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Vorrei si togliesse importanza alle diatribe “digitale si, digitale no”. Penso al DI come

un ulteriore mezzo a disposizione del cinematographer. Voglio ricordare che la

costruzione della luce è sempre la sola base per ottenere un'ottima immagine.

Harris Savides, per la fotografia di Elephant - Gus Van Sant, 2003 – ha lasciato che la

luce arrivasse sulle lenti degli obiettivi e producesse flares, su immagini dal taglio

documentaristico/televisivo alternate ad immagini sovraesposte e lattiginose,

sottoesposte e sgranate, raccontandolo attraverso l'impiego della steadycam. Per il

film American Gangster – Ridley Scott, 2007 – ha creato una fotografia densa di

atmosfere, che mettono in fuga la realtà, affidandosi a luci ferruginose ed ossidanti,

che scacciano dal fotogramma il senso del colore. Si avvale di una tecnica di

desaturazione del colore ed enfatizzazione dei neri, attraverso un nuovo processo

chimico della Technicolor chiamato OZ, lavorazione che fornisce un'immagine con

bianchi puri, decisi dettagli nei toni medi e nelle ombre e un'incredibile nitidezza dei

neri. Intervenendo principalmente sugli strati della pellicola del rosso e del ciano,

influisce significativamente sui colori rossi, che risultano decisamente scuri e

desaturati.

Per la ricerca della texture fotografica, Savides ha testato il Technicolor ENR,

impiegato in The game, in cui un bagno di sviluppo per il b/n, applicato al processo di

sviluppo del positivo colore, trattiene una percentuale predeterminata di argento sul

positivo, con il risultato finale di incremento del contrasto e della densità dei neri

nelle zone d'ombra e una desaturazione del colore.

Nel film Gomorra – Matteo Garrone, 2008 – Onorato una l'ENR sul positivo di stampa.

È un intervento che rappresenta una chiave creativa ideale per raccontare il

malessere che si respira in un quartiere di periferia, nel contesto di una storia

drammatica. L'autore sostiene che è la scelta ideale per ridare corpo ad un negativo in

molte sequenze sottoesposto, a causa delle difficoltà ambientali per le riprese. In

questo caso, ha deciso di non optare per il DI, che avrebbe innestato una sorta di

artificiosità nelle immagini, cercando piuttosto di mantenere la luce originale di

ripresa.

Nel film Caos Calmo – Antonello Grimaldi, 2008 – Pesci, l'autore della fotografia,

ricerca in questa storia divisa tra dolore e commedia una quotidiana naturalità di

sguardo, consona allo sviluppo narrativo, tipica dei quadri di Estes, pittore

fotorealista. Egli ricerca un naturalismo trasfigurato con un effetto di luce naturale

autentica. È una fotografia che vive di immagini semplici, a volte invisibili, ma sempre

lavorate. Il cinematographer si è avvalso de DI per creare l'atmosfera iperrealista

presente nei quadri di Estes.

Anche Zsigmond ha fatto uso del DI con una risoluzione a 4K per The black Dahlia.

Egli nota che con l'appropriato uso di pellicole, cineprese, obiettivi, corpi illuminanti e

alcuni accorgimenti, come sottoesporre il negativo in fase di ripresa e poi

intervenendo con processi di laboratorio, ovvero sovrasviluppando il negativo per

compensare la sottoesposizione. Così facendo è riuscito a ricreare i clichè narrativi e

B-movie.

il clima figurativo dei Va sottolineato l'uso marcato delle ombre, prodotte da

low

forti fasci di luce duri e direzionate, secondo uno schema tipico dell'illuminazione

key lighting. La luce chiave è posta a 45°, andando ad illuminare i visi dei personaggi;

con le luci di taglio poste a 90° che hanno la funzione di scontornare e sottolineare gli

attori; una presenza quasi constante, ma non invasiva di controluci e leggere

silhouette che stilizzano la scena e la conformano ai canoni visivi del noir.

Non si sono affidati in toto al DI cinematographer come Lance Acord in Maria

Antonietta, e neanche Javier Aguirresarobe per Goya's ghost. Essi hanno preferito

trasferire sul negativo tutte quelle sfumature di luci ed impressioni visive che

dovevano farsi portatrici delle suggestioni adeguate al tema trattato, privilegiando il

prima rispetto a riflessioni a posteriori. Acord preferisce ricerca degli stimoli

direttamente in luci e colori, durante le lavorazioni sul set. Con la ricerca di una luce

ed un mood interessanti, entrambi si affidano al tradizionale laboratorio

cinefotografico. Acord vuole mostrare i modelli comportamentali di una società ormai

giunta al tramonto, che sfoggia i suoi interni, gli abiti e le luci con toni leggeri e colori

pacati, dentro i quali la mdp si inserisce, raccontando in maniera sobria con una

fotografia giocata sui toni morbidi. Egli fa emergere una moderna sapienza di sguardo,

senza ricorrere a filtri o alchimie post-produttive, con il risultato di una marcata luce

diffusa.

Aguirresarobe opta invece per un taglio pittorialista, fatta di contrasto e di profondi

chiaroscuri: si parla infatti della pittura di Goya.

Maestro di atmosfere accattivanti come in The others, egli vuole un negativo ben

esposto con neri decisi e profondi contrasti di luce, per plasmare ed accentuare la

presenza degli attori con una luce austera e a volte drammatica. Il tutto è aiutato da

un leggero tono caldo sul volto degli attori, ottenuto con l'impiego di un filtro.

Sono immagini evocative, con belle e suggestive atmosfere ottenute grazie alle lenti

Fresnel che provengono dall'esterno, che rompono, squarciano e scolpiscono il buio,

disegnando marcati percorsi di luce. Le penombre e l'illuminazione del viso sono invece

ottenuti con dei tubi fluorescenti che emanano una luce soft.

Le tecniche di illuminazione prevedono principalmente due tipi di composizione

luministica: tonale o chiaroscurale.

La prima crea generalmente una rappresentazione della scena con toni morbidi ed

immagini senza forti contrasti luminosi, attraverso un'atmosfera fatta di luce diffusa,

riflessa, riflessa direzionata, che illumina evidenziando in modo discreto personaggi e

spazi con un taglio fotografico naturalista e con una direzione naturale della luce che

cade all'interno della scena.

La seconda è un modello più elaborato ottenuto attraverso l'impiego di diverse

sorgenti artificiali, con il continuo avvicendarsi di chiari e di scuri, di luci modellanti e

di effetti, creando, suggerendo, modellando spazi di luci ed ombre, il visivo ed il

percettivo, con il risultato di un'atmosfera pittorialista.

Per il progetto di luce del film Caravaggio, Vittorio Storaro con la sua personale

capacità di rendere visivo il racconto, dice: “Ho pensato di procedere con una

scrittura di luce che mi permetteva di far emergere i corpi dall'oscurità, di portare

alla coscienza ciò che è stato un tempo riposto nell'inconscio”.

Il peso delle luci e delle ombre, dei chiari e degli scuri diverrà un vero bilanciamento

ritmico, starà poi all'autore della fotografia scegliere, mischiare, ricreare il sapore

fotografico e di luci più consono allo svolgersi narrativo ed emotivo del film,

interpretandone il tema, il tono, lo stile.

Il cinematographer sceglierà le luci più consone: dure, morbide, naturali,

colorimetricamente differenti tra loro, adattandole ed interpretandole per farle

diventare il modulo e la tattica fotografica più appropriata. L'illuminazione ha grande

importanza per l'equilibrio figurativo e per la composizione dell'inquadratura,

ricreando la forma plastica e spaziale degli oggetti, la loro tonalità, la loro materia.

Gli effetti di luce supportano ed esprimono il contesto filmico e aiutano la funzione

espressiva e la sostanza artistica del film stesso, dunque l'atmosfera cineplastica è

resa dall'integrazione nel complesso plastico, dagli elementi attivi(dinamici):

personaggi ed elementi mobili; dagli elementi passivi(statici): luogo, scenografia, in un

clima la cui origine è sempre fisica ed il risultato sempre psicologico. Il

cinematographer parità dall'uso della luce per ricreare atmosfere e le suggestioni dei

colori. Abbinare pittura e cinema come qualcosa di legato e naturale è perfino ovvio.

Il cinematographer rappresenta gli occhi del cinema, è la mente e la pratica creativa

dell'immagine, sa indirizzare visivamente lo sguardo dello spettatore.

La sceneggiatura è di fatto l'architettura, il cuore letterario, l'anima più profonda di

un film, e la regia ne è invece l'approccio creativo dell'esecuzione, la fotografia

rappresenta da sempre l'interpretazione subliminale, il linguaggio psichico.

Il cinematographer elabora una drammaturgia visiva che si dirige e concentra più

sull'immagine che sulla parola, rispettandone però sempre l'andamento narrativo.

Come lo sceneggiatore, anche l'autore della fotografia svolge un'attività indiziaria che

procede per tentativi e impressioni di realtà, perchè nell'arte nulla è più vero

dell'arbitrario. Creare è dar forma a una evocazione.

L'uso immaginario delle immagini deve saper portare originalità e ricchezza di

invenzioni, flessibilità e doti intuitive nel suo lavoro. Eco

Creatività è la combinazione inedita di elementi preesistenti.

Egli sa dialogare, sa visualizzare, dare forma e struttura agli stimoli e alle sensazioni.

Saper immaginare e fotografare non è solamente riconducibile ad un effetto

compositivo o alla ricerca estetica di un taglio di luce particolare, ma significa ricerca

di senso, movimento, semplicità, tanta sapienza e conoscenza dei mezzi tecnici, vuol

dire saperli impiegare col giusto tocco, per scrivere e narrare sullo schermo le storie.

È un artista/interprete che aggiunge al sogno più realtà. Sa interpretare in modo

personale uno sguardo, un gesto, una luce, un colore, riesce ad illuminare con la mente.

Sa accompagnare lo sguardo per far convergere l'attenzione dello spettatore sul

contenuto del racconto; sa suggerire il clima, sa interpretare la trama.

Il cinematographer la luce la cerca, la aspetta, la studia, ne controlla i movimenti,

deve saper dare e motivare il giusto significato a tutto ciò che un'immagine può

trasformare da visivo a visionario, da vero a verosimile.

Il cinematographer accompagna alla sua sensibilità visiva una sapienza tecnologica

responsabile della qualità fotografica del film, che nei processi di pre-produzione,

produzione, post-produzione, si traduce in una pianificazione, ovvero nella conoscenza

di luci, obiettivi, telecamere, cineprese, pellicole, consolidati e recenti aspetti post-

produttivi, per utilizzare tutti questi elementi al meglio.

L'immagine, la fotografia, le luci, i colori, i movimenti di macchina sono lo spirito guida

del film ed il suo carattere.

Nel film Munich – Steve

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
20 pagine
6 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabio.dipi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Laboratorio di illuminotecnica e fotografia cine - televisiva e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Schiavon Massimo.