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INFERNO CANTO XV
Ancora nel III girone del VII Cerchio, dove sono puniti i violenti contro Dio (tra cui i sodomiti). Incontro
con Brunetto Latini. Profezia di Brunetto sull'esilio di Dante.
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Brunetto dichiara che Dante non può fallire nella sua missione letteraria e politica, se segue la sua stella e se lui ha
ben giudicato quando era in vita. Anzi, se Brunetto non fosse morto precocemente lo avrebbe aiutato lui stesso,
visto che il cielo è stato così benevolo con Dante. Tuttavia i Fiorentini, l'ingrato popolo disceso da Fiesole e che
conserva ancora la durezza della sua origine, si faranno nemici del poeta a causa delle sue buone azioni e ciò non
deve sorprendere, perché il frutto buono non cresce di solito tra quelli cattivi. I Fiorentini sono gente avara,
invidiosa e superba e Dante deve quindi tenersi lontano dai loro costumi. Il suo destino è invece così onorevole che
entrambe le parti politiche della città, Bianchi e Neri, vorranno sfogare il loro odio su di lui, ma non ne avranno la
concreta possibilità. I Fiorentini dovranno rivolgere il proprio astio su se stessi e non toccare quei concittadini che,
come Dante, conservano il sangue puro dei Romani che fondarono anticamente la città.
E lui a me: «Se tu segui la tua stella, non puoi non raggiungere i tuoi obiettivi letterari e politici, se ho inteso bene
quando ero in vita;
e se non fossi morto precocemente, vedendo che il cielo era così ben disposto verso di te ti avrei aiutato a
compiere la tua opera.
Ma quell'ingrato e maligno popolo che è disceso anticamente da Fiesole (i Fiorentini) e conserva ancora la
rozzezza dei montanari, diventerà tuo nemico per le tue buone azioni: e ne ha ben donde, poiché non è opportuno
che il dolce fico nasca tra i frutti agri.
Un vecchio proverbio li definisce ciechi; è gente avara, invidiosa e superba: cerca di preservarti dai loro costumi.
La tua fortuna ti riserva tanto onore che entrambe le parti (Bianchi e Neri) vorranno sfogare il loro odio contro di
te, ma l'erba sarà lontana dal caprone.
Le bestie di Fiesole (Fiorentini) si divorino tra loro e non tocchino la pianta, ammesso che ne nascano ancora nel
loro letame, in cui rivive la santa semenza di quei Romani che restarono a Firenze quando fu fondato il nido di
tanta malvagità».
Inferno, Canto XIX
Visione della III Bolgia dell'VIII Cerchio (Malebolge), in cui sono puniti i simoniaci. Incontro con papa Niccolò
III, che predice la futura dannazione di Bonifacio VIII e Clemente V. Invettiva di Dante contro la corruzione
ecclesiastica.
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A questo punto lo sdegno di Dante esplode in una violenta invettiva contro Niccolò e tutti i papi dediti alla
simonia, cui il poeta chiede ironicamente quanto volle Gesù da san Pietro prima di affidargli le chiavi del regno
dei cieli, e rinfacciando che gli apostoli non pretesero alcun pagamento da parte di Mattia quando prese il posto
di Giuda.
Niccolò è dunque giustamente punito e deve custodire il denaro ricevuto per andare contro Carlo I d'Angiò. Solo il
rispetto per il ruolo del papa impedisce a Dante di usare parole ancor più gravi, poiché l'avarizia dei papi
simoniaci ha sovvertito ogni giustizia terrena. La Chiesa si è vergognosamente asservita agli interessi della
monarchia francese, dopo essersi trasformata in un'orrida bestia. I papi sono simili agli idolatri, in quanto adorano
cento dei d'oro e argento, mentre molto male ha prodotto la donazione di Costantino.
: «Ora dimmi: quanto denaro volle nostro Signore da san Pietro prima di affidargli le chiavi del regno dei cieli?
Certo gli disse solo 'Seguimi'.
Né Pietro né gli altri presero da Mattia oro o argento, quando fu sorteggiato per prendere il posto perso da Giuda.
Allora sta' qui, perché sei ben punito; e custodisci il denaro preso con l'inganno, che ti rese ardito contro Carlo
d'Angiò.
E se non fosse per il rispetto che devo alle somme chiavi (della Chiesa) che tu tenesti nella vita terrena e che mi
frenano, userei parole ancor più severe: infatti la vostra avarizia rattrista il mondo, calpestando i buoni e
sollevando i malvagi.
Di voi cattivi pastori si accorse l'Evangelista (Giovanni) quando vide la meretrice che siede sopra le acque (la
Chiesa) fare la prostituta con i re;
quella che è nata con sette teste e ha tratto forza dalle dieci corna, finché al marito (il papa) piacque la virtù.
Vi siete fabbricati un dio d'oro e d'argento: e che differenza c'è tra voi e il pagano, se non che quello adora un dio
solo e voi ne adorate cento?
Ahimè, Costantino, quanto male ha causato non la tua conversione, ma quella donazione che da te ebbe il primo
ricco papa (Silvestro)!»
DE MONARCHIA Cap X libro III
Alcuni inoltre sostengono che l'imperatore Costantino, mondato dalla lebbra per intercessione di Silvestro, allora
Sommo Pontefice, donò [32] alla Chiesa la capitale dell'Impero, cioè Roma, con molti altri dominii
imperiali [33]. Sulla base di questo fatto, argomentano che da allora nessuno può possedere quei dominii se non li
riceve dalla Chiesa alla quale, secondo essi, appartengono; e da ciò conseguirebbe logicamente che l'una autorità
dipende dall'altra, come essi pretendono. Dopo aver esposto e confutato gli argomenti che sembravano avere le
loro radici nella Sacra Scrittura, restano ora da esporre e confutare quelli che si fondano su eventi umani e su
ragionamenti umani. Tra questi il primo è proprio quello su accennato e che i suoi sostenitori traducono nel
seguente sillogismo: «quelle cose che appartengono alla Chiesa nessuno può averle di diritto se non dalla Chiesa
— questo lo concedo —; ora, l'Impero romano appartiene alla Chiesa; dunque, nessuno può averlo di diritto se non
dalla Chiesa». E dimostrano la premessa minore con quanto si è detto sopra a proposito di Costantino. Io invece
nego quella minore, e sostengo che la dimostrazione che adducono è priva di valore, poiché Costantino non poteva
alienare i dominii imperiali, né la Chiesa poteva accettarli. [34] E poiché essi insistono con pertinacia sulla loro
tesi, io posso dimostrare la mia nel modo seguente: a nessuno è consentito valersi dell'ufficio affidatogli per
compiere atti contrari all'ufficio stesso (poiché una stessa cosa in quanto tale sarebbe contraria a se stessa, il che è
impossibile); ora, scindere l'Impero è contrario all'ufficio affidato all'imperatore (poiché il suo ufficio è tenere il
genere umano sottomesso ad un'unica volontà, come facilmente si può vedere nel primo libro di questo trattato);
quindi all'imperatore non è consentito scindere l'Impero. Pertanto se Costantino avesse alienato — come
affermano — dei dominii imperiali, e questi fossero passati in possesso della Chiesa, sarebbe stata lacerata quella
tunica inconsutile che non ardirono lacerare neppure coloro che trafissero con la lancia il Cristo vero Dio. Inoltre,
come la Chiesa ha il suo fondamento, così anche l'Impero ha il suo; il fondamento infatti della Chiesa è Cristo,
d'onde le parole dell'Apostolo ai Corinzi: «Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che è stato posto,
cioè Gesù Cristo». Egli è la roccia su cui fu edificata la Chiesa. Invece il fondamento dell'Impero è il diritto
umano. [35] Ora io dico che, come non è lecito alla Chiesa andare contro il suo fondamento, ma deve sempre
poggiare su di esso — secondo quel detto dei Cantici: «Chi è costei che sale dal deserto, colma di grazia e
appoggiata sul suo diletto?» —, così non è lecito all'Impero compiere atti contro il diritto umano; ma se l'Impero
distruggesse se stesso, andrebbe contro il diritto umano; quindi non è lecito all'Impero distruggere se stesso.
Pertanto, siccome scindere l'Impero equivarrebbe a distruggerlo, dal momento che l'Impero si regge sull'unità della
Monarchia universale, è chiaro che alla persona investita dell'autorità imperiale non è lecito scindere l'Impero. Che
poi distruggere l'Impero sia contro il diritto umano risulta chiaro da quanto fu detto sopra.Inoltre, ogni
giurisdizione è anteriore al suo giudice io — il giudice infatti è ordinato alla giurisdizione e non viceversa —;
ora, l'Impero è una giurisdizione che comprende nel suo ambito ogni altra giurisdizione temporale; quindi questa
giurisdizione precede il suo giudice, che è l'Imperatore, essendo l'Imperatore ordinato ad essa e non viceversa. Da
ciò risulta chiaro che l'Imperatore in quanto tale non può alterare, con alienazioni, tale giurisdizione imperiale, in
quanto è in forza di questa che egli è Imperatore. Ora io n dico: quando Costantino fece la donazione alla Chiesa
— come sostengono — o era imperatore oppure no; se non lo era, è ovvio che non poteva donare nulla di ciò che
appartiene all'Impero; se lo era, non poteva ugualmente farlo in quanto imperatore, poiché tale donazione sarebbe
stata una diminuzione della giurisdizione. Inoltre, se un imperatore potesse sottrarre alla giurisdizione dell'Impero
una piccola parte di questo, un altro potrebbe fare altrettanto. E siccome la giurisdizione temporale è finita, e ogni
cosa finita si consuma a forza di sottrazioni parziali, ne seguirebbe che la primitiva giurisdizione potrebbe venire
annullata, il che è irragionevole. Ancora, siccome chi dà funge da agente e chi riceve da paziente, come dice il
Filosofo nel quarto libro dell'Etica a Nicomaco, affinché una donazione sia lecita si richiede non solo la capacità
del donante, ma anche quella del ricevente «poiché sembra che l'atto delle cause agenti sia ricevuto nel paziente
disposto a riceverlo». Ora la Chiesa non aveva affatto la capacità di ricevere beni temporali per questo espresso
divieto che si legge in Matteo: «Non possedete oro, né argento, né denaro nelle vostre cinture, né bisaccia per il
viaggio» ecc.16. E sebbene in Luca troviamo una dispensa da questo divieto riguardo ad alcuni
oggetti, [36] tuttavia non mi è più capitato di trovare, dopo quel divieto, che la Chiesa fosse autorizzata a
possedere oro e argento. Perciò, se la Chiesa non poteva ricevere, anche ammesso che da parte sua Costantino
potesse donare, tale atto di donazione non era valido per l'incapacità del donatario [a ricevere]. È quindi chiaro che
né la Chiesa poteva ricevere a titolo di proprietà, né Costantino poteva donare sotto forma di
alienazione. [37] Tuttavia l'Imperatore, per la tutel