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IL NUOVO DESIGN EUROPEO

Alcune industrie, nel settore del design, erano convinte che le esigenze di un mercato di massa

potessero essere soddisfatte anche da una produzione di qualità tecnica ed estetica elevata.

Nel 1956 la tedesca Braun istituì un dipartimento per il disegno industriale.

La sua produzione si identifico nell’immagina di una modernità espressa

dall’impiego di materiali plastici, caratterizzati da una forma sobria che segue perfettamente la

funzione d’uso, e quindi da una comunicazione diretta e nitida.

Dieter Rams entrò alla Braun nel 1955, e vi disegnò nel 1956 la radio potatile “Transistor I”.

Hans Gugelot progettò una serie di apparecchiature radiofoniche fra cui il

“Phonosuper”, un radiofonografo realizzato nel 1956.

Nel 1957 G. A. Muller e R. Oberheim disegnarono il “KM 32” un elettrodomestico polifunzionale,

dai colori chiari e dalla sagoma plasticamente arrotondata.

Ciò che da queste realizzazioni fece parlare di uno “stile Braun” fu il rigoroso funzionalismo che le

caratterizzò.

Il principio “forma che segue la funzione” fu applicato con rigorosa metodicità.

L’apparizione in Francia, nel 1953, della “Citroen DS” scaturì molto

interesse non solo per la presentazione di un nuovo modello d’automobile, ma in essa si colse un

aspetto molto innovativo, che trasformava il concetto stesso di mezzo, che fecero della novità

tecnica ed estetica una favolosa figurazione.

In essa si coglieva un’idea della velocità meno aggressiva, e ciò rendeva l’auto non solo più

spirituale, ma anche più casalinga.

In tale prospettiva il design scandinavo si presentò con caratteristiche particolari: adottò gli stessi

valori di moderna razionalità presenti nei prodotti industriali, ma continuò in generale a fondarsi sui

valori artigianali della tradizione.

Del design scandinavo, ma anche di quello danese si è parlato come di un “artigiano

meccanizzato”.

Il danese A. Jacobsen prese spunto dalle architetture degli anni ’30 di Aspuld, e lo tradusse

nell’attualità degli anni ’50 attraverso l’impiego dei nuovi materiali plastici e l’elaborazione di forme

geometriche. Le sue sedie “Modello 3100 Ant” e “3107 Serie 7”, prodotte tra il 1951-

1955, ne furono gli esemplari più significativi. Più sobri furono i vasi “Kantarelli” progettati da T.

Wakkala del 1946, in cui la purezza del vetro si compose in capricciose geometrie.

IL CASO ITALIANO: IL MIRACOLO DEL DESIGN

Negli anni del passaggio dal periodo della ricostruzione postbellica a quello

della ripresa economica, giudicata <<miracolosa>>, la trasformazione dell’Italia si attuo in

profondità. Il mutamento non coinvolse tutto il paese. Al contrario ne accentuò gli squilibri

geografici e sociali- Nord e Sud, città e campagna. In questa realtà così conflittuale, il design

divenne un elemento significativo, giacché diede forma compiuta a un modello di esistenza. Fu

però la scienza a introdurre nell’esistenza quotidiana alcune novità decisive e a modificare la

progettazione degli oggetti d’uso. Nella produzione delle materie plastiche la natura della cose

visse il suo mutamento definitivo: con essa il prodotto industriale non vide cambiare soltanto la

propria organizzazione funzionale, ma la struttura stessa della propria materia. La plastica sostituì i

materiali naturali sottoponendosi a una continua metamorfosi, assicurando leggerezza e

resistenza, igiene e indistruttibilità, duttilità e capacità mimetiche infinite. Tra le aziende italiane che

intuì le grandi possibilità del materiale plastico fu la Kartell, fondata nel 1949. La Kartell avviò così

un lungo processo di sviluppo, attraverso il quale tanto la ragione progettuale quanto quella

produttiva si nutrirono di una cultura industriale avanzatissima. Le industrie italiane come la Olivetti

e la Kartell furono gli esempi di una cultura industriale che fece in quegli anni della chimica e

dell’elettromeccanica i punti di forza di una produzione tesa a ridisegnare le attività quotidiane

attraverso la trasformazione della materia. Il Compasso d’Oro del 1957 fu assegnato alla macchina

per cucire “Mirella” della Necchi, disegnata da Marcello Nizzoli. È subito evidente il passaggio dai

farraginosi meccanismi della macchina azionata a pedale agli invisibili flussi di energia della

struttura elettromagnetica. Una sagoma dall’andamento fluente, involucro compatto che racchiude

plasticamente il corpo tecnico dell’oggetto.Nel settore dell’arredamento questa tendenza a

sottintendere la tecnologia e a comunicarla attraverso la metafora formale dei geometrismi sottili,

apparve più evidente.Nella cucina si affermò l’idea dei mobili componibili, modelli sperimentati

negli Stati Uniti, infatti si parla di <<cucine all’americana>>. Nel settore dell’illuminazione, la prime

lampade fluorescenti racchiuse nell’apparecchiatura <<Tubino>>, disegnata da Achille e Pier

Giacomo Castiglioni, invasero gli ambienti domestici di una luminosità fredda e pervasiva. Su

questa tendenza alla riduzione dell’oggetto alle sue componenti elementari, si fondò un processo

di riflessione che si interrogò sui parametri estetici in base ai quali giudicare i nuovi prodotti. Il vero

problema riguardava la maggiore o minore coincidenza tra la forma degli oggetti prodotti e il loro

essere sociale.

CAPITOLO VIII

TRIONFO E CRISI DELLA MODERNITA’

LE INQUIETUDINI DEL BENESSERE

Nella seconda metà del XX secolo il design appare di difficile lettura, ciò che lo costituisce sono: il

contrasto, la reciproca opposizione e la costante presenza di alternative.

Il punto di partenza meno incerto è quello dell’oggetto d’uso e della sua dinamica, che il benessere

in gran parte del mondo occidentale incanalò lungo accidentato percorso del consumismo.

La quantità di <<cose>> prodotte e portate sul mercato fondò i criteri concorrenziali sulla loro

identità formale, la quale si fece di necessità instabile, precaria, mutevole.

Il nuovo statuto sociale dell’oggetto d’uso ne esaltò la qualità tecnica non tanto per la sua

funzionalità, quanto per la forma che la esprimeva.

Il consumo non si orientava più verso l’oggetto, bensì verso la forma. Era il meccanismo sul quale

si fondò subito la nuova pubblicità, impegnata a comunicare il prodotto verso la sua immagine e

attraverso la situazione in cui si trovava.

Il prodotto industriale e il consumo di massa si presentarono come fenomeni ambigui. Gli sviluppi

della tecnica avevano elevato il tenore di vita, ma la ragione che li dominava era legata a una

logica del profitto che molti rifiutavano.

La nuova strategia di consumi era il frutto di una nuova strategia di marketing, ma rispondeva alle

esigenze di una società che voleva voltare le spalle alla penuria di un tempo.

LA CULTURA DEL DISEGNO INDUSTRIALE

Il <<disegno industriale>> si presenta ora con una propria autonoma identità, differenziandosi

dall’architettura e superando l’antico confronto con l’artigianato.

Gillo Dorfles precisò che l’oggetto di partenza del disegno industriale doveva essere << prodotto

attraverso mezzi industriali e meccanici, ossia mediante l’intervento esclusivo della macchina>>.

La centralità della struttura industriale appariva quindi indiscutibile. In tal modo esso assumeva

come referente non la realtà del prodotto ma le modalità della sua produzione.

La bellezza dell’oggetto doveva esprimere i valori della struttura produttiva, e portare la società a

far propri i modelli estetici dell’oggetto. Ciò rovesciava il rapporto tra <<arte>> e <<tecnica>>.

Non si trattava più di comporre in un disegno gli elementi strutturali dell’oggetto, bensì di assumere

come base del progetto estetico la loro razionalità industriale.

Dell’oggetto tecnico si sottolineò il prevalere del <<valore d’uso>> rispetto al <<valore di

scambio>>; nel confronto riemersero i problemi tradizionali del design: l’equilibrio tra arte e tecnica,

il valore sociale dell’oggetto d’uso, la contrapposizione tra autonomia ed eteronomia interna alla

progettazione formale.

Nessuno di questi problemi fu risolto; ma dalla loro diffusione della prassi progettuale e nel campo

culturale, sorse una nuova stagione di sperimentazione e di ricerca che caratterizzò l’ultimo

ventennio del XX secolo.

IL DESIGN ITALIANO: LA TECNICA DELL’ARTE

il design italiano è sempre stato un sistema contraddittorio e policentrico, ma ha tratto da questa

particolare discontinuità la sua unità e la sua energia vitale.

Il territorio nel quale il design italiano si affermò sempre di più fu quello automobilistico. Gli anni ’60

e ’70 del XX secolo furono gli anni del definitivo superamento del concetto di <<utilitaria>>, la cui

struttura agile ed economica fu elevata ad un livello superiore nella gerarchia del consumi, ovvero

sul piano della city car. La catena delle utilitarie storiche si fondava su un progetto sociale che

puntava a far varcare la soglia del benessere a una piccola borghesia risparmiatrice, ma con la

stabilizzazione dei redditi si ebbe una nuova immagine dell’auto destinata a rispecchiare una

identità culturale.

Come per esempio nel 1980 l’Italdesign di Giorgetto Giugiaro propose con grande successo la Fiat

“Panda”.

Nel settore delle auto si configurò la nuova strategia del design. Il problema che esso doveva

ormai affrontare non era più solo quello di dar forma a una funzione tecnica, ma era l’esigenza di

comporre solo un fitto reticolo di concetti, segnali e simboli irriducibili alle semplice immagine e più

vicini alla logica dinamica del racconto.

La nuova spazialità creata dall’arredamento moderno affidò inoltre al design

italiano un tema assolutamente innovativo, che fu quello della luce artificiale.

Nel 1926 Luciano Baldessarri disegnò una lampada, chiamata “Luminator”, da terra a illuminazione

indiretta. Infine nel 1955 Achille e Pier Giacomo Castiglioni proposero una nuova

versione, nella quale la precedente plasticità si convertiva a una figurazione lineare che si

concludeva non in una calotta, bensì in una lampadina schermata a vista.

In essa si può notare un atteggiamento progettuale che caratterizzò tutto il design italiano della

luce.

Dettagli
A.A. 2016-2017
50 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovannisidari di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e critica dell'arte contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Borzì Bibiana.