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Plinio il Vecchio

Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Vecchio per distinguerlo dal nipote, nacque a

Como nel 23 d.C., e prestò un lungo servizio militare, prima sotto il grande generale Gneo

Domizio Corbulone, poi sotto il generale-letterato Pomponio Secondo; fu compagno d'armi

del futuro imperatore Tito, allora giovanissimo. Frutto dell'esperienza accumulata in quegli

anni fu un'opera storica in venti libri su tutte le guerre combattute da Roma contro i

Germani, i Bella Germaniae, che Tacito usò come fonte; inoltre un trattatello De iaculatione

equestri, sul modo di condurre la guerra a cavallo. Durante l'impero di Nerone, Plinio si

ritirò a vita privata: allora probabilmente scrisse un trattato sulla formazione dell'oratore,

Studiosus, in sei libri, e un manuale di grammatica e linguistica. Con Vespasiano, Plinio

ritornò nuovamente al servizio dello stato, ed ebbe numerosi incarichi; nonostante questi

impegni, in quegli anni riuscì a compiere le sue opere più impegnative e importanti: un

trattato di storia romana A fine Aufidii Bassi, e i trentasette libri della Naturalis historia.

L'ultimo incarico di Plinio fu il comando della flotta imperiale di stanza a capo Miseno, in

Campania. L'eruzione del Vesuvio, che sommerse sotto la cenere Ercolano e Pompei, lo

ebbe come testimone attento e premuroso: nell'intento generoso di portar soccorso ai

cittadini minacciati dall'eruzione, Plinio non esitò ad affrontare la pioggia di cenere e morì,

probabilmente soffocato dai gas del vulcano. Delle sue ultime ore è per noi testimone il

nipote, in una lettera indirizzata allo storico Tacito.

Il titolo dell'opera che ci è giunta, Naturalis historia, è tradotto talvota Storia naturale: in

realtà esso dovrebbe essere reso piuttosto con La scienza della natura, giacché il termine

greco historia mantiene qui il valore originario di “ricerca”; questa è l'unica opera di Plinio

il Vecchio che ci sia giunta, giacché lo Studiosus è stato soppiantato nell'attenzione dei

lettori dalla Institutio oratoria di Quintiliano. Invece la Naturalis historia era unica nel suo

genere. Dopo il libro I, che contiene l'indice dell'opera e l'elenco degli autori citati, libro per

libro, seguono notizie di cosmologia, di geografia, di antropologia, zoologia, botanica,

medicina e mineralogia. Per mettere insieme quest'opera monumentale, Plinio consultò nel

corso di venticinque anni duemila libri di 470 autori, cento dei quali erano i suoi preferiti. Il

suo proposito era di mettere la massa più ampia possibile di informazioni scientifiche e

tecniche a disposizione del suo pubblico, costituito soprattutto dai numerosi tecnici

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professionisti richiesti dallo sviluppo urbanistico ed economico della Roma imperiale,

nell'Urbs come nelle province. Inoltre, opere come questa, o almeno certe sezioni di essa,

potevano costituire una lettura di intrattenimento per la classe colta della società imperiale:

prova ne è la fioritura, in questo periodo, di scritti di curiosità naturalistiche, memoriali di

viaggiatori scritti con uno spirito spesso dilettantesco, ma decisamente attraenti.

Questo elemento ne rappresenta il limite scientifico: la distribuzione della materia nella

Naturalis historia è spesso empirica: gli animali, ad esempio, non vengono classificati

secondo le loro caratteristiche morfologiche, bensì a seconda che vivano sulla terra,

nell'acqua o nell'aria. Nella sostanza, quindi, Plinio è piuttosto un grande erudito che

scienziato, e la sua enciclopedia è un sistematico lavoro di compilazione piuttosto che di

osservazione diretta dei fenomeni.

Quintiliano

Marco Fabio Quintiliano nacque intorno al 35 d.C. nella Spagna settentrionale; era figlio di

un retore, che aveva esercitato l'avvocatura a Roma, e lo mandò là perché a sua volta vi

compisse i suoi studi con i migliori maestri del momento. Rientrato in patria intorno al 60,

tornò nuovamente a Roma nel 68, al seguito di Galba, che lo aveva conosciuto e apprezzato

quando era governatore della Spagna, e lo volle con sé quando le legioni spagnole lo

proclamarono imperatore. Fu anche apprezzato da Vespasiano che gli concesse una pubblica

cattedra di eloquenza. Intorno al 90, Quintiliano si ritirò a vita privata, per dedicarsi

interamente agli studi e alla composizione della sua opera maggiore, l'Institutio oratoria (la

Formazione dell'oratore), ma nel 94 Domiziano lo creò console e gli affidò l'educazione dei

suoi nipoti, che destinava a succedergli nell'impero. Quintiliano intendeva restaurare i

modelli ormai classici della cultura e dello stile letterario dell'ultima età repubblicana e poi

di quella augustea, ispirandosi soprattutto a Cicerone, che ritenne l'esempio supremo della

prosa e da cui riprese anche l'ideale della formazione dell'oratore come esempio compiuto di

esperienza culturale.

L'Institutio oratoria, in dodici libri, espone dettagliatamente un progetto di formazione

culturale e morale del giovane che i genitori destinavano a divenire oratore, a partire dalla

prima infanzia e lungo tutto il percorso formativo. Quintiliano vede nella formazione

retorica il modello ideale della più compiuta formazione umana. L'Institutio affronta le

tappe educative e formative del perfetto cittadino, e costituisce un importante manuale di

pedagogia, particolarmente significativo perché la sezione dedicata alla metodologia

dell'apprendimento è fondata sull'esperienza personale dell'autore, realizzata mediante

l'osservazione diretta, e sulla convinzione che la prima infanzia è il momento cruciale per lo

sviluppo della personalità futura. Di qui l'attenzione prestata alla competenza e alla moralità

dei pedagoghi, al comportamento dei genitori in presenza del fanciullo. A questa scelta va

attribuito il rifiuto delle punizioni corporali, largamente praticate nell'educazione antica, e

l'importanza formativa attribuita al gioco, che per Quintiliano sviluppa la fantasia e la

creatività. Questa è la parte più originale dell'opera, nella quale la pedagogia moderna ha

riconosciuto i propri fondamenti. Secondo Quintiliano, il buon maestro deve possedere

personalmente quelle virtù morali che deve trasmettere ai suoi allievi, ed impartire loro

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l'insegnamento senza opprimerne la personalità, ma indirizzandola consapevolmente verso

gli obiettivi educativi prescelti. Per Quintiliano l'oratore ideale è il vir bonus dicendi

peritus cioè, come insegnava Catone, l'uomo onesto abile nel parlare più che il tecnico

esperto dell'arte oratoria.

Anche la scelta dello stile, secondo Quintiliano, non è affatto indifferente e ha una chiara

valenza educativa. Tratti distintivi dell'eloquio di Quintiliano sono scorrevolezza e

semplicità. Modello dichiarato è Cicerone da cui riprende il progetto di una vasta e

approfondita educazione culturale da cui possono anche mancare gli studi filosofici.

Marziale

Sulla vita di Marco Valerio Marziale siamo informati per lo più da quanto ci dice egli stesso

nei suoi epigrammi; qualche notizia ricaviamo anche da una lettera di Plinio il Giovane, che

ne annuncia la morte scrivendo a Tacito. Nacque a Bìlbilis, una cittadina della Spagna

intorno al 40 d.C.; studiò grammatica e retorica, e intorno al 64 si recò a Roma, dove altri

letterati spagnoli godevano di prestigio e di fama. Si appoggiò alla casa prestigiosa degli

Annei, ma, per sua disgrazia, l'anno dopo il suo arrivo Seneca e Lucano furono costretti al

suicidio da Nerone e il poeta si ritrovò senza protettori. Visse la vita precaria e misera del

cliente, costretto a rendere omaggio a molti personaggi facoltosi che gli concedevano

quotidianamente di che riempire la sportula, il cestino che il cliente portava con sé per

ricevere offerte della generosità spesso meschina dei suoi protettori.

Intorno all'80 si fece conoscere al pubblico di Roma con un libretto di epigrammi, in cui

celebrava, tra l'altro, l'inagurazione dell'Anfiteatro Flavio, compiuto in quell'anno da Tito: la

parte di quella raccolta che è giunta fino a noi si chiama, con un titolo che difficilmente si

può credere originale, Liber spectaculorum o de spectaculis. Tito ricompensò il poeta

concedendogli i privilegi fiscali attribuiti normalmente ai padri di tre figli. Questo privilegio

gli fu confermato l'anno seguente da Domiziano, con l'aggiunta del titolo di tribuno militare,

che gli consentiva l'ingresso nell'ordine equestre. Questi riconoscimenti onorifici non

modificarono in nulla la condizione disagiata del poeta, che nell'84 pubblicò altre due

raccolte di poesie; erano brevi componimenti destinati ad accompagnare i doni per gli ospiti

e i doni da portar via lasciando la mensa ospitale. Marziale sperava di affermarsi meglio con

questi componimenti spiritosi. Dall'84 al 97 pubblicò altri libri; aveva messo insieme un

piccolo podere e una casetta sul colle Quirinale. La morte di Domiziano e l'avvento di Nerva

e quindi di Traiano portarono nuove difficoltà al poeta, che aveva adulato senza misura

l'ultimo dei Flavi: soprattutto Traiano guardava con sospetto chi si era compromesso con la

politica autocritica di Diocleziano. Marziale chiese all'amico Plinio il Giovane un aiuto

economico per tornare in Spagna, e lì accettò di buon grado l'offerta di una fattoria da parte

di una ricca vedova. Il poeta fu grato alla donna che lo aveva accolto con la sua generosità, e

scrisse per lei un epigramma del libro XII che aggiunse ai suoi undici precedenti. Ma

evidentemente la tranquillità economica non bastava a soddisfare un animo abituato a vivere

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in un ambiente colorito, chiacchierone, pieno di vizi e di personaggi singolari, che aveva

sempre costituito l'oggetto dei suoi epigrammi. Marziale non scrisse oltre quel dodicesimo

libro. Morì nel 104.

Nella letteratura latina l'epigramma era stato introdotto da Ennio, e continuò per tutta l'età

repubblicana, assumendo caratteri di poesia soggettiva, prevalentemente sentimentale ed

erotica, talvolta aggressiva, secondo il modello ellenistico. Marziale scelse, dopo i primi

libri di componimenti di circostanza, scritti e diffusi in un ambiente che pregiava la poesie

come un genere di consumo prelibato ma nulla di più, egli dedicò la sua produzione poetica

a una rappresentazione realistica al mondo un cui viveva.

Nel terzo epigramma del libro VIII Marziale si rivolge alla sua Musa, chiedendogli

scherzosamente per quale motivo insiste con lui perché scriva ancora. La Musa gli risponde

seriamente, ricordandogli che egli non è nato per scrive

Dettagli
A.A. 2018-2019
98 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dario.l.padalino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Raccanelli Renata.