vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il ruolo del giornalismo nel controllo dei poteri
Il fatto che il giornalismo debba controllare i poteri non è scritto in nessun codice. La stessa definizione della professione non viene esplicitamente formulata fino al '63, con l'istituzione dell'Ordine. Viene stabilito che due sono i fondamenti del lavoro giornalistico: la libertà come diritto e la verità come dovere. L'affermazione della libertà era particolarmente significativa dopo la censura fascista. Lo stesso articolo 21 della Costituzione lo sostiene e, ancora, la legge 47 sulla stampa che la stessa Costituente promulgò, eliminando autorizzazioni e censure. La libertà era l'unico credo dei giornalisti, spesso perdendo di vista anche il rispetto degli altri diritti fondamentali. Dal '96, con la legge sulla privacy, si diventò meno flessibili a riguardo ma l'autocensura continuava ad essere mal vista. La cronaca nera è stata il cavallo di battaglia del giornalismo italiano almeno fino agli anni di piombo, forse sempre come.
rivalsa all'atteggiamento fascista. Ma ancora poca attenzione era rivolta al sociale. Nella professione contava soprattutto la capacità narrativa, più che la curiosità, i valori, la voglia di indagare. Gli errori erano previsti e prevedibili e si andava incontro alle sanzioni senza preoccuparsene più di tanto. L'imperativo era raccontare storie dettagliate, anche storie di cui non si poteva appurare la totale verità. Con Tangentopoli (ma già con gli orrori degli anni '70) si avverte l'esigenza di cambiare registro e punti di riferimento. Era necessario rendere trasparente l'operato dei governanti, controllarli. Questo fu possibile grazie all'affermarsi di una cultura progressista, di partiti di sinistra, grazie alla fine delle ideologie e al ciclone giudiziario di Mani Pulite. Nacquero nuovi giornali e altri si trasformarono; grazie anche alle nuove tecnologie l'informazione diventava più ricca. Il modello del cane da guardia iniziò.Ad arrivare anche in Italia, seppur non sempre efficace. Spesso era più un cane da salotto, un giornalismo che distraeva dai problemi più che analizzarli a fondo, puntando sul gossip e sulle vendite.
1.4 La politica prima di tutto
La politica è stata spesso all'origine della stessa nascita di giornali, in Italia. L'obiettivo era perseguire una linea che appoggiasse o contrastasse un preciso progetto politico, ancor prima che sociale e/o commerciale.
Quest'impronta è evidente già nei primi fogli e gazzette, e poi durante la Rivoluzione Francese, il Risorgimento, nell'Ottocento... la stampa è sempre stata veicolo di idee e ideali, per lo più liberali, strumento di aggregazione e consenso.
Dopo il primato veneziano delle gazzette (fortemente subalterne al potere di turno), l'Italia si arenò rispetto agli altri Paesi europei, che attraversarono invece fasi di progresso economico e vivacità culturale. In particolare ricordiamo che in
Inghilterra nasce il primovero quotidiano, il Daily Courant (1702), che è anche il primo a preoccuparsi apertamente del problema deontologico. Tra il Settecento e lʼOttocento le costituzioni dei piccoli stati italiani proclamarono la libertà di pensiero e fiorirono numerosi giornali e riviste, ma con Napoleone furono ripristinate le vecchie restrizioni. Persisteva comunque come finalità fondamentale quella di influenzare il lettore e non semplicemente di informarlo. Il giornalismo era una battaglia di idee. Anche se vi furono intellettuali illustri in questo settore, essi mai furono neutrali; piuttosto si schierarono apertamente (vedi Alberto Frassati). Una visione più commerciale arrivò con lʼistituzione delle agenzie di stampa; i pareri su questo nuovo giornale furono discordi. Il modello più sensato, ossia quello di un prodotto che conquistasse il pubblico attraverso accuratezza e credibilità, non ebbe molta fortuna. Con il fascismo ognilibertà di stampa fu revocata e un suo ripristino si ebbe solo con l'articolo 21 e con la legge stralcio sulla stampa (n.47/1948). C'era molto entusiasmo e nacquero nuovi quotidiani, ma il problema fu che non cambiò la mentalità con cui venivano partoriti. Nuovi titoli, nuovo linguaggio, ma spesso le stesse persone a dirigerli e la stessa attitudine filogovernativa, la stessa linea moderata. Tra i pochi quotidiani di opposizione importanti ricordiamo l'Unità, espressione di un giornalismo militante. Le cause principali di questo stretto legame con la politica sono di fondo due: il diffuso analfabetismo e la mancata espansione del mercato pubblicitario, che hanno spinto l'editoria non verso il successo commerciale ma verso la ricerca dell'appoggio politico. Faranno la differenza solo i periodici (Europeo, Oggi, L'Espresso, ...). All'inizio degli anni '80 arrivano i computer nelle redazioni (favoriti dalla legge n.416/1981), ma neppure questa rivoluzionetecnologica riesce a cambiare realmentequalcosa: i mass media sono ancora tutti legati ai partiti. Si afferma tuttavia la cronacalocale, che porterà una ventata di indipendenza all'interno del giornalismo italiano.
La vera svolta arriva però con Repubblica, nel 1976. Preceduta in un certo senso dal Giornale di Montanelli nel '74, essa propone un atteggiamento nuovo rispetto alla politica, volendone svelare i retroscena, spiegarla ai cittadini. Di ispirazione progressista ma sempre molto critica anche nei confronti della stessa sinistra, il successo del giornale di Scalfari spinge anche il Corriere ad uscire dalla sua cerchia liberalconservatrice. Spesso Repubblica è stata accusata - per il suo piglio politico - di essere un giornale-partito. In realtà si tratta di un quotidiano dalla linea editoriale chiara e ricca, che ha conquistato credibilità presso il pubblico grazie alla sua professionalità.
Repubblica e Corriere proponevano negli anni '90
modelli diversi, il primo lasciando moltospazio alle opinioni, il secondo inseguendo la formula omnibus di Longanesi. Si può direche il Corriere sia stato tradizionalmente più “neutrale” (anche se siamo lontani dallʼideaanglosassone di fatti separati dai commenti), ma non sono mancate negli anni aperteprese di posizione contro i governi, dallʼanti-giolittiano, interventista Albertini ad oggi.Contemporaneamente andò affermandosi anche la Stampa della famiglia Agnelli, pur nondiscostandosi molto dallʼatteggiamento moderato e di difesa delle istituzioni.Il problema dellʼetica nel caso di giornali che appoggiano partiti politici è molto rilevante.Schierarsi è lecito? Eʼ opportuno? Qual è la soglia tra il fare giornalismo e il sostituirsi aipartiti? Molto spesso i quotidiani pubblicano argomenti inerenti alla politica che sono dinessun interesse per il lettore, ma rappresentano unʼinformazione compiacente per idirigenti. Tuttavia
la stessa classe politica manifesta insofferenza verso la situazione dellastampa italiana. Questo spesso accade perché i giornalisti vanno alla ricerca di retroscenae scheletri nellʼarmadio, come è successo con Berlusconi e Biagi, Luttazzi, Santoro. Macercare di limitare questo vorrebbe dire mettere un freno alla libertà di espressione, di cuierrori ed eccessi possono essere una conseguenza.
Lʼasprezza dei toni e la faziosità nei dibattiti si rispecchiano sia nella politica, sia nei media. Eʼ difficile capire chi influenzi cosa. Di certo la politica e lʼinformazione in Italia sono inscindibili. Eʼ evidente anche negli ultimi anni, quando sono nati giornali come il Foglio o il Riformista con un chiaro intento politico prima che commerciale; ed è evidente osservando le vicende RAI, prima e dopo la riforma del ʼ75. Alla RAI la faziosità è stata ammessa per legge e il pluralismo è dato dalla somma delle diverse voci; nessuna, singolarmente,
si sforza di essere al di sopra delle parti.
1.5 L'obiettività
Si tratta di una polemica da sempre aperta ma al tempo stesso irrisolvibile. Non può esserci obiettività totale, ma si deve combattere la faziosità perché nemica di una buona informazione. I media da sempre si trovano al centro del dibattito e in alcuni periodi hanno rappresentato un grosso problema. Con l'arrivo in politica di Berlusconi, proprietario di un impero editoriale che diventa Presidente del Consiglio, il problema del conflitto d'interessi turba numerosi giornalisti. E' per questo che si diffuse un nuovo atteggiamento, più aggressivo e finalizzato a mettere in luce le verità nascoste dal governo. Naturalmente il panorama editoriale si divise tra giornali indipendenti e/o di opposizione e giornali compiacenti. E' la stessa introduzione del maggioritario che spinge le testate a schierarsi apertamente, con una conseguente perdita di credibilità da parte del pubblico.
che cercachi tuteli i suoi interessi. La linea del giornale dipende innanzitutto dal suo editore. Fu questo che spinse Ottone adimettersi dalla direzione del Corriere nel 1977 e Rizzoli a cercare il suo sostituto in unarosa di candidati gradita ai partiti, situazione scandalosa denunciata da Scalfari. Lacredibilità del Corriere fu nuovamente messa in pericolo con lo scandalo P2 durante ladirezione di Licio Gelli.Ma la vera questione etica per la stampa italiana si pose negli anni del terrorismo. Dalsequestro Moro agli anni ʼ80 le redazioni sʼinterrogarono sullʼopportunità o meno di darerisalto (facendo così propaganda) alle azioni terroristiche delle BR sulle pagine dei proprigiornali. La libertà di informare entrava in conflitto con la difesa della democrazia? Alcuni -tra cui MacLuhan - proposero il blackout informativo, ma i giornalisti non accettarono.Questi eventi rappresentano dei punti di svolta della professione, momenti di crescita incui ilgiornalista sente su di sé la pressione e la responsabilità dei cittadini e si trova a combattere vere e proprie battaglie di coscienza.
1.6 Il direttore, la linea, il contratto
In un giornale è naturalmente il proprietario-editore a scegliere la linea politica. Eʼ poi il direttore a fare da tramite tra questi e la redazione. Se i redattori non sono dʼaccordo possono dimettersi (il che succede molto raramente in Italia), ma non hanno alcun potere sulle nomine dei dirigenti. Lʼaccordo tra editore e direttore viene infatti esposto da questʼultimo durante unʼassemblea di redazione, cui segue un voto di gradimento - non vincolante ma comunque importante perché il direttore capisca il clima che la sua presenza crea nella redazione, potendo decidere così di rinunciare allʼincarico (...il che succede molto raramente in Italia).
Nelle comunicazioni ufficiali sul cambio di direzione non si accenna mai allʼaspetto politico, nonostante sia spesso alla base di questo.
tipo di scelte. Infatti lʼatteggiamento della testata cambia, anche notevolmente.
Lʼart. 6 del contratto affida al di