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Luca Bigazzi (Il Divo – P. Sorrentino, 2008) cfr. DVD in Laboratorio e postproduzione
Bigazzi è in cinematographer di confine che ama un deciso ma ragionato sconfinamento tecnico
che lo spinge a ricercare climi fotografici inusuali sempre molto differenti tra loro, ignorando
sovente un certo perbenismo della visione, togliendo allo spettatore la lusinga dello sguardo.
In questo film: fotografia dai colori e dai toni grevi che ci proiettano subito e bene in un ambiente
politico dal sapore nauseabondo. intelligente lavoro di desacralizzazione della luce
cinematografica, il tutto accompagnato dalla rappresentazione che ne fa la mdp incapace di stare
ferma nella sua smaniosa irrequietezza, in contrasto con la sinistra staticità andreottiana.
Uso delle ottiche: in alcuni primi piani dedicati al divo e consorte si evidenziano in maniera
sferzante le rughe di una classe politica incartapecorita e grinzosa, che trascina con sé una classe
dirigente tramante che trova le sue uniche note di colore nella sola presenza delle vesti cardinalizie.
Efficace è il risultato ottenuto in DI nella decostruzione cromatica attraverso le volute fastidiose
texture di colore che il film ci propone.
Remy Adefarasin (Match Point – W. Allen, 2005) cfr. DVD in Cinematographer
Forte e evidente è il valore e la simbologia dell’immagine , la connotazione atmosferica e di luce ed
il suo significato, mentre poco presente è la parola.
Ambientato a Londra (quindi si dovrebbe percepire una luce ed un clima fresco, grigio,
temporalesco) L’atmosfera di luce che il film lascia trasparire in molte seq. è invece calda,
appiccicosa e inverosimile e comunque inadeguata al clima di questa città, molto più simile a un
clima mediterraneo. Questa fotografia dal denso colore ambrato, senza forti connotazioni di
contrasto, ma con morbidi chiaroscuri accompagna molti film di Woody Allen. (quasi come un
“marchio di fabbrica”)
Luci e fotografia da mistery lighting – toni di luce pacati e privilegia colori ambrati presenti per
gran parte del film per sottolineare molti esclusivi luoghi abitativi, dove trasuda ricchezza. Molti
simillitudini lumino/narrative.
Vedi pgg 106-107
Hagen Bogdansky (Le vite degli altri – F. Henckel, 2006) cfr. DVD in Cinematographer
Ricrea atmosfericamente negli esterni i sapori della luce di una Germania Est intrisa di giorni di
sapori di luce fredda ed uggiosa ed alla sera di luoghi spogli e scarsamente illuminati da lampioni
stradali che emettono una luce giallo/verde cromaticamente fastidiosa e spettralmente insulsa, che
ti invita solo a rientrare in casa dove però ti attente la stessa sensazione impersonale ricevuta
dall’esterno.
Seamus McGarvey (The Hours – S. Daldry, 2002) cfr. DVD in Cinematographer
Film denso di immagini che si intrecciano e che raccontano la giornata e le storie di tre donne in
epoche e luoghi differenti:
Virgina Woolf : la luce che la racconta è fresca e dal sapore antico, con dei toni seppia,
contrapposta agli esterni dove ben presente è il verde della vegetazione. La scelta narrativa di una
focale lunga (teleobiettivo) fa sentire tutto questo, lo fa intravedere ma non vedere, portando anche
all’esterno il senso claustrofobico degli interni, in un’ansiosa continuità visiva. La scelta
fotografica adottata è forse la più convenzionale, ma ha a suo favore l’immediato e collocabile
impatto visivo.
Laura Brown : è la casalinga depressa, con la visibile paura di non essere all’altezza è avvolta da
un’intensa e calda luce californiana che tanto ricorda le pellicole di Douglas Sirk, lasciando
trasparire il suo rapporto conflittuale con la vita. Obiettivo grandangolare (21mm) impiegato per
alcune sequenze, ci racconta con una sottolineata profondità di campo l’interno della casa,
restituendoci un senso di finto, d’artificioso e di fintamente perfetto, come il suo quotidiano fatto di
torte e di finte attenzioni, in realtà senso di apatia e malessere.
Clarissa : la sua storia inizia con immagini che raccontano una diafana New York all’alba, la
cinepresa con una lunga focale inquadra con circospezione l’avanzare di una donna, subito
individuabile in mezzo a tanto colore dai toni freddi perché indossa una giacca rossa (è la
compagna di Clarissa che si è concessa una serata di libertà sentimentale. Colore rosso =
trasgressione, farsi notare, essere protagonista)
Teleobiettivo: pronto a SCHIACCIARE i sensi di colpa riaccompagnanfola a casa. Subito la giacca
rossa, simbolo di passione, amore e peccato carnale lascia il posto al candido bianco (agnello
sacrificale) pronta a riprendere il suo posto di subalterna all’interno dei rapporti di coppia.
Clarissa all’ingresso della compagna nella bianca camera da letto finge di dormire, mentre un lento
carrello laterale la cerca e la inquadra sino ad un primo piano. Il colore bianco della stanza = notte
in bianco in cui Clarissa si è sforzata di ignorare e di accettare il tradimento della compagna,
riaccogliendola accanto a sè in un’intimità che per una notte non è stata solo sua.
Altra operazione fotografica interessante è nel finale del film, quando le tre protagoniste sono
riviste in primo piano, con una luce ed una dinamica di comunicazione visiva molto efficace: la
luce antica, la luce morbida, la luce puntiforme un solo taglio narrativo fotografico. 3 illuminazioni
diverse che si vanno a posare su questi visi che hanno attraversato vicissitudini, sofferenze, rese dei
conti Virginia luce di taglio deciso che le lascia metà del volto in ombra netta / Laura che ora ha il
coraggio di mostrare tutta sè stessa insieme alle sue rughe evidenziate da un piccolo proiettore spot
(Dedolight), posto leggermente di taglio per rimarcarne la presenza ed il risultato, in un’immagine
leggermente soft ottenuta da un filtro / Clarissa è illuminata frontalmente da una luce diffusa e
dall’impostazione fotografica classica, molto centrale in direzione degli occhi, posizionata appena
un poco più alta rispetto alla linea di sguardo.
Capitolo V – Ci vuole una cornice narrativa. Il formato.
Il formato cinematografico rapprsenta la scelta dentro la quale l’autore della fotografia deciderà di
scrivere la sua storia di luce. Esso diverrà la cornice narrativa e il quadro, il contenitore della storia
entro cui far vedere. Si costruisce così un ordine sequenziale con punti diversi ed alternativi di
sguardo: una messa in opera della visione e della percezione per incorniciare lo spazio in cui lo
spettatore fa il suo ingresso.
Il formato cinematografico è cornice che figurativamente accoglie dentro di sè luci e storie che si
trasformano con la giusta inquadratura in nuovi spazi di sguardo e in esperienze da condividere con
altri spettatori.
Il formato del fotogramma (aspect ratio) = rapporto che intercorre tra la base e l’altezza del
fotogramma stesso. Si adottò subito per il formato della pellicola 35mm (file system) il rapporto
1.33:1 (full aperture). Successivamente con l’avvento del sonoro venne introdotto il formato 1.37:1
(Academy) per lasciare spazio alla colonna ottica. L’impiego di questo formato rimase costante tra
il 1932 e il 1953 sino all’avvento del cinemascope – sistema brevettato dalla 20th century fox e
che rivoluzionò il modo di riprendere e comporre le inquadrature e le immagini che lo abitavano. Il
nuovo formato panoramico si avvaleva dell’impiego in esclusiva di lenti anamorfiche impiegate sia
in ripresa che in proiezione e costruite dalla Bausch & Lomb Optical Company. Queste lenti
schiacciavano orizzontalmente l’immagine durante alla ripresa e successivamente venivano
decompresse in fase di proiezione attraverso l’impiego di una equivalente lente anamorfica.
Secondo molti cinematographer i risultati di queste lenti non offrivano una sufficiente affidabilità
di definizione ed incisione delle immagini, non erano ancora all’altezza. Questa “diffidenza”
tecnica permise alla neonata Panavision di contrastare inizialmente il sistema Cinemascope.
La comparsa di un’illustrazione di pubblicità comparativa fu eloquente: un viso di donna in primo
piano fotografato con ambedue i sistemi:
Cinemascope: mostrava un evidente allargamento e compressione del viso che ne fagocitava i
lineamenti
Panavision: al contrario eliminava molti di questi problemi di distorsione e compressione causati
dall’impiego di lenti anamorfiche non ancora affidabili.
Le nuove lenti invece offrivano la possibilità ieri come oggi, di usufruire di una sofisticata e vasta
gamma di focali, capaci di coprire molteplici possibilità di impiego.
Attualmente i formati più usati al cinema sono: 1.85:1 e Super 35 (full aperture) da cui si estrae
un’immagine widescreen, ottenuta attraverso una stampa ottica. Questo offre la possibilità di
estrarre la parte di negativo desideratta, supportando le diverse esigenze di proiezione
Lawrence d’Arabia fu girato in Super Panavision per la fotografia di Freddie Young – famosa è la
seq suggestivamente aiutata dall’impiego del formato 2:1, dell’ingresso nella scena dei due
personaggi sui cammelli. I protagonisti arrivano da due parti opposte, suscitando l’impressione di
un’imminente collisione, dovuto all’effetto di compressione del formato impiegato
A sangue freddo realizzato in formato “scope” in b/n. Raccontato dalle incisive ed esplorative
immagini di Conrad L. Hall, è uno sguardo su una provincia americana involuta e sospettora,
fotografata nelle densità di un moderno b/n. Il film sfrutta in modo deciso le ampiezze visive
offerte dal formato, con suggestive inquadrature ed emozioni di luce.
Gli anni ’70 sono più riflessivi, i formati meno invasivi si opta per un più tranquillo formato 1.85:1
Capitolo VI – Posizionamento delle luci per la scena: aspetti tecnici e successive
inquadrature
Quella che segue è un’indicazione generale per procedere alla messa in opera dei corpi illuminanti
per la realizzazione di un’atmosfera fotografica.
È buona norma iniziare la realizzazione del disegno luminoso disponendo sul set i corpi illuminanti
per l’inquadratura più larga prevista nella scena, con la mdp all’altezza voluta e con l’ottica e la
lunghezza focale scelta.
Il cinematographer posizionerà i corpi illuminanti per creare il disegno luminoso e la profondità di
campo desiderata attraverso i rapporti di contrasto, di illuminamento, di diaframma di lavoro.
Il disegno luminoso dipende dal posizionamento delle luci chiave , di riempimento e di contorno.
Con il rispetto di queste procedure si otterrà la continuità fotografica tra le inquadrature che
compongono la stessa scena e tra una scena e l’altra.
Per ill