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Fronte Popolare. Nel film mancano sia “cattivi” che “buoni” in senso canonico. Ma il film oltre ad
essere una commedia, è anche una tragedia, perché si conclude con la morte di uno dei personaggi.
Renoir rigetta il decoupage, optando per il long take. Renoir tende inoltre ad usare la “quarta
parete”, ignorata dal cinema classico.
La nozione di piano-sequenza
L’espressione piano-sequenza implica l’idea di un’inquadratura, che svolge da sola il ruolo di un’intera
scena.
Bisogna però distinguere il piano-sequenza dal long take, letteralmente “inquadratura lunga”.
Capitolo 6. Il neorealismo e l’avvento del cinema moderno in Italia
6.1. “Un territorio di voci”: coerenza e distonia nel territorio realista 21
Il neorealismo non ha avuto una lunga vita, possiamo dire che questo si apre nel 1945 con Roma
città aperta, per poi concludersi nel 1952 con Umberto D.
La sua nascita viene fatta coincidere con l’uscita di due famosi articoli di Umberto Barbaro,
nell’estate del 1943, intitolati Neorealismo e Realismo e moralità, con i quali viene sancita
l’importanza determinante di Ossessione (1943) di Luchino Visconti. Il termine “neorealismo” aveva
però un’origine letteraria risalente a romanzi come Gli indifferenti e Gente in Aspromonte di
Corrado Alvaro, romanzi legati all’esperienza del reale, ma al contempo non scevri da suggestioni
psicoanalitiche e soprattutto lontani in modo radicale da forme di perfezione linguistica, grazie
all’uso di una lingua contaminata.
L’altra imponente posizione teorica del neorealismo è rappresentata da Cesare Zavattini, e viene
spesso sintetizzata nella sua riflessione intorno al “pedinamento del reale”: il tempo è maturo per
buttare via i copioni e per pedinare gli uomini con la macchina da presa. Il quale avrà anche un
lungo sodalizio con De Sica, che porterà alla realizzazione di:
a. Sciuscià, 1946;
b. Ladri di biciclette, 1948;
c. Umberto D, 1952.
Film che appunto procedono verso una riduzione dell’intreccio narrativo, favorendo tempi morti,
valorizzando il gesto minimo della quotidianità, pedinando l’individuo nella sua semplicità.
Rossellini: anche i suoi film sono mossi da un intento divulgativo della realtà, resa massimamente
comunicabile e decifrabile, proprio dal cinema.
Nella sua trilogia resistenziale composta da Roma città aperta (1945), Paisà (1946), Germania anno
zero (1948), Rossellini rivela un’attenzione particolare per le piccole cose.
Visconti: se è proprio per Ossessione che viene utilizzato il marchio “neorealismo”, lo stile di questo
regista sembra allontanarsi notevolmente dai parametri neorealisti così come si sono delineati per i
precedenti autori. La sua forte preparazione del film, lo allontana molto dal presente: emblematico
è il caso di Senso (1945), un film in costume tratto dal racconto di Camillo Boito, emblema del
passaggio dal neorealismo al realismo. Il passaggio cioè dalla mera registrazione e descrizione
dell’esistente alla sua narrativizzazione.
Giuseppe De Santis: che ha indubbiamente il merito di aver abbassato i canoni neorealisti per una
resa popolare dei suoi film, non disdegnando frequenti contaminazioni con il cinema americano e
con la cultura popolare italiana veicolata da un sistema mediale in via di complessificazione.
Pensiamo solo a Riso amaro (1949).
Punti comuni del neorealismo:
1. Comune volontà di ampliare l’orizzonte del visibile cinematografico: sullo schermo vengono
promossi soggetti e situazioni marginali dal cinema precedente. Ambienti e personaggi fino
a quel momento esclusi dalla scena;
2. Profonda riflessione sulle strategie di narrazione del reale. Lo spirito neorealista lavora
intensamente tra i concetti di verità e di verosimiglianza della materia rappresentata sullo
schermo, ora optando per una massima trasparenza dell’immagine che tende a farsi
documento, ora ricorrendo alla tradizione narrativa del romanzo ottocentesco.
3. Un nuovo modello di comunicazione diretta e interpersonale tra i personaggi e il pubblico,
da una parte producendo fenomeni di rispecchiamento, dall’altra utilizzando modelli di
rappresentazione fortemente vincolati alla cultura popolare di natura mediale.
In sostanza ci troviamo di fronte a tre punti di convergenza: la visibilità, la narrazione del reale e il
rapporto con lo spettatore. 22
6.2. Il neorealismo nei film: quattro proposte d’analisi
Analizziamo l’incipit di quattro film:
1. Paisà (1946): è un film composto da sei episodi in sei differenti luoghi della penisola italiana
a partire dalle cose siciliane al Po. Motivo di coesione degli episodi è la voce narrante, il cui
scopo è di oggettivare gli eventi, di porsi come testimonianza.
2. La terra trema (1948): Visconti parte dai Malavoglia, per raccontare la versione della storia
dei Valastro, pescatori di Acitrezza. Il film sembra realizzato seguendo alla lettera i canoni
del neorealismo, ma qualcosa sembra non tornare: la voce del narratore in un impeccabile
italiano, la cui funzione sarà di rendere comprensibile alla maggior parte degli spettatori i
dialoghi in dialetto. Quindi ciò che esce fuori dai dettami neorealisti è il punto di vista
autoriale e autorevole sulla storia.
3. Ladri di biciclette (1948).
4. Riso amaro (19949).
I quattro film concordano nel promuovere un visibile occultato dal cinema precedente, ma
impostano la narrazione secondo stili differenti: Rossellini opta per la resa documentaristica,
Visconti per la narrazione onnisciente, De Sica per il pedinamento della realtà e De Santis per la
narrazione partecipe.
6.3. Il cinema popolare degli anni Cinquanta: una rivoluzione dal corto respiro
Il cinema popolare post-neorealista: a partire dai primi anni Cinquanta il cinema italiano si trova al
centro di un generale movimento di riorganizzazione ed espansione dei mezzi di comunicazione di
massa, che porterà nell’arco di pochi anni al costituirsi di un vero e proprio sistema integrato dei
media: sviluppo e diffusione della stampa quotidiana e periodica, diffusione su larga scala di radio.
In questo contesto il cinema si pone come una sorta di ipermedia: mantiene per tutto il decennio
un ruolo di guida e nel contempo si assume il compito di accogliere all’interno del proprio corpo gli
altri mezzi di comunicazione dei quali contribuisce a formare l’immagine presso il grande pubblico.
In secondo luogo si fa testimone della realtà sociale circostante. Inoltre riconosce un grosso
impulso dal punto di vista della produzione.
La commedia degli anni Cinquanta prende le distanze dal neorealismo, ma senza operare una
rottura. Con Due soldi di speranza (Renato Castellani, 1951), viene alla luce il cosiddetto
“neorealismo rosa”, colore che fa riferimento alla loro vena sentimentaleggiante, alla loro
spensieratezza. Insomma ancora in nome del realismo, ma con un briciolo di ottimismo.
6.4. La modernità nel segno della commedia
Pane, amore e fantasia (Comencini, 1953), pur restando da una parte legato ai luoghi paesani
abitati da volti comuni, tradisce la presunta marca di genere del protagonista qualunque, ospitando
Vittorio De Sica.
Un altro mutamento di rotta si ottiene con Pane, amore e… (Dino Rosi, 1955) che denota un nuovo
tratto della commedia, ossia il suo essere nomade e non più legata ad un solo luogo.
Ecco allora che conquistano la scena i giovani dei quartieri popolari di Poveri ma belli (Risi, 1956),
Belle ma povere (Risi, 1957), Poveri milionari (Risi, 1958).
Il genere delle commedia nella maggior parte dei casi non opta per una narrazione lineare, ma
decide di frammentare il proprio racconto, assemblando frammenti autonomi, senza
necessariamente esplicitare nessi di coerenza spazio-temporali o causali. Come per esempio Il
sorpasso (Risi, 19962). 23
Ma la commedia suggerisce anche una narrazione plurifocale, come in I soliti ignoti (Monicelli,
1958).
Infine, verso gli inizi degli anni Sessanta, la commedia inizia a problematizzare i propri finali, come
in La grande guerra (Monicelli, 1959)
Capitolo 7. Il cinema d’autore europeo degli anni Cinquanta e Sessanta
Anche se la nozione di cinema d’autore sarà, in sede teorica, sviluppata soprattutto in Francia nel
dibattito tenutosi sui Cahiers du Cinéma, l’idea che il regista fosse il responsabile dei diversi aspetti
della lavorazione di un film e dei suoi esisti finali era già stata in più sedi sostenuta.
Gli elementi che tengono insieme autori come Bunuel, Bergman, Fellini, Antonioni, Akira Kurosawa
o Jacques Tati sono i seguenti:
1. Il lavoro del regista si estende a tutte le fasi della lavorazione;
2. Il film d’autore si caratterizza per una complessità di contenuti, spesso non di facile lettura,
che liberano il cinema da ogni residuo commerciale, facendo del film un oggetto culturale;
3. Sul piano dello stile i film si caratterizzando per una particolare originalità espressiva, che,
pur non rinunciando alla dimensione narrativa, muove il cinema nell’ambito dei territori
inesplorati, al di fuori degli ambiti di rappresentazione che hanno dominato il cinema
classico;
4. La complessità dei contenuti e l’originalità delle forme espressive impone un nuovo tipo di
spettatore, la cui funzione principale non è più ricreativa, bensì legata a un accrescimento
culturale;
5. Ha caratteristiche stilistiche che rendono facile l’identificazione dell’autore.
7.1. Luis Bunuel e “Virdiana”
Già nel 1950 con I figli della violenza, il nome di Bunuel inizia a circolare in Europa.
a. Estasi di un delitto, 1955;
b. Nazarin, 1957;
c. L’angelo sterminatore, 1962.
d. Viridiana, 1961: girato nella Spagna di Franco. Il successo del film che, sancisce la sconfitta
definitiva del modello cristiano e dà corpo ad una dissacrante sconsacrazione
dell’iconografia cattolica, favorì il rientro del cinema messicano nel circuito d’autore. Si
apre con questo film l’ultimo periodo del cinema di Bunuel, contrassegnato da una
maggiore compostezza formale, priva di fronzoli, fatta di inquadrature relativamente
lunghe e di molti movimenti di macchina a seguire quelli dei personaggi.
Nei film europei del regista troviamo spesso la dialettica di Eros e Thanatos e quella di
realtà e fantasia.
A seguire Bunuel realizza:
a. Bella di giorno, 1967;
b. Il fascino discreto della borghesia, 1972;
c. Il fantasma della libertà, 1974.
Di fronte a film come questi lo spettatore non è sempre in grado di capire se quello che sta
vedendo sullo schermo è la realtà o meno.
7.2. Ingmar Bergman e “Il settimo sigi