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CAPITOLO IX

10. Per questa ragione, in ciascuna arte e in ciascuno mestiere li artefici e li discenti sono, ed esser deono, subietti

al prencipe e al maestro di quelle, in quelli mestieri ed in quella arte; e fuori di quello la subiezione pere, però che

pere lo principato. Sì che quasi dire si può de lo Imperadore, volendo lo suo officio figurare con una imagine, che

elli sia lo cavalcatore de la umana volontade. Lo quale cavallo come vada sanza lo cavalcatore per lo campo assai

è manifesto, e spezialmente ne la misera Italia, che sanza mezzo alcuno a la sua governazione è rimasa!

Purgatorio, Canto XVI

Il fumo della III Cornice. Incontro con gli iracondi. Incontro con Marco Lombardo. Discorso sul libero arbitrio e

la confusione dei poteri. I tre vecchi simbolo di virtù.

esistono le leggi ed è necessario che un sovrano le applichi con rigore. Le leggi nel mondo esistono, ma chi le fa

rispettare? Nessuno, dal momento che il papa guida il gregge dei fedeli, confondendo però il potere spirituale con

quello temporale. Il popolo vede che il pontefice corre dietro ai beni terreni, quindi fa altrettanto e non chiede

altro; dunque la causa del male del mondo è la cattiva condotta degli uomini e non la cattiva influenza dei

cieli. Roma aveva due soli (l'imperatore e il papa) che illuminavano due diverse strade, quella del mondo e quella

di Dio: essi si sono spenti a vicenda, perché la spada si è unita al pastorale e questo connubio è decisamente

negativo, poiché i due poteri non si temono l'un l'altro.

Per questo fu necessario porre dei freni con le leggi; fu necessario avere un re che distinguesse almeno la torre della

vera città.

Le leggi ci sono, ma chi le fa rispettare? Nessuno, dal momento che il pastore (il papa) che guida il gregge può

ruminare, ma non ha le unghie fesse;

quindi la gente, che vede la sua guida ricercare quei beni terreni di cui essa è ghiotta, si nutre di quelli e non chiede

nient'altro.

Puoi capire bene che la cattiva guida dei pontefici è la ragione che ha corrotto il mondo, non certo la vostra natura

influenzata dai Cieli.

Roma, che costruì il mondo virtuoso, era solita avere due soli, che indicavano entrambe le strade, del mondo e di Dio.

L'uno ha spento l'altro; e la spada si è unita al pastorale, ed è inevitabile che le due cose stiano male insieme, unite in

modo forzato;

infatti, uniti, l'un potere non teme l'altro: se non mi credi, pensa alla spiga (alle conseguenze), poiché ogni pianta si

riconosce dal suo seme.

MONARCHIA LIBRO III Cap 4

Costoro dunque, contro i quali sarà diretta tutta la disputa, nel sostenere che l'autorità dell'Impero dipende

dall'autorità della Chiesa, come un muratore dipende dall'architetto, si fondano su molti e diversi argomenti, che

desumono dalla Sacra Scrittura e da alcuni atti sia del Sommo Pontefice che dello stesso Imperatore, sforzandosi

infine di produrre la parvenza di qualche argomento di ragione. In primo luogo, basandosi sul testo

della Genesi, affermano 2 che Dio fece «due grandi luminari» [26], un luminare maggiore e uno minore, affinché

l'uno presiedesse al giorno e l'altro alla notte e, interpretandoli allegoricamente, li considerano come esprimenti i

due poteri, lo spirituale e il temporale. Partendo di qui, argomentano che, come la luna, cioè il luminare minore,

non ha luce se non in quanto la riceve dal sole, così neppure il potere temporale ha autorità se non in quanto la

riceve dal potere spirituale. Per confutare questo e altri loro ragionamenti, va premesso che confutare

un'argomentazione vuol dire metterne in luce gli errori, come dice il Filosofo negli Elenchi Sofistici. E poiché

l'errore può trovarsi nella materia e nella forma del ragionamento, si può sbagliare in due modi, o partendo da

premesse false o facendo un sillogismo non corretto, due difetti che il Filosofo rimproverava a Parmenide e a

Melisso, dicendo che «accettano il falso e non sillogizzano correttamente». E qui io intendo per «falso», in senso

largo, anche l'«inopinabile» che, in materia probabile, ha la stessa natura del falso. Ora, se l'errore è nella forma,

chi vuole confutare il ragionamento deve impugnarne la conclusione, dimostrando che non si è rispettata la

correttezza formale del sillogismo. Se invece l'errore è nel contenuto, ciò dipende dall'aver assunto una premessa

assolutamente falsa o relativamente falsa; nel primo caso il sillogismo va confutato sopprimendo tale premessa,

nel secondo caso attraverso la distinzione [dei vari aspetti]. Dopo queste considerazioni, al fine di rendere più

chiara la confutazione di questo argomento e degli altri che seguono, occorre notare che, nell'interpretazione

secondo il senso mistico, [27] si può sbagliare in due modi: o perché lo cerchiamo dove non c'è, o perché lo

intendiamo diversamente da come va inteso. Quanto al primo modo, Sant'Agostino, nella Città di Dio, afferma:

«Non si deve credere che tutti i fatti narrati abbiano qualche altro significato; tuttavia, grazie a quelli che lo hanno

effettivamente, lo si attribuisce anche ad altri fatti che non l'hanno minimamente; solo col vomere si fende la terra,

ma perché ciò possa avvenire sono necessarie anche le altri parti dell'aratro». Quanto al secondo modo d'errare, lo

stesso autore, nell'opera Della dottrina cristiana, parlando di chi dà alle Scritture un senso diverso da quello inteso

da chi le scrisse, afferma che costui «commette lo stesso errore di chi, abbandonando la giusta strada, volesse

tuttavia, girovagando, arrivare colà dove quella strada conduce»n, e aggiunge: «Bisogna fargli vedere che,

abituandosi a deviare dalla giusta strada, è fatalmente spinto a prendere vie traverse o sbagliate». Poi

Sant'Agostino indica il motivo per cui bisogna guardarsi da tali errori nell'interpretazione delle Scritture dicendo:

«Se vacilla l'autorità delle Sacre Scritture, sarà titubante la fede». Da parte mia affermo che, se tali errori si

commettono per ignoranza, una volta corretto premurosamente l'errante, bisogna perdonarlo, così come si

dovrebbe fare con chi avesse paura di un leone sulle nuvole: se invece erra con deliberato proposito, bisogna

trattarlo alla stessa stregua dei tiranni che non applicano le leggi dello stato per il pubblico bene, ma cercano di

stravolgerle per il proprio vantaggio 14. O estremo delitto, travisare abusivamente l'intenzione dello Spirito eterno,

ancorché ciò avvenga in sogno! Poiché non è contro Mosè che si pecca, né contro Davide, né contro Giobbe, né

contro Matteo, né contro Paolo, ma contro lo Spirito Santo che parla in essi. Infatti, sebbene molti siano gli

scrittori della parola divina, unico ne è il dettatore, Dio, che si è degnato di manifestarci la sua volontà attraverso

la penna di moltiI5 Riprendendo, dopo queste considerazioni, l'argomentazione [degli avversari] fatta sopra,

comincio col confutare la loro asserzione che quei due luminari significhino allegoricamente i due poteri, dato che

in tale asserzione sta tutta la forza dell'argomentazione. Ora, che tale interpretazione sia assolutamente

insostenibile si può dimostrare in due modi. Partendo innanzitutto dal fatto che questi poteri sono qualità

accidentali dell'uomo, sembrerebbe che Dio abbia sovvertito l'ordine delle cose, producendo gli accidenti prima

del loro naturale soggetto 16 — infatti i due luminari furono creati nel quarto giorno e l'uomo nel sesto, come

risulta dal testo biblico —, ma affermare questo di Dio è un'assurdità. In secondo luogo, siccome quei poteri

hanno la funzione di dirigere gli uomini verso certi fini — come risulterà più avanti —, se l'uomo fosse rimasto

nello stato di innocenza in cui fu creato da Dio, non avrebbe avuto bisogno di tali guide, e pertanto siffatti poteri

sono dei rimedi contro l'infermità prodotta dal peccato. Ora, siccome nel quarto giorno non solo non esisteva

l'uomo peccatore, ma semplicemente non esisteva affatto l'uomo, produrre quei rimedi sarebbe stata cosa inutile, il

che è contrario alla perfezione divina. Stolto infatti sarebbe quel medico che, prima della nascita di un uomo,

confezionasse un impiastro per un ascesso futuro. Pertanto non si può affermare che Dio abbia istituito questi due

poteri nel quarto giorno, e di conseguenza il senso inteso da Mosè non potè essere quello che immaginano i miei

avversari. Pur tollerando la falsa allegoria, si può confutare l'argomentazione dell'avversario anche attraverso una

distinzione, giacché una confutazione ottenuta col metodo della distinzione è più riguardosa nei confronti

dell'avversario, in quanto questi non fa la figura di aver mentito sotto tutti gli aspetti, come invece sembra fare con

la precedente critica distruttiva. Affermo dunque che, sebbene la luna non abbia abbondanza di luce se non in

quanto ne riceve dal sole, non ne consegue che la luna in se stessa derivi dal sole. Occorre infatti osservare che

una cosa è l'essere della luna in se stessa, un'altra la sua energia, e un'altra la sua operazione. Per quanto riguarda

l'essere, in nessun modo la luna dipende dal sole, ed anche riguardo all'energia e all'operazione non ne dipende,

assolutamente parlando, poiché il suo movimento deriva dal suo motore proprio, e l'influenza che esercita dipende

dai suoi propri raggi, in quanto essa possiede una certa luce autonoma, come si vede nell'eclisse. Però se ci

riferiamo ad un suo migliore e più efficace operare essa riceve qualcosa dal sole, cioè un'abbondanza di luce, con

la quale può operare in modo più efficace. Allo stesso modo affermo che il potere temporale non riceve il suo

essere, né la sua forza, cioè la sua autorità, e neppure, assolutamente parlando, la sua operazione dal potere

spirituale, ma riceve certamente da esso la capacità di operare con maggiore efficacia, per la luce della grazia che

Dio gli infonde dal cielo e il Sommo Pontefice, con la sua benedizione, sulla terra. Il ragionamento [degli

avversari] era viziato quindi 21 nella forma, poiché il predicato della conclusione non è il termine estremo della

premessa maggiore, com'è evidente. Esso infatti procede così: la luna riceve la luce dal sole; ora la luna significa il

potere temporale, come il sole significa il potere spirituale; quindi il potere temporale riceve l'autorità dal potere

spirituale. Ecco come nel termine estremo della premessa maggiore essi pongono la «luce», mentre nel predicato

della conclusione pongono l'«autorit

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lazza_beast di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Parola Laura.