e
minore è la quantità di luce, logicamente più si aumenta il diaframma meno sarà la profondità di campo.
Riassumendo, abbiamo tre tipi di obiettivi con le seguenti caratteristiche:
a) I grandangoli, con una distanza focale corta, angolo di ripresa ampio, minimo ingrandimento,
grande profondità di campo, grande luminosità e grande stabilità;
b) I normali, con distanza focale e angolo di ripresa convenzionalmente pari all’occhio umano,
profondità di campo media;
c) I teleobiettivi, con distanza focale lunga, angolo di ripresa limitato, ingrandimento massimo e
ridotta profondità di campo, che provoca una compressione dello spazio tra primo piano e sfondo,
appiattendo l’immagine.
Oltre a questi tre tipi principali di obiettivi, si è affermata un’ottica a fuoco variabile, il cosiddetto
trasfocatore, o zoom, un sistema di lenti mobili che permettono di allungare o diminuire la lunghezza
focale e quindi di passare dal grandangolo al teleobiettivo regolando una ghiera.
Il parco lampade
5.4.
Le riprese di un film richiedono praticamente sempre l’uso di lampade particolare per aumentare la luce e
dirigerla con precisione nei punti desiderati. Esistono principalmente due tipi di luci:
a) Le lampade a incandescenza, basta su un filamento di tungsteno, raggiungono una temperatura
massima di 2.900° K e hanno una dominante rosso-arancione, possono avere una potenza che va
dai 300 ai 20.000 Watt. Oggi si sono evolute nelle lampade alogene e/o al quarzo-iodio, e
possono raggiungere anche i 3.200°K.
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b) Le lampade a scarica, basate sulla differenza di potenziale tra due elettrodi, raggiungono una
temperatura di 5.600°K, con una dominante azzurrina vicina alla luce naturale diurna, per questo
sono dette daylight-balanced, e si dividono in tipi da 575, 1.200, 2.500, 6.000 e 10.000 watt. Oggi
si sono evolute nelle lampade a ioduri metallici (MHL: Metal Halide Lighting).
Per evitare che la pellicola abbia una dominante cromatica rossa o azzurra bisogna abbinare sempre la
pellicola giusta per ogni tipo di lampade, per le lampade a incandescenza si usano pellicole al tungsteno,
mentre per le lampade a scarica si usano pellicole daylight. Inoltre le lampade a scarica richiedono un
tempo di apertura dell’otturatore compatibile con la frequenza di scarica, ovvero 50 accensioni al
secondo, e vogliono alimentatori ingombranti che stabilizzino la corrente (i Ballast). Inoltre le lampade si
dividono in altre due categorie:
a) I proiettori (spot) concentrano il flusso luminoso in un’unica direzione, mediante una lente a cerchi
concentrici che raddrizza i raggi, la larghezza del raggio dello spot si può aumentare o diminuire.
b) I diffusori/riflettori (body), che diffondono la luce in modo più uniforme attraverso l’uso di una
paravola che dirigge e focalizza il fascio luminoso.
Alcune delle lampade più diffuse:
1. Proiettori con lampade a incandescenza: l’inky dinky (o ding ding, 100/200 Watt, per illuminare
piccoli dettagli); il baby spot (da 500 a 1.000 Watt, per il primo piano); lo spot senior (5.000 Watt,
proiettore da teatro, usato per lo più dai ponti); lo spot da 10.000 (usato nei grandi interni, copre
gran parte della scena, spesso è usato per simulare il sole attraverso le finestre).
2. Proiettori a scarica: il Luxarc e l’Ambiarc (da 575 Watt), il Luxar e il Cremer (da 2.500-4.000
Watt), con lampade a scarica HMI, possono arrivare anche a 10.000 Watt. Hanno sostituito i
potenti proiettori ad arco voltaico, detti in gergo “bruti”, furono i primi apparecchi illuminanti del
cinema.
3. Diffusori con lampade alogene al quarzo-iodio: il minibruto (costituito da un armatura da 6/9
lampade da 1.000 watt ciascuna, l’iris (diffusore asimmetrico per l’illuminazione dei fondali
dall’alto, con due lampade da 1.250 Watt); il pallas (per l’illuminazione dei fondali dal basso, con 4
lampade alogene da 1.250 Watt).
Negli studi o nei teatri le luci possono essere attaccate ad appostiti sostegni fissati al soffito, che
permettono di spostarle e orientarle. In esterno, dovendo effettuare continui spostamenti si usano torrette
mobili e stativi, regolabili in altezza e direzione. Inoltre per modificare intensità, quantità o qualità della
luce si usano teli, gelatine colorate o corte traslucide. Un tipo di gelatina molto usalta è la spun-glass,
molto usati anche i velatini, schermi di stoffa, seta o garza per ottenere effetti di flou e riflessi. Per
“aggiustare” la luce esistono diversi strumenti, come le bandiere, che sono pezzi di stoffa nera su
supporti metallici, possono essere anche rigidi, di metallo nero; i gobbi, pannelli di legno verniciati di nero; i
coni, coppucci conici di legno o di metallo che modellano la luce a sagome circolari.
Per far funzionare la luce in esterni in location è necessaria una fonte autonoma di energia elettrica, se si
gira in un appartamento si può usare la corrente normale fino a 6 Kilowatt, o chiedere allacciamenti
aggiuntivi fino a 20-30 Kilowatt. In genere però si noleggiano dei gruppi elettrogeni, generatori che
trasformano in corrente elettrica (da 15 a 100 Kw) l’energia prodotta da un motore a nafta o benzina ,
in genere montati su carrelli, furgoni o camion insonorizzati. Per la cinepresa e l’impianto di registrazione
del suono si usano gruppetti di piccola potenza. Per controllare poi la pressione nel parco lampade si
utilizzano dei moduli di attenuatori o dimmer, regolati da una consolle.
Attrezzature di registrazione sonora
5.5.
Durante le riprese il sonoro non viene impresso sulla pellicola, ma registrato a parte e poi sincronizzato
dopo lo sviluppo. Fino a qualche tempo fa si usava un registratore tradizionale con nastro da ¼ di
pollice, oggi si usa un dipositivo digitale, il DAT (digital audio tape), che elimina le distorsioni e
sincronizza suoni e immagini grazie a un time code. Per registrare il suono si usano microfoni
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direzionali molto sofisticati, che si concentrano sulla fonte eliminando rumori d’ambiente, vengono
montati su aste o giraffe e vengono mantenuti dai microfonisti che le tengono al limite dell’inquadratura
senza mai farli vedere.
Supporti della macchina da presa
5.6.
Per assicurare la stabilità delle imamgini la cinepresa viene fissata su supporti di diverso tipi. Il più
semplice è il cavalletto, costituito da tre parti: la testata, dove è montata la cinepresa; la cloche, un a leva
per muovere in modo fluido la cinepresa; le gambe. Per le situazioni più scomode viene usato il bazooka,
una colonnina a tubi metallici incastrabili l’uno nell’altro. Esistono poi dei supporti che permettono di
muovere la cinepresa nello spazio, come il carrello, il dolly e la gru. Nello specifico il carrello è una
piattaforma di metallo, detta piattina, dotata di ruote gommate che scorrono su dei binari, sulla piattina
c’è una colonna metallica regolabile in altezza sulla quale c’è la coppa, dove viene fissata la cinepresa,
intorno ruota una giostrina, dove sono fissati più seggiolini, per l’operatore, l’assistente operatore e il regista,
il carrello viene trascinato o spinto da un macchinista. Per i movimenti verticali fino a qualche metro si
usa il dolly, un carrello munito di un braccio che si alza grazie a un contrappeso, su cui sono collocati la
macchina da presa e i sedili. Per le traiettorie diagonali e i movimenti verticali fino a 15-20 metri si usa
la gru, un carrello su cui è montato un braccio di una decina di metri, all’estremità del quale si trova una
piattaforma con cinepresa e sedili. Oggi questi strumenti vengono spesso sostituiti da strumenti molto
più efficienti, che permettono di compiere traiettorie molto più complesse. La steadycam è una cinepre
indossata direttamente dall’operatore attraverso un intelaiatura dotata di ammortizzatori, in grado di
compensare perfettamente i movimenti dell’operatore garantendo immagini stabili. La louma è un braccio
meccanico telecomandato in grado di spostare la cinepresa in qualunque direzione, fino ad un’altezza di 7
metri, l’operatore controlla la macchina da terra attraverso uno schermo video. Nella sky-cam infine, la
macchina da presa è comandata a distanza ed è fissata su un cavo d’acciaio che può letteralmente volare sulla
scena. Videocamere e standard video
5.7.
Oggi le videocamere sono usate principalmente in televisione, ma grazie ai progressi del digitale hanno
fatto il loro ingresso anche nel cinema, quasi sicuramente il cinema di domani non avrà bisogno di
pellicola.
Qualche cenno sullo stato del video. La registrazione avviene su nastro magnetico, diversamente che nel
cinema, le immagini e i suoni vengono incisi contemporaneamente sullo stesso nastro. Nel corpo
macchina, invece della camera oscura troviamo dei meccanismi elettronici che trasformano i raggi
elettronici in segnali elettrici, registrabili sul nastro. La conversione avviene grazie a un chip chiamato
CCD (Charge Coupled Device), più numerosi e grandi sono i CCD maggiore è la qualità video. La parte
ottica è costituita quasi sempre da uno zoom, le telecamere professionali e alcune amatoriali possono
montare obiettivi intercambiabili, diaframma e messa a fuoco sono a scelta, automatici o manuali. Gli
standard di ripresa sono tre:
1. Video 8: il nastro magnetico è di 1/3 di pollice (8mm) ed è contenuto in una cassetta di piccole
dimensioni. La qualità visiva è buona, ma il sistema Video 8 HB ha una definizione ancora
maggiore.
2. Beta: è lo standard professionale, con un’altissima qualità di registrazione e videocamere
maneggievoli, gli ultimi modelli sono attrezzati per la registrazione digitale.
3. DV: la registrazione avviene con sistema digitale (il segnale elettrico viene convertito in una
sequenza binaria di numeri), aumentando così la qualità dell’immagine. Esistono telecamere
professionali (DVCAM) che hanno ormai superato le Beta convenzionali.
18 | P a g e La lavorazione
6.
Obblighi di legge, amministrazione e organizzazione
6.1.
La gestione produttiva di un film è un attività complessa, il compito di chi si occupa della produzione
di un filmato è organizzare le riprese affinchè si svolgano in modo rapido ed efficiente, tenendo conto
delle necessità di tutti i reparti con l’obiettivo di realizzare il miglior film possibile.
Prima di iniziare ufficialmente le riprese, la produzione deve ottemperare ad alcuni obblighi di legge, da
un lato gli obblighi fiscali e contributivi sono gli stessi per ogni impresa, dall’altro le produzioni
cinematografiche sono soggette ad altri obblighi specifici. In primis, almeno un giorno prima dell’inizio
delle riprese, bisogna inviare al Dipartimento dello Spettacolo una denuncia di inizio lavorazione, che
riporti i dati di produzione, quindi regista, autore di soggetto, sceneggiatura, musiche, montaggio, direttore
della fotografia, scenografo e cosi via, nazionalità del personale tecnico-artistico e le indicazioni delle
località di ripresa, sia per gli esterni che per gli interni, per finire con gli stabilimenti di sviluppo e stampa
utilizzati. Questa denuncia serve ad ottenere la dichiarazione di nazionalità italiana, e nel caso, quella
di film nazionale di interesse culturale, allo scopo di avere le agecolazioni di legge e, più tardi, il visto di
censura.
Sul versante amministrativo, invece, rientrano nella gestione quitidiana del set alcune operazioni di
routine: stipulare contratti di assunzione, reperire il personale aggiuntivo, fare le convocazioni. Ogni reparto
ha un suo budget di spesa, e tutte le spese vanno giustificate con fatture e ricevute, regolarmente messe a
bilancio. Una volta alla settimana vengono pagati gli stipendi, e nel caso si giri fuori sede, si anticipano le
diarie.
Sul versante organizzativo ci sono alcune routine del direttore di produzione e dell’aiuto-regista:
a) Verificare i contratti di locazione degli studi o delle locations e controllare i permessi, le
condizioni atmosferiche e i parcheggi per auto e camion. Se necessario chiedere un divieto di sosta
almeno quarantotto ore prima delle riprese.
b) Organizzare il piano dei trasporti per le persone e per il materiale.
c) Prelevare le attrezzature noleggiate, verificarne il funzionamento con i responsabili, procurare
eventuale attrezzatura extra, pellicole e nastri per il sonoro, e, a fine ripresa, inoltrarli al laboratorio.
d) Controllare il lavoro dei vari reparti, ovvero lo stato di avanzamento della scenografia,
dell’arredamento, dei costumi e dei supporti tecnici.
Il set
6.2.
Quando si gira in teatro di posa, di norma la produzione si stabilisce sul posto un paio di settimane prima
dell’inizio delle riprese. Il teatro di posa rimane in ogni caso la struttura più flessibile per la ripresa. E’
infatti uno spazio chiuso, isolato da pareti fonoassorbenti, con una centrale elettrica e ponteggi orizzontali e
verticali per montare al meglio possibile tutte le luci. Tuttavia, oggi si preferisce più spesso girare in
location, magari appartamenti riadattati, usare ambienti reali permette di effettuare cambi di scena più
frequenti, garantendo una ricchezza narrativa e una credibilità maggiori. La scenografia deve essere
pronta in anticipo. Realizzarla in base ai bozzetti e agli esecutivi è compito degli attrezzisti o, più nello
specifico, dell’attrezzista di scena, che prepara le scenografie; degli attrezzisti di preparazione, che
svolgono il lavoro manuale; dei manovali, che sistemano l’arredamento su indicazioni dell’arredatore; dei
costruttori, che effettuano le costruzioni necessarie; dei pittori, che si occupano di ritinteggiature,
applicazioni di tappezzerie e invecchiamenti. Anche con l’inizio delle riprese, il reparto di scenografia
non smette di lavorare, infatti oltre qualcuno che rimane sul set per eventuali correzioni, già tutto il resto
del gruppo sta preparando il set per le scene successive. L’equipaggiamento tecnico viene montato dagli
elettricisti e dai macchinisti. Su indicazione del direttore della fotografia gli elettricisti montano e
controllano le lampade. I macchinisti nel frattempo montano la macchina da presa con i suoi eventuali
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supporti, se nevessario costruendone appositi, montano i supporti delle lampade con gli eventuali accessori,
come teli bianchi o argentati, bandiere e gobbi. Gli assistenti operatori caricano e scaricano la pellicola
nel magazzino e si occupano del videocontrol. Il microfonista prepara i microfoni e i radiomicrofoni.
Si gira
6.3.
Nei giorni delle riprese si inizia all’alba, decine di auto e camion portano regista, attori e membri della
troupe sul posto delle riprese, si ritirano dai magazzini costumi e materiali d’arredamento e subito,
l’assistente costumista si occupa delle comparse, le sarte di scena vestono gli attori, per poi permettere al
reparto trucco e parrucchiere di preparare trucco e acconciatura. L’aiuto regista, dopo aver verificato il
lavoro delle sarte e dei truccatori, in base alle esigenze della scena, controlla il lavoro di macchinisti ed
elettricisti e, con la segretaria di edizione, prepara il fabbisogno. In fase di riprese di solito è presente
l’assistente scenografo, ma la figura “terminale” del reparto scenografia sul set è l’attrezzista, che deve
risolvere i problemi dell’ultimo minuto, lavora a contatto con gli attori e la troupe e deve difendere il lavoro
del suo reparto. Quando tutto sembra pronto la parola passa al regista che, dopo aver controllato lo
stato del set, il trucco e i costumi degli attori, insieme al direttore della fotografia, decide da quale punto
verrà fatta la ripresa, con quali obiettivi e con quali movimenti di macchina, così fissa il punto-macchina,
e da lì inizia a provare i movimenti con gli attori. I macchinisti posizionano la macchina da presa, mentre
il direttore della fotografia comunica al capo elettricista dove posizionare le lampade in modo da evitare
ombre indesiderate o zone nell’inquadratura troppo buie o troppo chiare. Quando la cinepresa è al suo posto
l’operatore prova l’inquadratura e l’eventuale movimento di macchina, così da accertarsi che il
movimento combinato di attori e cinepresa non crei immagini malcostruite, intanto il capo macchinista
prova i movimenti con carrello/dolly. Durante queste prove l’assistente operatore misura le distanze
focali e le segna sulla ghiera del fuoco. Intanto un macchinista segna sul pavimento i movimenti degli
attori. Fonico e microfonista posizionano i microfoni vari in modo da non disturbare l’inquadratura.
A questo punto tutto è pronto per girare, l’aiuto-regista intima il silenzio e richiama la troupe all’ordine,
quando vede tutto in ordine comunica al regista che si può procedere, così ordina “MOTORE”,
l’assistente operatore accende la cinepresa e risponde “PARTITO”. A questo punto uno dei macchinisti
batte il ciak, ovvero una lavagnetta che mostra alla cinepresa con su scritte le informazioni per
identificare la ripresa in fase di montaggio, con il titolo del film, il numero della scena, il numero
dell’inquadratura e il numero di ripresa della stessa inquadratura, lo dice ad alta voce e batte il ciak, così da
permettere in fase di montaggio la sincronizzazione audio-video. Un attimo di silenzio e di
concentrazione, poi il regista ordina “AZIONE” e gli attori iniziano a recitare. Durante le riprese
l’operatore segue l’inquadratura; l’assistente operatore “batte il fuoco”; Il capo macchinista spinge il
dolly/carrello; il microfonista regge l’asta del microfono nel miglior modo possibile; il fonico siede davanti
ad un carrellino dove sono alloggiati registratori, DAT e mixer, così da controllare le registrazioni con delle
cuffie. Quando lo ritiene opportuno il regista ordina lo stop, gli attori si fermano e la cinepresa viene
spenta, a questo punto il regista decide se rifare la ripresa o passare alla successiva, in ogni caso il set
viene inondato da truccatori, sarte, parrucchieri, attrezzisti, macchinisti ed elettricisti, per rimettere a posto il
set o per preparare il successivo. Quando tutto è pronto si ricomincia, e così via per tutta la giornata.
Il bollettino di edizione, il foglio di montaggio e il diario di lavorazione
6.4.
Al termine di ogni ciak la segretaria di edizione segna sul bollettino di edizione i dati della ripresa, tale
foglio viene stampato in tre copie, una per il laboratorio, una per l’archivio della produzione e una per il
reparto di montaggio. Si indicano prima di tutto il titolo del film, la data, il nome del regista, del
direttore della fotografia e dell’operatore, il nome della produzione e altri dati relativi alla pellicola,
come il tipo di emulsione della pellicola, il numero del rullo ed eventualmente il numero del magazzino.
Nella griglia poi si segnano: il numero dell’inquadratura; il numero della ripresa (ovvero del ciak); se si
è registrato il sonoro; il metraggio iniziale e quello finale del negativo, ovvero i metri di pellicola
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compresi tra l’accensione e lo spegnimento della cinepresa; se la ripresa è buona, da tenere da riserva o
da scartare, questo deciderà le sorti in laboratorio, infatti le riprese buone vengono sviluppate e stampate,
quelle di riserva solo sviluppate e quelle scartate non vengono prese in considerazione; il tipo di obiettivo; la
durata di ogni ciak; annotazioni tecniche riguardanti o la luce o particolari condizioni o indicazione del
regista e del direttore della fotografia. Anche per quanto riguarda il sonoro esiste un bollettino da
compilare per permettere un montaggio fatto con criterio.
Un’altro compito fondamentale della segretaria di edizione è controllare la continuità tra le
inquadrature, che, come sappiamo, possono anche essere girate in ordine sparso e non necessariamente
seguendo la cronologia del film, per questo motivo è importante esercitare una ferrea sorveglianza su alcuni
elementi di continuità, così da non creare sbalzi o fastidi tra un inquadratura e un’altra, vediamo quali sono
tali elementi:
1. I vestiti, l’acconciatura e il fisico degli attori: devono essere uguali da un’inquadratura e un’altra o
cambiare solo se specificato dalla sceneggiatura;
2. La scenografia e l’arredamento: gli accessori, così come lo sfondo, devono rimanere uguali;
3. La luce: tra due inquadrature non ci devono essere sbalzi di luce, per questo motivo il direttore della
fotografia tiene sempre sotto controllo la luce con l’esposimetro;
4. Altri elementi tecnici: obiettivi, filtri e movimenti di macchina;
5. La direzione degli sguardi e le uscite di campo degli attori;
6. Movimenti e gesti degli attori: se in un inquadratura un attore si sta portando la sigaretta alla bocca
in quella successiva necessariamente dovrà avere la sigaretta in bocca;
7. Il ritmo: i movimenti e la recitazione degli attori devono mantenere la stessa velocità, per questo la
segretaria spesso è munita di cronometro;
8. Le battute del dialogo;
9. Lo sviluppo della storia: di solito la segretaria costruisce una cronologia ragionata prima delle
riprese, così da sapere sempre dove si colloca nel film tale scena.
Tutte queste annotazioni non servono solo ad assicurare il corretto andamento delle riprese, ma anche
a rendere più semplice il montaggio, per questo motivo un altro rapporto che deve compilare la segretaria è
il foglio di montaggio, utile al montatore per avere un’idea più precisa della scena da montare. Nella parte
in alto oltre alle consuete informazioni, come titolo del film, data, ora e giorno, se precisa il numero del
bollettino di edizione corrispondente e anzi si riscrivono anche alcune informazioni già scritte nel bollettino,
come il numero dell’inquadratura, il giudizio buona/riserva/scarto, condizioni di luce. La parte fondamentale
del foglio di montaggio però è un’altra, ovvero una serie di annotazione che servono per ricostruire la logica
della ripresa: una breve descrizione del suo svoglimento; uno schizzo che illustra posizione di cinepresa,
attori e scenografia; elenco di personaggi e costumi; tipo di inquadratura, condizioni di luce, obiettivo
e movimenti di macchina; elementi essenziali per il raccordo, ovvero verso dove gli attori escono o
entrano in scena o dove rivolgono lo sguardo.
Sempre alla segretaria di edizione spetta compilare un terzo tipo di rapporto, il diario di lavorazione. Si
tratta di un documento che riporta ciò che quotidianamente succede sul set, è utile soprattutto alla
produzione per valutare lo stato di avanzamento del lavoro. Ne esistono due versioni, la prima è uno schema
sinottico per voci chiave, la seconda è una registrazione cronologica di tutto quello che succede, dal mattino
alla sera. Per quanto riguarda la prima versione, si inizia con lo specificare le solite informazioni, come
titolo del film, regista, direttore della fotografia, direttore di produzione, fonico, data delle riprese, giorno,
ambiente, ora di inizio e di conclusione delle riprese, ora e durata della pausa. Nella seconda parte del
diario di lavorazione si indicano il consumo di pellicola e di elettricità, in entrambi si segna il consumo
giornaliero e quello precedente fino a tale giorno, così da calcolarne il totale, si segnano poi sempre nello
stesso blocco, il totale delle inquadrature girate fino a quel momento, le inquadrature girate in tale
giornata, quali inquadrature girate e quali sono ancora da girare. Infine nella parte bassa del diario di
lavorazione si riporta il personale giornaliero al lavoro e quello aggiuntivo, il chilometraggio dei mezzi di
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trasporto e il consumo di benzina/nafta/olio dei mezzi e dei gruppi elettrogeni, i mezzi tecnici utilizzati e gli
eventuali noleggi aggiuntivi, i nomi degli attori, il numero dei generici e delle comparse.
La seconda versione è una cronaca ora per ora, dei fatti avvenuti durante la giornata, viene chiamato
daily log, o in gergo “spione”, questo perchè permette alla produzione di controllare eventuali ritardi
individuando eventuali responsabilità. La segretaria di edizione è quindi l’occhio della produzione, i suori
reports sono utili a qualsiasi reparto, anche se, inevitabilmente, si crea un rapporto di amore e odio con il
regista. L’ordine del giorno
6.5.
Durante la lavorazione, il direttore di produzione e i suoi assistenti, ispettori e segretari, svolgono le
seguenti mansioni amministrative:
a) Organizzano e coordinano l’attività della troupe sul set risolvendo le necessità pratiche;
b) Operano verifiche quotidiane, sia dal lato delle riprese, se procedono secondo il piano di
lavorazione, sia dal lato economico, a livello di budget, che se necessario viene modificato;
c) Stabiliscono poi giorno per giorno un foglio di servizio con luoghi, date e orari dei membri della
troupe, infatti ogni sera, prima di finire le riprese, il direttore di produzione, con l’aiuto-regista e
la segretaria di edizione, stende l’ordine del giorno o programma di lavoro per il giorno
successivo.
In alto, sull’ordine del giorno, troviamo titolo del film, regista e direttore di produzione, ambienti, località e
orari delle riprese. Nella colonna centrale poi si indicano i componenti della troupe che devono lavorare
e i rispettivi orari di lavoro, attori, generici e comparse da convocare e il numero della scena da girare.
Nella parte inferiore vengono elencati sia il fabbisogno di scena, che il fabbisogno tecnico, che gli
automezzi necessari con relativi orari. Esiste anche un tipo di ordine del giorno “all’Americana”, che
privilegia i nomi e gli orari di convocazione degli attori, mentre la troupe è convocata tutta alla stessa ora.
Per redigere questo foglio, direttore di produzione, aiuto-regista e segretaria di edizione devono consultare i
fogli di spoglio della sceneggiatura e il piano di lavorazione e, prima di stampare l’ordine del giorno
successivo, è consigliato consultare il regista, così da essere aggiornati su eventuali cambiamenti non
comunicati. Bisogna in ogni caso redigere l’ordine del giorno con il dovuto anticipo, così da permettere ai
membri dello staff di produzione di organizzare la logistica per il giorno dopo.
Alla fine della giornata, oltre a far firmare alle comparse le liberatorie d’immagine, bisogna inviare la
pellicola al laboratorio. Un tempo a fine giornata si ricontrollava il girato, oggi con il videocontrol la scena
viene rivista subito e corretta in tempo reale.
Alla fine delle riprese del film la produzione deve svolgere alcune procedure:
a) Riconsegna del materiale tecnico noleggiato, verifica dello stato.
b) Rendiconto economico, verifica dei documenti pagati e di quelli da pagare.
c) Firma della liberatoria da parte dei lavoratori, che dichiarano di essere stati pagati.
d) Raccolta degli elementi utili per preparare i titoli del film.
A produzione conclusa poi, si inviano al Dipartimento dello Spettacolo i documenti necessari per
ottenere la dichiarazione di nazionalità italiana, le relative agevolazioni di legge e il premio qualità.
22 | P a g e La regia
7.
In tutto questo qual’è il ruolo del regista? Alla storia e alle teorie della regia sono stati dedicati molti
studi, ma raramente sono state ricostruite le pratiche di regia nella storia del cinema, di cosa è
cambiato e per quale motivo il lavoro del regista sul set, il modo di disporre la cinepresa, di dirigere gli
attori e di farli muovere. Ci soffermeremo ad illustrare i fondamenti del linguaggio cinematografico e
alcuni concreti problemi di messa in scena.
Il regista
7.1.
Una delle metafore più diffuse per descrivere il ruolo del regista è quella con il direttore d’orchestra. Joseph
Von Sternberg disse “Il regista, persona irritante per la maggior parte del tempo, sarebbe stato
eliminato da molto se non fosse stato essenziale alla costruzione del film”, Truffaut anche lo descrive in
Effetto Notte e segue Sternberg in una formulazione della cosiddetta politique des auteurs, “In assoluto,
possiamo affermare che l’autore del film è il regista, lui solo, anche se non ha scritto una sola riga del
soggetto [...]; bello o brutto, un film assomiglia sempre a colui che ne firma la realizzazione ”. Dunque il
ruolo principale del regista è quello di coordinare i diversi apporti tecnici e artistici, dando loro un indirizzo
unitario e inevitabilmente “personale”. Ogni regista poi ovviamente ha un suo metodo personale, e c’è chi si
concentra di più sugli attori e chi di più sugli aspetti tecnici, c’è chi afferma di non saper nemmeno scattare
una fotografia, quando poi in realtà un regista deve conoscere bene tutte le tecniche implicate in un film.
Quindi, in linea di massima, il regista, oltre a coordinare la troupe, deve dirigere gli attori, decidere le
inquadrature e i movimenti di macchina.
L’inquadratura
7.2.
Decidere l’inquadratura significa molte cose: stabilire dove collocare la macchina da presa, quali obiettivi
usare e come orientare le luci e con quali intensità. Tutti questi aspetti sono strettamente collegati tra di loro e
il regista ne discute sempre con il direttore della fotografia, soprattutto per quanto riguarda obiettivi e
luci. Per quanto riguarda l’inquadratura in se, esistono tre forme canoniche di classificazione:
a) La scala dei campi e dei piani;
b) I gradi dell’angolazione;
c) I gradi dell’inclinazione;
La scala dei campi e dei piani assume come criterio di classificazione la distanza della cinepresa dal
soggetto, o anche il tipo di obiettivo, che può dare un impressione invece di un’altra. I campi si riferiscono
agli ambienti e i piani alla figura umana. Questa la classificazione:
Campo lunghissimo (CLL) o Extreme Long Shot (ELS): l’inquadratura mostra una vastissima
area, in cui i personaggi, se ci sono, sono difficilmente riconoscibili.
Campo Lungo (CL) o Long Shot (LS): l’inquadratura mostra la totalità di un ambiente, ma
personaggi e azione si riconoscono.
Campo Medio (CM) o Medium Long Shot (MLS): al centro dell’attenzione sono i personaggi e
l’azione, mentre l’ambiente è sullo sfondo.
Totale (TOT) o Master Shot: unità vicina al campo medio o lungo, rappresenta per intero un
ambiente e tutti, o quasi, i personaggi presenti. E’ l’inquadratura “fondamentale” che spesso apre la
scena e ritorna più volte.
Figura Intera (FI) o Full Shot (FS): inquadratura del personaggio dai piedi alla testa.
Piano Americano (PA) o Medium Full Shot (MFS): dalle ginocchia in su.
Mezza figura (MF) o Medium Shot (MS): dalla vita in su.
Primo Piano (PP) o Close Up (CU): il volto umano dalle spalle in su.
Primissimo Piano (PPP) o Extreme Close Up (ECU): solo il volto umano.
23 | P a g e
Particolare (PART.) o Detail Shot/Insert: piano ravvicinato di una parte del corpo.
Dettaglio (DETT.) o Detail Shot/Insert: piano ravvicinato di un oggetto.
E’ una distinzione a grandi linee perchè nella realtà ogni inquadratura è sempre una via di mezzo tra
l’una e l’altra.
Per quanto riguarda l’angolazione invece, abbiamo le seguenti possibilità:
Inquadratura frontale: la macchina da presa è alla stessa altezza dell’oggetto filmato.
Inquadratura dall’alto o plongée: la macchina da presa è al di sopra dell’oggetto filmato.
Inquadratura dal basso o contre-plongée: la macchina da presa è al di sotto dell’oggetto filmato.
Inquadratura a piombo o zenitale: la macchina da presa è perpendicolare alla scena, puntata verso
il basso.
Inquadratura supina: la macchina da presa è puntata verso l’alto.
Tradizionalmente si dice che le inquadrature dall’alto indeboliscano il soggetto, mentre quelle dal basso gli
diano un’aura di potenza e di sicurezza, in realtà non bisogna limitarsi e capire invece che ogni inquadratura
può avere un senso a se, anche in base al contesto. Le inquadrature angolate, in ogni caso, danno
dinamismo alla scena, quindi è giusto usarle nel modo giusto, così da potergli dare il maggiore valore
possibile.
L’inclinazione, invece, dipende dal rapporto tra la base della macchina da presa, ovvero
dell’inquadratura, e la linea dell’orizzonte, questi i gradi di inclinazione:
Inclinazione normale: la base dell’inquadratura è parallela alla linea dell’orizzonte.
Inclinazione obliqua: la base dell’inquadratura diverge dall’orizzonte pendendo verso destra o
sinistra.
Inclinazione verticale: la base dell’immagine e l’orizzonte della realtà sono perpendicolari,
formando un angolo a 90°.
Rovesciamento: la base dell’inquadratura è parallela all’orizzonte della realtà, ma il contenuto è
capovolto.
Infine nella composizione dell’inquadratura è opportuno badare alla “buona” disposizione dei soggetti
nella cornice. Si parla in questo caso di bilanciature compositive, particolare attenzione va posta al
rapporto tra pieni e vuoti, in un inquadratura il soggetto non va posto ne troppo in alto ne troppo in basso.
Inoltre, è buona norma, lasciare un pò di spazio davanti ad un volto in un primo piano, come è giusto
lasciare un pò di spazio davanti ad un soggetto che corre. Questi semplici principi servono a catturare
l’attenzione dello spettatore, come dimostra la regola dei terzi. Immaginando di dividere l’inquadratura
in tre parti uguali, sia verticalmente che orizzontalmente, l’attenzione dello spettatore si dirige
maggiormente sulle linee e nei punti vicini alle quattro intersezioni, il rettangolo centrale si chiama
rettangolo di attenzione. Anche sulla figura umana c’è qualche buona regola da seguire, i migliori punti di
taglio sono le linee appena al di sopra o al di sotto delle articolazioni, collo, vita, ginocchia, viceversa
può risultare l’impressione di una figura decapitata o tagliata in due. Inquadratura bilanciata non significa
“stereotipata”, ma funzionale alla comprensione dell’immagine, il regista poi è libero di trasgredire tali
regole magari per dei fini secondi.
I movimenti di macchina
7.3.
Un’inquadratura in movimento è un’inquadratura che si articola in più immagini successive,
modificando da immagine a immagine ampiezza, angolazione, inclinazione e composizione. Esiste una
classificazione tradizionale che può essere utile tutt’oggi.
- La panoramica: la cinepresa, fissa, ruota intorno al proprio asse in senso orizzontale, verticale
o obliquo. Quando invece la ripresa segue il personaggio si dice panoramica a seguire, quando si
tratta di un movimento velocissimo da un soggetto ad un altro viene chiamata panoramica a scatto
o frusta.
24 | P a g e
- La carrellata o travelling: la cinepresa è montata su un supporto mobile che si sposta sul terreno in
tutte le direzioni, abbiamo così diversi tipi di carrellate. La carrellata laterale segue il personaggio
lateralmente riprendendolo di profilo, la carrellata circolare riprende i soggetti girandoci intorno, la
carrellata a precedere precede il percorso del personaggio riprendendolo frontalmente, mentre la
carrellata a seguire riprende il soggetto da dietro e lo segue.
- Quando la macchina da presa è fissata su un braccio meccanico avremo un dolly o una gru, a
seconda della lunghezza e dalla snodabilità del braccio. Il dolly si alza fino a qualche metro da terra
e può ruotare a 360°, la gru il braccio si può alzare fino a 15-20 metri e può compiere anche
movimenti diagonali.
- Quando la macchina da presa è posizionata su altri supporti mobili si creano altre possibilità di
ripresa, come la ripresa aerea, fatta con l’ausilio di un aereoplano o di un elicottero, o come la
camera-car, una ripresa fatta da un automobile.
- La macchina a mano: la cinepresa è tenuta direttamente dall’operatore e si può muovere in tutte
le direzioni, in modo però irregolare, amplificando le vibrazioni del corpo umano, si inizia ad
usare questo tipo di ripresa per scene concitate o soggettive dei personaggi.
- La steadycam: la cinepresa, applicata al corpo dell’operatore tramite un’imbracatura con
ammortizzatori, si muove liberamente senza scossoni.
- La louma: la macchina da presa, fissata ad un braccio snodabile, può alzarsi e spostarsi molto
velocemente, facendo praticamente qualsiasi tipo di movimento in qualsiasi direzioni e fino ai 7
metri d’altezza, guidata da un operatore a terra tramite monitor e comandi a distanza. Molto usata
per pubblicità e videoclip, nel cinema ha quasi soppiantato gru e dolly.
- La skycam: la macchina da presa, sospesa in aria tramite un sistema di cavi, può librarsi nel vuoto.
- Lo zoom: non è un movimento effettivo, ma apparente, in quanto non è la macchina da presa a
muoversi ma sono le lenti della stessa e muoversi, si crea una visione appiattita e artificiale dello
spazio.
E’ il caso di ricordare che tutti questi movimenti di macchina oltre a variare rispetto ai contesti e alle
convezioni stilistiche, acquistano un senso differente a seconda che siano legati o meno al movimento
del profilmico, cioè di tutto quello che si trova davanti la macchina da presa per essere filmato. Si parla di
movimento subordinato quando il movimento serve a seguire un soggetto, libero quando invece si muove
.
autonomamente, dando un senso di onnipotenza
Pratiche di regia
7.4.
Il talento di un regista non è creare le inquadrature più strane, ma trovare il modo migliore per
riprendere una scena e per raccontare lo sviluppo narrativo. Di solito la prima operazione che si fa, dopo
aver controllato il set e gli attori è trovare un punto di vista per il master, ovvero il campo totale dal quale
riprendere i personaggi e l’ambiente nella loro totalità, così una volta stabilito il punto-macchina, egli prova
la scena con gli attori, stablendo poi i loro movimenti e quelli della macchina da presa.
Ci sono registi che una volta decisa l’impostazione selezionano i punti dove è opportuno girare i piani
ravvicinati da “insertare” nel master, in questo caso è buona pratica girare inquadrature più lunghe così da
non arrivare alla fase di montaggio con scarse possibilità, alcuni addirittura girano la scena più volte per
quante sono le inquadrature, da tutte le distanze e da tutte le angolazioni.
Nei film USA degli anni trenta e quaranta, una via di mezzo tra il master e i campi ravvicinati era il
medium two-shot, un pano americano dei due attori uno di fronte all’altro, è rimasto poi con il tempo
come inquadratura base per la commedi e il musical.
Alcuni poi girano con più cineprese, se agli inizi la cosiddetta camera multipla era una necessità tecnica,
oggi lo è solo nel caso di film d’azione, magari con un’esplosione che non può essere ripetuta più volte.
Quando poi la ripresa in continuità diventa una scelta stilistica si ha il piano sequenza, una forma di ripresa
spesso scelta dai registi moderni, per il fascino e per la difficoltà.
25 | P a g e La continuità visiva
7.5.
Per orientarsi tra due immagini consecutive lo spettatore deve avere dei punti di riferimento, è dunque
necessario garantire la continuità, cioè badare che da un’inquadratura all’altra i personaggi, gli oggetti
e l’arredamento rimangano invariati, o meglio, mantengano un orinetamento riconoscibile. Per riuscire
in questo e arrivare al montaggio con riprese che si possono raccordare, è necessario seguire la regola dei
180°.
Nella regola dei 180° il set si divide in due da una linea immaginaria creata dalla situazione, può essere
creata dallo sguardo di due interlocutori, o dal cammino di un personaggio. Si crea così uno spazio di 180°
che è l’unico praticabile dalla macchina da presa, ogni incursione al di là della linea provoca il cosiddetto
scavalcamento di campo, che ribalta le posizioni e confonde lo spettatore. L’esempio più tipico è una
scena di dialogo, dati due personaggi che si fronteggiano, il loro sguardo crea la linea di divisione che crea
uno spazio di 180°, che è quello spazio dove è possibile posizionare la cinepresa senza creare problemi di
connessioni. Il passaggio dalla ripresa di un interlocutore all’altro viene detto campo/controcampo
(shot/reverse shot), che significa passare dalla cinepresa A a C.
Un comma della regola dei 180°, è la regola dei 30°, che invece di limitare lo spazio di ripresa, vuole evitare
di limitarlo troppo, se il regista vuole cambiare posizione della macchina da presa per quanto riguarda i piani
ravvicinati, deve cambiarla di almeno 30°, in modo che lo spostamento non sia così piccolo da risultare
inavvertibile.
Un’applicazione della regola dei 180° è il sistema del triangolo, tutte le posizioni che la cinepresa può
assumere sono riassunte in un’immaginaria serie di triangoli collocati al di qua della linea dei 180°.
8 9
2 6 7 3
4 5
1
La posizione 1 è quella da cui si colgono entrambi gli interlocutori, tutte le altre illustrano le varie
possibilità di realizzazione di campo/controcampo:
- Ad angolo esterno (2-3), con l’interlocutore di spalle.
- Ad angolo parallelo (4-5), di profilo.
- Ad angolo interno (6-7) di tre quarti.
- Ad angolo opposto (8-9) frontale.
Da qui due categorie di campo/controcampo, con l’interlocutore di quinta (over-the-shoulder shot OTS) e
a piani singoli (single shot). Entrambi devono seguire la regola dei terzi ed entrambi devono risultare
simmetrici per angolazione e altezza dell’inquadratura. La regola dei 180° vale anche per la linea
26 | P a g e
d’azione, se una persona viene ripresa mentre cammina da sinistra a destra, scavalcando il campo la
vedremo camminare da destra a sinistra, e senza una giustificazione questo può solo confondere,
questo è accettato solo in due situazioni, o quando la persona cambia veramente direzione, in questo
caso bnisogna riprenderla mentre si gira, o l’inquadratura in senso inverso è la soggettiva di un secondo
personaggio, e qui invece bisogna prima inquadrare il secondo personaggio che guarda il primo e poi
scavalcare il campo.
La regola dei 180° vale per qualsiasi linea d’azione, anche se quest’ultima non è dritta è importante
tenere la cinepresa sempre al di quà della linea.
Esistono delle possibilità di scavalcare il campo senza creare confusione:
a) Muovere la cinepresa in piano sequenza da un lato all’altro della linea, così da permettere allo
spettatore di scoprire nuovi punti di riferimento.
b) Inserire un nuovo personaggio che crei una seconda linea immaginaria, così da stabilire un nuovo
spazio di 180°. Ma per inquadrare il primo personaggio che non si incrocia con il nuovo sarà giusto
ritornare alla prima linea immaginaria, ecco il cosiddetto re-estabilishing shot, un inquadratura
che ricorda allo spettatore le coordinate della scena.
c) Fare spostare uno dei due personaggi, così che sia questi a scavalcare la linea e a crearne una
nuova.
d) Usare degli inserti, in una scena di inseguimento i personaggi corrono da sinistra verso destra, un
passeggiero in un auto guarda terrorizzato e nel piano successivo si potranno inquadrare i personaggi
che corrono in direzione opposta.
e) Collocare la macchina da presa sulla linea immaginaria, più è vicina alla linea, più è difficile
accorgersi dello scavalcamento.
In realtà la pratica della continuity è convenzionale, nasce nel cinema narrativo tra il 1905 e il 1914, si
perfeziona nel cinema hollywoodiano degli anni venti e trenta e tutt’oggi, nonostante i tentativi di ribellarsi
da parte di autori moderni e contemporanei, rimane alla base della comprensione di un film, pochi sono
riusciti a rendere comprensibile un film stravolgendo queste regole.
Schemi per i dialoghi
7.6.
Nel filmare un dialogo il regista deve tradurre in forma visiva le relazioni umane e psicologiche tra i
personaggi, per fare ciò ha tre strumenti a sua disposizione: la posizione e il movimento degli attori;
l’inquadratura e i movimenti di macchina; il montaggio.
Alcuni manuali di regia hanno tentato di classificare le possibili posizioni e movimenti nello spazio,
riconducendoli ad alcuni schemi base. In via preliminare esistono quattro situazioni:
a) Con attori fermi
b) Con attori in movimento
c) Con cinepresa in movimento
d) Con attori e cinepresa in movimento
Si possono poi distinguere tre schemi base per le disposizioni degli attori da fermi: lo schema ad I, che è
quello più facile con due attori; quello ad A e quello a L, con tre attori. Ogni schema poi prevede diverse
posizioni, in base alla posizione di un attore rispetto all’altro, di spalle, di fronte, di profilo etc. Secondo lo
schema ad A un terzo attore fronteggia gli altri due stando perfettamente al centro, nello schema a L il terzo
attore fronteggia solo uno dei due attori affiancati. In entrambi i casi, i piani a tre possono essere spezzati o
con un two-shot e un one-shot, o con una serie di primi piani singoli. Inoltre le scene a 3 complicano
ulteriormente lo scavalcamento della linea di sguardo tra un attore e un’altro, teoricamente la cinepre può
essere posizionata ovunque nei 360°, ma praticamente è consigliabile mantenere un generale
orientamento e non moltiplicare troppo gli angoli di ripresa. Nelle scene con 4 o più attori si utilizzano
gli stessi schemi per le scene a due o a tre attori, in una scena con 5 attori possiamo decidere tra 27 diverse
inquadrature, un pò troppe per le esigenze, l’importante è mantenere un reale senso d’orientamento.
27 | P a g e
Nei dialoghi con attori in movimento invece si cerca di ottenere in un’unica inquadratura quello che si
avrebbe avuto con un montaggio campo/controcampo. Combinando poi i movimenti degli attori con
quelli della macchina da presa si possono avere combinazioni quasi infinite e, ovviamente, la situazione
si complica ulteriormente, gli attori possono muoversi, girare, cambiare direzione, e la macchina da presa
seguire o meno i movimenti degli attori con panoramiche, carrelli e gru.
La buona regola da seguire sempre per non perdere l’orientamento è disegnare un immaginario cerchio
dell’azione, al di fuori del quale non ci possono essere attori, la cinepresa o è al di fuori del cerchio o
esattamente al centro.
Gli attori e la recitazione
7.7.
Riassumere in pochi punti il problema della direzione degli attori è praticamente impossibile. Fin qui
abbiamo visto che dirigere gli attori può significare anche disporli sul set come pedine, ma spesso dirigere
un attore significa dargli le coordinate psicologiche perchè questi possa scoprire l’intenzione di cìò che
si appresta a fare.
In generale il problema dell’attore cinematografico è di non poter recitare in continuità e davanti ad un
pubblico, compito del regista, per questo, è guidare l’attore a mantenere la coerenza del personaggio, che
potrà essere rivista solo in fase di montaggio, trattare un attore come un burattino cui si chiede di replicare
gesti e inflessioni è l’errore più grossolano che possa commettere un regista. Più che invitare l’attore a
ritrovare un vissuto personale, al cinema sarà utile provocarlo, farlo reagire.
Durante le riprese il problema principale è come conciliare la presenza dell’apparato cinematografico con
l’umanità di chi sta davanti alla macchina da presa, un elemento determinante poi nel rapporto con l’attore è
anche il numero di ciak per la stessa inquadratura, sta al regista percepire il ritmo di ognuno e scegliere
l’eventuale compromesso necessario.
Stili di regia: tre esempi storici
7.8.
28 | P a g e La fotografia
8.
Il direttore della fotografia e il suo reparto
8.1.
Il direttore della fotografia è colui che illumina la scena stabilendo la provenienza, la qualità,
l’intensità e la fradazione cromatica della luce, è in poche parole l’autore della luce del film e il suo
contributo arriva a suggerire al regista le scelte tecnico-espressive che influenzano o sono influenzate
dall’illuminazione. Riassumendo i compiti di un direttore della fotografia possiamo dire che:
Cura la luce, illumina la scena come merita.
Mette la luce partendo dalla sceneggiatura.
Deve interpretare la sceneggiatura, non può modificarla, ma può dare delle indicazione per
migliorarla.
Può dare il diaframma, ma fondamentalmente non è il suo compito.
Fa vedere il materiale in proiezione.
Prepara gli schizzi per far collocare le lampade al capo elettricista e agli elettricisti.
Il direttore della fotografia è un punto di raccordo tra più figure professionali, deve lavorare in simbiosi con
l’operatore di macchina e assistenti, elettricisti e macchinisti, scenografo, arredatore, costumista e ha un
rapporto privilegiato con il regista.
La sua attività non è limitata al momento delle riprese, in fase preliminare si confronta con il regista per
decidere il taglio da dare al film, durante i sopralluoghi entra in relazione con lo scenografo e poi, in fase di
allestimento, con arredatore e costumista.
Il reparto del direttore della fotografia è composto da alcune figure fisse:
- L’operatore alla macchina (o cameraman) sta dietro la macchina da presa, guarda nel mirino e
realizza i movimenti di macchina leggeri, come panoramiche, zoomate, reframings, o regge
personalmente la macchina da presa, deve essere in grande sintonia con direttore della fotografia e
regista.
- L’assistente operatore (o focus puller) cura la messa a fuoco del film e imposta i diaframmi sui
valori che gli vengono indicati dal direttore della fotografia. Con i macchinisti monta e smonta la
macchina da presa.
- L’aiuto operatore (o camera loader) carica e scarica gli chàssis di pellicola, consegna la pellicola
impressionata alla produzione applicando sulla scatola il bollettino di edizione, monta e smonta la
macchina da presa e bada alla sua manutenzione.
Spesso è presente anche un operatore steadycam, ovvero un operatore specializzato nell’uso della
stedaycam. Del reparto fotografia infine fa parte anche il fotografo di scena (still photographer) , che
documenta le riprese, producendo il materiale che servirà per manifesti e locandine, opuscoli promozionali,
articoli su giornali e riviste. Il direttore della fotografia dirige anche la squadra di elettricisti, che oscilla dai
5 ai 12 elementi.
La luce
8.2.
Dal punto di vista della qualità esistono due tipi di luce, la luce diretta e la luce diffusa , la prima viene
detta luce forte (hard light) perchè investe il soggetto con una luce rettilinea, proiettandone l’ombra, si più
alleggerire la luce con l’uso di veli di garza o reticoli di metallo a nido d’ape, la seconda invece viene detta
luce morbida (soft light) perchè non proietta ombre e si ottiene quando il fascio di luce è disperso in più
direzioni, ciò avviene quando la luce è riflessa da una superficie non uniforme o quando è trasmessa
attraverso una superficie traslucida, ovvero tramite o un pannello riflettente o quando si “frosta” la lampada
(si avvolge con speciali fogli di carta traslucida).
Un secondo criterio di classificazione è la direzione, ovvero l’angolazione delle sorgenti luminose, si
possono classificare tre tipi di luce: la luce frontale; la luce di taglio, la silhouette. La luce frontale si
29 | P a g e
ottiene posizionando la lampada sull’asse cinepresa/soggetto, è una luce uniforme che appiattisce i contorni.
Nella luce di taglio la sorgente luminosa è posta di lato, sopra o sotto il soggetto, in modo da estendere le
ombre, da profondità alla scena e influisce sulle caratteristiche del volto. La luce in silhouette si ottiene
posizionando la luce sull’asse cinepresa/soggetto, ma dietro al soggetto, così che il soggetto diventa una
sagoma nera con i contorni illuminati.
Legato alla qualità e alla direzione della luce è il contrasto, ovvero il rapporto tra le parti chiare e
quelle scure. Possiamo distinguere diversi gradi di contrasto: luce piena, penombra, buio. La luce piena si
ha quando l’ambiente è ben illuminato, praticamente a giorno, la penombra è una situazione in cui i
contrasti sono più masrcati e sbilanciati verso le zone scure, situazione da sera, mentre con il buio si ha un
forte sbilanciamento verso le zone scure, con grande perdita di dettagli e con solo alcune zone illuminate,
tipica illuminazione notturna.
Per misurare l’intensità della luce il direttore della fotografia utilizza l’esposimetro, lettore di lux.
Impostando sull’esposimetro la sensibilità della pellicola in ASA, il numero di fotogrammi al secondo e
il grado di apertura dell’otturatore, l’apparecchio stabilisce il numero utile di apertura del diaframma
in f-stop. Esistono due tipi di esposimetro, quello a luce incidente e quello a luce riflessa (luxometro o
splendorimetro). Il primo misura la quantità di luce che arriva direttamente sul soggetto, il secondo, a luce
riflessa, misura la quantità di luce riflessa dal soggetto che arriva alla cinepresa, e ne esistono di due
categorie, uno che misura la luce complessiva sul set, e un’altro, di tipo spot, che può leggere singole aree.
Tecniche di illuminazione
8.3.
Cercare di codificare le tecniche di illuminazione è impresa davvero ardua, un pò perchè i tradizionali studi
sul linguaggio cinematografico si sono sempre occupati poco della luce, un pò perchè i professionisti del
settore tengono per loro le tecniche di lavoro. La resa fotografica è qualcosa che nasce dalla
combinazione di troppi fattori, spesso più materiali che razionalizzabili.
In ogni caso esiste uno schema base molto semplice, un impostazione classica di posizionamento delle
luci. Si tratta di disporre le luci in modo che si compensino a vicenda, così che i contrasti risultino
bilanciati. A questo scopo l’illuminotecnica prevede la presenza di almeno tre sorgenti luminose:
- La luce chiave (o key light): è la fonte principale, quella che da l’esposizione e deve essere la più
potente, va disposta generalmente al lato della cinepresa, ad un angolo di circa 40° e ad un altezza di
circa 2 metri, per questo è una luce di taglio, è una luce diretta e per questo proietta ombre, che
possono essere controllate con l’uso di bandiere di diverso tipo. Per lo spettatore questa luce deve
simulare la sorgente principale della scena, che sia una lampada, il sole, ecc. Se il percorso è più
lungo possono essere usate più sorgenti luminose messe in fila. Si ottiene con l’uso di spot a 5.000 e
10.000 watt, un tempo venivano molto usati i bruti.
- La luce di riempimento (o fill light) va posta dall’altro lato della cinepresa, a circa 30°, più in basso
della key light. È una luce diffusa e meno potente che serve per schiarire le zone troppo scure e a
dare profondità alla scena. Si ottiene tramite diffusori/flood, come minibruti e pallas al quarzo-iodio,
o con proiettori muniti di frost, gelatine, sete, doppi veli ecc.
- Il controluce (o back light): si produce mettendo la fonte luminosa davanti la cinepresa e dietro il
soggetto, un pò lateralmente e il più alto possibile, serve a dare volume alla scena e a staccare il
soggetto dallo sfondo. Si ottiene con gli stessi proiettori della luce chiave. Qualche volta si usa
anche una quarta luce, detta luce di sfondo (o wash light), si posiziona sul lato opposto del
controluce e viene puntata sullo sfondo, serve quando lo sfondo è molto scuro o quando si deve
inquadrare un soggetto scuro.
Per dare plasticità all’immagine poi possono essere usati altri due tipi di fonti luminose, la luce modellante e
la luce degli effetti, la prima si ottiene con lampade teatrali, viene prodotta con proiettori direzionali di
piccola intensità e protetti da bandiere così che colpiscano solo la zona interessata. La luce degli effetti è
una luce volutamente esibita, un raggio di sole che entra dalla finestra, un fascio di luce della porta che si
apre, e si può ottenere con luci di tutti i tipi.
30 | P a g e
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