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Si comprende come la chiarezza rimandi al principio d'identità e la distinzione a quello di non

contraddizione.

Il criterio di evidenza quindi è proprio della razionalità matematica che consente di riconoscere un

triangolo come tale e di non confonderlo con niente altro. In quanto tale l'evidenza consiste in una

intuizione intellettuale.

2. Analisi (scomposizione); cioè dalla scomposizione di un ragionamento complesso negli

elementi semplici che lo costituiscono in modo da poterli sottopone uno a uno al vaglio del

criterio di evidenza.

3. Sintesi, che consiste in una ricomposizione del ragionamento nella unitarietà organica che lo

costituisce.

4. Verifica o enumerazione che è l'istanza di controllo della correttezza del lavoro

metodologico.

Il criterio di evidenza come criterio di verità assoluta

Una volta individuato il metodo, si pone per Cartesio un nuovo problema, quello relativo alla

verifica:

1. del valore di una conoscenza oggettiva

2. della potabilità di usare il criterio di evidenza come criterio di verità universalmente valido.

In altri termini il problema che pone Cartesio riguarda la possibilità di utilizzare il criterio di

evidenza non solo nell'ambito proprio della scienza, ma come il criterio che qualunque vanno può

usare per distinguere il vero dal falso.

Per rispondere a questa esigenza gli ritiene necessario un discorso sul metodo, cioè un

ragionamento che fondi,che dia legittimazione alla validità del criterio stesso.

Se la matematica o la geometria usano il criterio di evidenza, il compito della filosofia è quello di

legittimazione l'uso, di dimostrare le ragioni che consentono di considerarlo come criterio di verità.

Dal dubbio al cogito

Il punto di partenza del discorso sul metodo coincide con la necessità di dare una risposta alle

critiche scettiche rivolte alla pretesa di verità assolute largamente diffuse nella cultura europea tra la

fine del 500 e gli inizi del 600. ripresa infatti nel tardo rinascimento dal filosofo Gianfrancesco Pico

della Mirandola. Largamente diffusa in Francia grazie all'influenza di Michelle de Mountaigne. La

prospettiva scettica sosteneva l'incapacità costituiva della ragione umana di raggiungere verità

assolute, universali o semplicemente oggettive.

L'obbiettivo di Cartesio è quello di utilizzare la prospettiva scettica come il fuoco in cui provare la

validità del criterio di evidenza per temprarne il valore di criterio di verità assoluta. Se è vero infatti

che nell'uso corrente che ne fa la matematica, il criterio di evidenza si presenta come indiscutibile,

proprio per la sua immediatezza ( un triangolo si presenta subito come tale e si distingue da

qualunque altra figura senza necessità di dimostrazione), è vero anche che l'esigenza di fondare la

sua validità impone di mettere quella evidenza al vaglio del dubbio.

Si tratta insomma di usare il dubbio non in chiave scettica (un dubbio fine a se stesso) incapace di

approdare qualunque verità) una chiave metodologica:

Un dubbio metodico, perché finalizzato alla fondazione di una verità non alla sua distruzione.

Dubbio che Cartesio spinge fino al paradosso (dubbio iperbolico, quando mette in discussione la

validità del criterio di evidenza ammettendo infine l'ipotesi che la nostra mente possa essere oggetto

di un gioco perverso, di un diavoletto che ci ha fatto apparire come vere cose che non sono tali.

Il dubbio insomma ci deve portare a dubitare che un triangolo sia un triangolo e 1+1=2.

ma pur spingendo il dubbio lungo questa prospettiva assurda, un dato emerge in tutta ''chiarezza e

distinzione'': che se sto dubitando, allora sto pensando, quindi sono qualcosa che pensa: cogito, ergo

sum!

Questa realtà emerge come verità evidente che dimostra la validità del criterio di evidenza proprio

per mezzo dell'inconsistenza del dubbio iperbolico.

L'io come res cogitans

Il dubbio metodico consente:

1. dimostrare, al di la e per mezzo del dubbio, la validità del criterio di evidenza.

2. Arrivare ad una prima acquisizione di verità. Relativa alla soggettività del pensiero.

3. Quest'ultimo aspetto dell'essere approfondito, l'affermazione ''cogito ergo sum'' significa

infatti identificare immediatamente la soggettività (ego) da un lato col pensiero, dall'altro

con una realtà, anzi con un essere (sum), cioè una dimensione sostanziale. Sarebbe come

dire: cogito, ergo sum, res cogitans.

Il criterio di evidenza, sottoposto al dubbio iperbolico, nel momento in cui si auto legittima,si rivela

come parte di un pensiero che è una dimensione sostanziale, ancorché soggettiva.

Se è vero che l'uomo si identifica col pensiero e quindi esso ha carattere soggettivo, non per questo

la soggettività ricalca l'individualità della persona. Considerare il pensiero una res (cogitans)

significa concepire il pensiero come presente in ogni singolo uomo senza che sia di nessun uomo in

particolare: un pensiero immanente all'uomo, ma indipendente, assoluto, rispetto ad ognuno di essi.

Per comprendere il carattere sostanziale del pensiero occorre avere presente che esso per Cartesio

non è una funzione, cioè una semplice capacità di elaborare, bensì una dimensione costituita di idee

innate; idee, cioè, che sono innate perché sono parte integrante del pensiero stesso: non si può

pensare se non attivando idee innate.

Pensare la dimostrazione del teorema di Pitagora, è possibile solo perché si mettono in relazione

l'idea di area, quella di quadrato, quella di ipotenusa..

I criteri di evidenza da verità soggettiva a verità assoluta

Il cogito ha sciolto il dubbio della validità del criterio di evidenza restando all'interno della

soggettività del pensiero. Ma il problema che si è posto il discorso, riguarda la verifica della sua

validità come criterio di verità universale, quindi valido al di fuori del soggetto per conoscere la

realtà esterna. In questo ulteriore passaggio Cartesio con un esplicito richiamo alla tradizione

filosofica-platonica-agostiniana cerca una risposta non all'esterno, ma all'interno del pensiero. S.

Agostino aveva ammonito: ''noli foras exire, in de ipsum redii, in interiore homine habitat veritas''.

''Non uscire fuori, resta in te stesso, la verità sta all'interno dell'uomo''.

Il contenuto del pensiero è costituito di idee che Cartesio classifica sulla base della loro origine:

1. le idee avventizie, derivano dall'estero dell'uomo, sulla base dell'esperienza;

2. le idee fittizie, costituite dall'immaginazione dell'uomo;

3. quelle innate, a priori,perché costituite del pensiero e quindi presenti in esso prima e

indipendentemente dall'esperienza.

Tra le idee innate una è particolarmente importante: l'idea di Dio.

Non c'è dubbio che essa sia di carattere innato, perché non può essere ne avventizia, ne frutto

dell'elaborazione umana.

Questa convinzione di Cartesio rispecchia una lunga tradizione filosofica di matrice scolastica

medievale secondo la quale ogni effetto è proporzionale alla causa, ma essendo l'idea di Dio quella

di un essere infinito, non può nascere dalla realtà dell'uomo che è finito e limitato: una causa finita

non può generare un effetto infinito.

L'idea di Dio è innata che il criterio di evidenza riconoscere come immediatamente vera.

A questo punto l'obiettivo di tutto il discorso è raggiunto: se il criterio di evidenza riconosce la

verità dell'idea di Dio, che è assoluta, necessariamente si legittima come criterio di verità assoluta.

Sarebbe assurdo che ciò che è somma verità fosse conoscibile attraverso un criterio incerto o

fallace, dunque se il criterio di evidenza è criterio di verità assoluto, a maggior ragione è criterio per

conoscere la realtà nella sua oggettività.

Le prove ontologiche dell'esistenza di Dio

Tuttavia il ragionamento di Cartesio riguarda esclusivamente l'idea di Dio. Egli sente perciò la

necessità di dimostrare che all'idea di Dio contenuta nel pensiero la necessità di dimostrare che

all'idea di Dio contenuta nel pensiero dell'uomo (ragione), corrisponde la realtà di Dio.

Un problema che Cartesio risolve ricorrendo alle prove tradizionali di dimostrazione razionale

dell'esistenza di Dio. Prove elaborate nell'ambito della scolastica tra il 12º e il 14º sec . e di cui i

massimi teorici erano stati per un verso s. Anselmo D'Aosta e per altro s. Tommaso D'Aquino. Tra

queste prove, sono tali perché pretendono di collegare la fede attraverso l'uso della ragione, che in

quanto tale, autonomamente è in grado di dimostrare l'esistenza di Dio.

Su questo terreno la prova principe è la prova ontologica. Essa si basa sul riconoscimento dell'idea

di Dio come espressione di un essere perfettissimo, che non può mancare dell'attributo dell'esistenza

senza contraddire il suo concetto: se la ragione contiene l'idea di Dio, e questa idea è segno di una

realtà perfetta, allora questa realtà non può non essere inesistente senza contraddire il concetto che

la rappresenta. Come è facile vedere la prova ontologica si basa su una forma di razionalità analitica

in cui il predicato dell'esistenza è contenuto perché parte integrante del concetto del soggetto:

l'esistenza (realtà) è attribuito proprio al concetto di Dio, quindi non si da l'uno senza l'altro.

Le aporie

Dietro la straordinaria coerenza del discorso sul metodo si possono individuare alcune

contraddizioni o incoerenze sottoelencate o da interlocutori contemporanei a Cartesio o dalla

storiografia successiva.

La prima incoerenza è quella messa in evidenza da uno dei più grandi filosofi del '600, per molti

versi poi seguace di Cartesio, Thomas Hobbes. La sua critica riguardava un aspetto centrale del

discorso, quello relativo al passaggio dal dubbio al cogito.

Lì Cartesio aveva argomentato che essendo il dubbio un atto di pensiero, se ne poteva dedurre la

certezza evidente del pensiero come res-cogitans: dubito, dunque penso, dunque sono una realtà

pensante. La critica di Hobbes investe proprio la conclusione. Se è accettabile l'identificazione tra

dubitare e pensare non è accettabile l'identificazione del pensare con una dimensione sostanziale: se

si dubita, si pensa! Non che a pensare sia una sostanza pensante. Con una battuta famosa Hobbes

osserva c

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A.A. 2013-2014
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dolceares di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Savini Massimiliano.