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DIO SI È CIRCOSCRITTO
Nel 380 il cristianesimo diviene religione di Stato con l'Editto di Tessalonica dell'imperatore Teodosio. Già nel 357 Costanzo II aveva fatto rimuovere dal Senato l'altare della Vittoria, davanti al quale i senatori prestavano i giuramenti di fedeltà e svolgevano riti propiziatori all'inizio di ogni seduta. Quando Simmaco, pagano, chiese a Valentiniano II la ricollocazione dell'altare in nome della salvezza delle tradizioni di Roma, egli disse "tutto è pieno di Dio e non si può giungere per una sola via a un mistero così grande" (riferendosi al sincretismo religioso), pertanto accanto ai segni cristiani si mantengano gli altari pagani. Al prefetto risponde Ambrogio, vescovo della città sede dell'imperatore, con due lettere a Valentiniano dove esplicita che i cristiani non accettano le statue pagane.
"Perché 'pezzo di legno, parlano di dio, ma adorano una statua'" come se il sincretismo religioso avesse portato poi a legarsi alla devozione verso oggetti e non verso dei che rimangono ignoti. Quindi la tolleranza verso più religioni ha portato al legame con alcuni oggetti dal valore storico e simbolico.
La produzione di immagini sacre nel periodo paleocristiano va considerata in termini di contrapposizione unita ad un'appropriazione. In generale, il rapporto con le immagini è accettato, specialmente nell'immagine sacra, il dogma dell'incarnazione e pienamente insieme la commistione tra teologia cattolica e filosofia neoplatonica avrebbero dovuto portare a una valutazione positiva dei ritratti di un Dio che ha preso un corpo umano. Per i cristiani, il timore dell'idolatria si è affiancato ai dubbi sulla rappresentabilità di un Dio che pur avendo preso corpo, rimane un Dio ineffabile; si sono così venute a produrre posizioni altalenanti."
Va ribadito che né i Vangeli né le Lettere e tutto il corpus del Nuovo Testamento contengono riferimenti a una proibizione o a un invito alla produzione o a qualunque forma di utilizzazione delle immagini sacre. Così mentre nel III secolo abbiamo testimonianza di immagini sacre cristiane (dura europose catacombe), già nel 306 i vescovi spagnoli riuniti nel concilio di Elvira (Granada) decidono di proibire le pitture nelle chiese, affinché non vi sia dipinto ciò che vi viene adorato. Il popolo cristiano non sembra però accogliere questa proibizione, e nel 313 quando Costantino legalizza la religione cristiana, si moltiplicano chiese decorate. In verità in Occidente come in Oriente, un ruolo fondamentale si deve riconoscere a un popolo abituato alla comunicazione per immagine del potere romano, sempre bramoso di poter vedere e toccare ciò in cui deve credere. Opporranno ai monaci e alle loro icone, si.verificheranno sollevazioni di massa e solo l'esercito, che di certo non rappresenta il popolo, resterà fedele all'iconoclastia. Ancora nel IV secolo abbiamo un'altra testimonianza contraria alle immagini, Epifanio scrive "figli amatissimi, ricordatevi di non mettere immagini nelle chiese e neanche nei cimiteri dei santi, ma abbiate sempre il ricordo di Dio nei vostri cuori, non nella casa comune". Agostino di Ippona (354-430) ha nei confronti dell'immagine una posizione ambigua, mostrandosi platonico, per lui l'immagine può facilitare la conoscenza oppure la distrazione. Agostino afferma che la pittura può essere colta immediatamente anche da chi è ignorante di lettere, mentre il testo scritto deve essere letto e compreso. Nel Commento al Vangelo di Giovanni, l'omelia parla della pagina di Giovanni che descrive la resurrezione di Lazzaro. Agostino spiega che l'opera di Dio appare mirabile eStupenda moltiplicazione dei pani, anche nel più piccolo seme, e specifica che Dio talvolta compie opere fuori dal normale, miracoli in modo che gli uomini siano introdotti alla conoscenza dell'invisibile. Il miracolo ha una sua lingua, prosegue Agostino, e va compresa, in questo discorso inserisce la precisazione "una pittura si guarda in modo diverso da uno scritto. Quando vedi una pittura, basta vedere per lodare; quando vedi uno scritto non ti basta vedere" perché sei invitato a leggere. Il testo scritto ha bisogno di uno che conosca la lingua in cui è scritto, mentre la pittura è universale e permette il passaggio diretto dalla visione alla comprensione intellettuale. D'altra parte questa facilità di lettura dell'immagine può indurre in errore chi cerca risposte nelle pitture delle pareti e non nei libri e Agostino nel De consensi evangelistarum, fa l'esempio di dottrine erronee originate dalle rappresentazioni.
Come credere che Cristo, Pietro e Paolo, dato che si usava ritrarli vicini, si fossero realmente incontrati ma non è così. L'immagine della vicinanza di Cristo e Paolo va letta metaforicamente e non letteralmente. Come tutti i segni, va interpretata: il suo limite è quello di colpire i sensi esterni, Agostino come i platonici, disprezza la conoscenza sensibile, in particolare Agostino ritiene che il corpo non è uno strumento del sentire, ma piuttosto i sensi sono il luogo di manifestazione dell'attività dell'anima. L'anima muove gli organi di senso e non subisce le sensazioni, è uno stato di passività solo del corpo, che è doppiamente sottomesso, sia dalle cose materiali che non può fare a meno di sentire, e sia all'anima che lo muove con dolore o piacere in seguito a ciò che esso sente. Nel sentire, l'anima richiama alla memoria ciò che le è utile alla comprensione dell'oggetto.
Sentito. In particolare Agostino indica che al senso della vista corrispondono tre generi di visioni: corporale, spirituale e intellettuale, come si legge nel De Genesi ad litteram qui parte da una questione: se davvero il Paradiso è situato nel terzo cielo. I tre cieli sono un riferimento per distinguere tre generi di visioni: la visione sensibile, quella spirituale (fantasie o fantasmi) e quella intellettuale. La mente giudica la visione, ne è al di sopra e distaccata, come nei sogni, che non sono giudicabili dal punto di vista morale.
L'immagine più ingannevole è quella più mimetica, ripeterà Isidoro di Siviglia (560-636) indicando la pittura come una finzione, come già in Platone. Agostino nei Soliloqui indaga sullo statuto di falsità dell'opera costruita dalla mano dell'uomo, dicendo che non esistono realtà false, ma giudizi sbagliati su cose vere "pertanto la falsità non è nelle cose, ma
nella conoscenza sensibile e s’inganna soltanto chi presta l’assenso al falso”. Questo consente di dire che una cosa può essere insieme vera e falsa. Inoltre si deve considerare che la falsità dell’opera d’arte, così come la falsità di ogni cosa è tale in quanto simile al vero: “chi vedendo in sogno un cane, direbbe che ha sognato un uomo?” cioè falso perché percepito come vero, ma privo di esistenza se non onirica. Falso è dunque ciò che “finge di essere ciò che non è oppure tende verso qualcosa che non è” nel primo caso il falso si menzogna, dell’intenzione di trarre in inganno. Il propone come vero, e si tratta della secondo è invece il caso che riguarda le immagini: una cosa che tende al vero e che al vero somiglia, ma che è vera solo per il suo essere immagine, e non per essere ciò che rappresenta. Hanno questa condizione le
immagini allo specchio, i sogni, le allucinazioni, le ombre, le illusioni ottiche e anche le pitture. Nel secondo libro del De doctrina cristiana Agostino divide le istituzioni umane insuperflue e utili o addirittura necessarie. La danza e il mimo sono così superflui da aver bisogno di una spiegazione orale perché se ne colga il significato, mentre le pitture e le statue e altre opere di questo genere lasciano comprendere se ben fatte, a cosa sono simili. Tuttavia anche queste sono superflue, a meno che non abbiano uno scopo ben definito dall'autorità (la chiesa?) e superflue sono anche le favole e le menzogne poetiche. Utili sono le istituzioni umane come la moneta, le misurazioni, l'igiene, gli abiti e in vista dell'esegesi si rivela utilissima la storia. Quanto alle discipline come la matematica e l'astronomia possono essere addirittura una distrazione, mentre tra quelle letterarie ve ne sono alcune fondamentali come il saper leggere, conoscere le.lingue o saper usare le artinel De doctrina cristiana, il quarto libro volge a definire l'importanzadel trivium. Sempreper un'esegeta di studiare la storia, le lingue, la retorica, e questa concezione nel Medioevosarà ribadita ai fini di una corretta comprensione della Scrittura, invitando a evitare laconfusione prodotta da altri strumenti quali le immagini.Nelle Enarrationes agostiniane si legge: "ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio chesi sviluppa in tutta la Sacra Scrittura ed uno solo è il Verbum che risuona sulla bocca ditutti gli scrittori santi, il quale essendo in principio Dio presso Dio, non conoscesillabazione ed è fuori dal tempo". Il Verbum non è solo il contenuto delle Scritture, maanche l'unica Parola di Dio, che è una e non frammentaria, al di sopra dello spazio e deltempo.Sia scrittura che pittura possono trarre in inganno, perché entrambe sono segni materialil'immateriale.mentre l'immagine è definita dalla sua falsità, la parola si pone a un ulteriore grado di finzione, richiedendo la capacità di leggere e poi interpretare anche al di là dal segno dato. Agostino nel De magistro indica le immagini come elementi didattici, dipinti che servono anche solo a ricordare eventi storici narrati dalle Scritture. Nel De magistro si legge che i segni, di cui la parola è la regina dei segni, non portano alle cose se non a quelle che si conoscono già: "le parole hanno avuto valore entro questi limiti. Tanto per valutarle al massimo: ci invitano solo a cercare la cosa, non ce la mostrano in modo da poterla conoscere" ed un linguaggio così inteso non serve ad imparare nulla. Nel De doctrina chistiana si trova l'esposizione di una teologia dei segni, che riprende una terminologia dello stoicismo adeguato al nuovo contesto interpretativo, che distingue tra verbo interiore e verbo.esteriore e che ricorre alla platonica teoria dell’illuminazione per indicare la presenza del Verbo divino nelle ment