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Di quanto fosse diffusa la conoscenza dell'opera di Catullo anche nell'ambiente non strettamente letterario è
testimonianza l'epistola dedicatoria a Tito della "Naturalis historia", nella quale Plinio il Vecchio dà per note le
sue "nugae".
Gli eruditi arcaicizzanti del II sec. d.C. ne apprezzarono invece l'aspetto "doctus".
Dall'epoca tardo antica (probabilmente perché non veniva letta nelle scuole) l'opera di Catullo sembra
scomparire e non se ne hanno più notizie sino al secolo X. A Verona, alla fine del XIII secolo, viene ritrovato
un codice, ora perduto, capostipite della nostra tradizione manoscritta. Forte è l'influenza della lirica
catulliana su Petrarca; mentre l'"editio princeps" del testo è del 1472. Da allora l'opera catulliana entra nella
tradizione letteraria italiana e in generale europea. Dopo una momentanea eclisse nel periodo barocco, alla
fine del '700 l'interesse per Catullo riprende.
Tito Lucrezio Caro
La vita
Della vita di Lucrezio si hanno pochissime notizie.
La più famosa di queste è senz'altro il passo di Gerolamo, che afferma che "Tito Lucrezio, il poeta, nacque;
poi, impazzito per un filtro d'amore, dopo avere composto nelle pause di lucidità lasciategli dalla follia alcuni
libri, dei quali in seguito Cicerone fu revisore, si suicidò a 43 anni di età". L'anno della sua nascita viene oggi
stabilito nel 98 a.C., sarebbe dunque vissuto fino al 55 a.C.
La sua aperta adesione alla filosofia epicurea, che aveva in Campania le sue scuole più prestigiose, ha fatto
pensare che fosse originario di quella regione. L'interessamento per la sua opera da parte di Cicerone ha
fatto pensare a qualche contatto o familiarità dell'oratore con il poeta.
Ugualmente problematica è la notizia che lo vorrebbe pazzo per un filtro d'amore e, di conseguenza, suicida.
I più pensano che la notizia di Gerolamo sia falsa. Lucrezio, forse, fu da lui definito folle in quanto professava
un credo filosofico materialistico che il cristianesimo duramente criticava e considerava, in qualche modo,
"pazzia". Inoltre la follia d'amore e il suicidio sono tematiche affrontate nel "De rerum natura", e
probabilmente ciò contribuì a legarle, con un procedimento arbitrario frequente nella biografia antica, al
vissuto del poeta.
Il "De rerum natura"
L'unica opera di Lucrezio che sia pervenuta è il "De rerum natura", cioè "La natura delle cose", un poema
didascalico di argomento filosofico in sei libri, con il quale egli si proponeva di divulgare ai romani la filosofia
epicurea. La forza innovativa della sua opera si è realizzata in due direzioni: creare a Roma un poema
didascalico degno della grande tradizione greca, e nello stesso tempo conciliare l'epicureismo con la poesia
(che invece, secondo Epicuro, poteva suscitare emozioni e turbamenti, con il rischio di allontanare l'uomo
dalla filosofia).
I sei libri dell'opera sono a loro volta raggruppabili in tre diadi (sezioni di due libri), poiché i primi due trattano
la fisica, i secondi due l'antropologia, gli ultimi due la cosmologia: la dottrina del maestro Epicuro, dunque, è
esposta dal "piccolo" verso il "grande", partendo dagli atomi per arrivare prima all'uomo e infine al cosmo: la
parte finale di ogni diade è caratterizzata da immagini negative, angosciose, forse in contrapposizione con
l'ottimismo dei corrispondenti inizi. L'opera è infatti preceduta da un solenne proemio generale, il cosiddetto
"Inno a Venere", e contiene ben 4 entusiastici elogi di Epicuro; proprio nel mezzo dell'opera si trova una
dichiarazione di poetica nella quale Lucrezio esalta la novità della propria poesia.
Nell'opera sono presenti solo scarsissimi cenni alla realtà contemporanea. L'espressione "patriai tempore
iniquo" allude a una difficile fase nella storia della "res publica", ma la vita della Roma della prima metà del I
sec. a.C. è stata tanto a lungo travagliata da privare il riferimento di un significato cronologico preciso.
Qualche spunto più interessante offre la dedica del poema del nobile romano Gaio Memmio, uomo politico,
cultore di letteratura. Egli fu tribuno nel 66 a.C., pretore nel 58 a.C., governatore della Bitinia nel 57 a.C.
Lucrezio lo menziona nove volte nel poema, mai però nei libri III, IV, VI; ciò confermerebbe l'impressione che
questi siano stati scritti o revisionati per ultimi, in un'epoca nella quale la figura politica di Memmio si era già
appannata.
I libri I, II, V sembrano meglio curati degli altri 3 e altri indizi di incompiutezza (omissioni, ripetizioni) sono
presenti qua e là nel poema. E' dunque plausibile che Lucrezio sia morto lasciando parzialmente incompiuta
l'opera cui attendeva da tempo. Ed è altrettanto plausibile che Cicerone ne abbia rivisto il manoscritto e
promosso la diffusione del testo.
1. Libro I: il poema si apre con l'invocazione a Venere, la dedica a Memmio e una breve anticipazione
dei contenuti segue il primo elogio di Epicuro, presentato come il primo uomo che ha osato levare gli
occhi contro quell'insieme di credenze e superstizioni ("religio") che ha oppresso gli uomini,
costringendoli a compiere crimini efferati. Il poeta passa poi a dimostrare uno dei principi cardine
della fisica epicurea: nulla nasce dal nulla e nulla si dissolve nel nulla. Gli atomi, particelle solide,
indivisibili e indistruttibili, si muovono nel vuoto e si aggregano dando origine agli oggetti; quando si
disgregano, ne provocano la loro distruzione. Lucrezio confuta poi le tesi di alcuni filosofi naturalisti.
Dopo un elogio della poesia, che può rendere accessibile una materia difficile come quella esposta
nel poema, Lucrezio chiude il libro con un'esortazione a Memmio affinché continui, sotto la sua
guida, a percorrere il cammino di conoscenza appena intrapreso.
2. Libro II: dopo un elogio della "sapientia", Lucrezio espone l'argomento del libro, ovvero le
caratteristiche del movimento degli atomi e delle loro aggregazioni. Gli atomi, che hanno forma, peso
e dimensione, si muovono incessantemente nello spazio infinito dando origine a ogni cosa con il loro
aggregarsi; non si muovono secondo una traiettoria verticale, ma deviano leggermente da essa
(traiettoria del "clinamen" o deviazione) in modo non prevedibile. Questa teoria spiegherebbe come
dall'urtarsi degli atomi possa avere origine un'infinita varietà di forme e una pluralità di mondi diversi
destinati, come quello terrestre, a perire: il "clinamen" ha quindi anche l'effetto di evitare il rigido
determinismo e di lasciare spazio alla libertà umana.
3. Libro III: al proemio, dedicato all'elogio di Epicuro, segue un'approfondita trattazione sulla natura del
corpo e dell'anima umana, finalizzata a liberare l'uomo dal timore della morte. Lucrezio distingue fra
"animus" (mente, sede delle facoltà razionali e dei sentimenti) e "anima" (forza vitale, sensibilità);
entrambi sono di natura materiale, formati dall'aggregazione di atomi sottili e leggeri che sono
destinati a disgregarsi dopo la morte. Se dunque la nostra anima è mortale, non dobbiamo aver
paura di pene e castighi oltremondani: la morte per l'uomo non è che una liberazione delle
sofferenze.
4. Libro IV: Lucrezio in un breve proemio rivendica con orgoglio il merito di avere per primo trattato in
versi una dottrina difficile come quella epicurea, con l'intento di renderla accessibile al pubblico
romano. Viene poi esposta la dottrina della sensazione e della conoscenza, fondata sull'esistenza
dei "simulacra rerum" o "éidola", cioè membrane sottilissime composte da atomi che si staccano
continuamente dagli oggetti e, colpendo i nostri sensi, danno origine alle sensazioni, che
costituiscono dunque la fonte di ogni nostra conoscenza. Lucrezio esamina successivamente anche
l'udito, il gusto, il tatto e l'olfatto; passa poi ad approfondire anche gli aspetti della vita umana come
lo stimolo della fame e della sete, il movimento, il sonno, i sogni e lo stimolo dell'amore. Lucrezio
sostiene che l'amore, quando non è semplice appagamento dell'istinto sessuale, è solo fonte di
turbamento.
5. Libro V: dopo un nuovo elogio di Epicuro, Lucrezio affronta il tema della formazione del mondo e
della storia dell'umanità. Il mondo in cui viviamo si è formato dall'aggregazione degli atomi, ed è
destinato a perire. Gli dei, che vivono in uno stato di imperturbabilità negli "intermundia", sono
completamente estranei alla sua nascita, e la natura stessa non è stata predisposta per la felicità
umana. Il poeta esamina poi dettagliatamente il movimento e la dimensione dei corpi celesti. Nella
seconda parte del libro, dedicata alla storia dell'umanità, Lucrezio ribalta la visione idealizzata delle
epoche antiche. Secondo il poeta l'uomo, nato dalla terra, vincendo l'ostilità della natura e spinto dal
bisogno, ha compiuto molti progressi passando dallo stadio primitivo e semiferino della civiltà.
Secondo Lucrezio, però, il progresso non ha sempre portato risultati positivi: il desiderio di ricchezze,
le guerre devastanti e l'ambizione sono elementi negativi che porteranno l'umanità gradualmente
all'autodistruzione.
6. Libro VI: il libro si apre con l'elogio di Atene e di Epicuro. Lucrezio passa poi ad analizzare e
descrivere i fenomeni metereologici e naturali, che non sono causati dagli dei ma si verificano per
legge naturale. L'ultima parte del libro è dedicata all'esposizione dell'origine delle malattie, che non
sono punizioni degli dei, ma hanno cause naturali e scientifiche. Lucrezio conclude la sua opera
descrivendo la peste di Atene del 430 a.C.
Il genere letterario: il poema didascalico
Il poema didascalico vuole "insegnare" qualcosa: la sua etimologia è appunto legata al verbo greco
"didàsko" ("io insegno"). Nel mondo greco questo genere letterario aveva avuto una larga diffusione, dall'età
arcaica a quella ellenistica, dando luogo a manifestazioni tra loro assai diverse. Esiodo (VII sec. a.C.) con i
suoi poemi in esametri intendeva porsi seriamente come guida della sua comunità. Dare precetti sul lavoro
agricolo o informazioni mitologiche significava infatti trasmettere i saperi e i valori fondanti della società
arcaica in cui viveva. Il fine dei poemi didascalico-filosofici di Parmenide o Empedocle, che nella poesia
vedevano il mezzo privilegiato di trasmissione della sapienza.
L'età ellenistica vide una letteratura più eclettica, men