Appunti totali delle lezioni di filologia italiana
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A settembre esce un’edizione contraffatta clandestina a Lione, perché i privilegi che aveva
raccolto dispendiosamente Bembo, a Lione non erano riconosciuti -> Bembo si arrabbia e
manda i suoi alleati a distruggere queste copie contraffatte, anche se comunque erano state
fatte molto bene -> si riconoscono che erano contraffatte perché nell’edizione originale in
fondo c’era l’errata corrige, ossia due colonne in cui in una colonna c’erano le forme sbagliate,
mentre nell’altra c’erano quelle corrette -> nell’edizione contraffatta le forme corrette sono
già nel testo. Già a partire dal 500 quindi troviamo la pubblicazione clandestina di opere
protette dal privilegio, e anche il dilagare progressivo di edizioni con falso luogo di stampa ->
edizioni che uscivano a Lucca con scritto magari Londra o Parigi, o Lione, perché questi erano
degli Stati in cui i vincoli a cui erano soggette le opere stampate in Italia, non erano attivi.
Nel 700 questo falso luogo di pubblicazione fu utilizzato per raggirare non più i vincoli di
privilegio, ma la censura.
E’ in Inghilterra che troviamo una prima rivendicazione dell’opera letteraria come opera
dell’ingegno, non solo come manufatto. Di questa rivoluzione sono protagonisti i librai londinesi
(stationers) che si fanno promotori di varie leggi che culminano in un primo statuto che
disciplina la diffusione delle opere letterarie attraverso la stampa -> si chiama lo statuto di
Anna, 1710, ampiamente in anticipo rispetto alle discussioni sulla proprietà intellettuale
successive .> questo statuto ha raccolto queste varie rivendicazioni della necessità di
proteggere le opere dell’ingegno (non ancora gli autori) nella loro moltiplicazione tipografica e
presentavano tutta una serie di regole che i librai si erano dati per non ostacolarsi sul piano
commerciale -> non è ancora una dichiarazione di proprietà intellettuale o la tutela dell’autore,
ma la tutela dell’opera come creazione intellettuale. La tutela protegge l’autore nella sua
opera dalle riproduzioni illecite, protegge quindi la fatica che l’autore ha fatto per mettere
insieme quell’opera, che occupa lo spazio materiale dell’edizione e lo spazio intellettuale in cui
si iscrive quella pubblicazione -> ma gli stessi teorici inglesi del diritto dicono che è quel
concetto di fatica e spazio ad essere protetto, mentre le idee non sono per definizione
tutelate, le idee sono di tutti e non sono restringibili.
Per arrivare alla tutela vera e propria dell’autore come creatore di idee originali bisogna
aspettare l’illuminismo -> nel 1777 diderot riconosce agli autori un diritto perpetuo e
ereditario, se invece l’autore decide di trasferire i suoi diritti allo stampatore, questo li
possiede fino alla morte dell’autore e basta. Con la rivoluzione francese questa visione di
Diderot viene rivista con una legge in cui i diritti di autore sono sì formulati in termine di
proprietà intellettuale, ma seguono la vita dell’autore e poi per 5\10 anni; questa è molto
simile alla formulazione odierna del diritto d’autore, in cui i diritto sono presenti per 70 anni
dopo la morte dell’autore. Quindi nelle varie formulazioni successive che abbiamo
sintetizzato, abbiamo assistito inizialmente alla tutela solo del lavoro tipografico di chi
produce la copia dell’opera, poi la tutela dell’opera come libro stampato ma anche come opera
originale, ma solo con l’illuminismo c’è la protezione della proprietà intellettuale dell’opera che
rimane in capo all’autore fino alla sua morte e oltre, come è anche nel formulazione attuale.
Questa tutela implica l’estensione a tutte le forme anche frammentarie di redazioni
provvisorie, di abbozzi di una certa opera da parte dell’autore stesso -> se io proteggo i
diritti di una data opera, proteggo anche degli abbozzi autografi che magari sono nei cassetti
degli eredi.
Quindi ritornando alla domanda originale cosa è un’opera? L’insieme di fatti, personaggi, idee
e contenuti associati a un autore e a un titolo, ma poi abbiamo visto come a questa galassia
che noi chiamiamo opera letteraria si possono unire molte versioni e redazioni di vario genere
che pongono tuttavia gli stessi quesiti e si ripropongono come oggetto di tutela e proprietà
intellettuale ed esigenza culturale e che deve essere difeso.
Uno dei più grandi pensatori che si sono interrogati su come tutelare un testo è Paul Eggert ->
guarda slides. 18\10
[Riprendendo il discorso di ieri] Questa tutela dei diritti è stata periodicamente aggirata ->
guarda le copie di Lione, ma in particolare Napoli perché nel 1840 gli stati italiani a partire
dal regno di Savoia firmano una convenzione per far rispettare i diritti d’autore nelle varie
parti in cui è ancora divisa l’Italia, ma il regno di Napoli non firma questa convenzione e quindi
qui si continua a stampare ogni genere di opera senza dover rispettare i diritti sanciti dagli
altri stati -> Napoli diventa una fiorente città tipografica specializzata in opere che per la
tutela dei diritti o per i contenuti problematici\controversi sul piano politico e religioso, è una
sede dove la stampa agisce con maggiore libertà.
La corsa alla digitalizzazione degli anni 90 ha messo online un numero così grande di testi che
oggi la corsa non è più “ad aggiungerne” ma ad individuarne gli errori e puntano a migliorare la
qualità -> al colmo di questa corsa c’è il fenomeno del Google book che a parte dal 2004 ha
digitalizzato quello che si stima siano 27 milioni di libri, cioè grossomodo 3\4 volte la più
grande delle nostre biblioteche (Londra). Come ha fatto a fare questo numero? Si è munita di
mezzi tecnologici avanzatissimi e ha stretto accordi con una serie di biblioteche inizialmente
americane, e vie via ha stretto accordi del genere anche con paesi diversi. A partire dal
2007\2008 il sindacato degli autori americani ha citato google per infrazione massiccia del
diritto d’autore -> evidentemente è stato il più grande caso giuridico che nella storia ha
riguardato il diritto d’autore, non solo perché riguardava milioni di opere, ma perché le
casistiche che emergevano erano le più varie, dai libri più antichi che ormai erano svincolati
dal diritto d’autore, altre opere in cui diritti erano in vigore, e insieme e opere che avevano
ancora il diritto d’autore vigente, ma i cui proprietari non si sono fatti avanti, quindi che
hanno autore, sono tutelate ma l’autore non si trova -> opere orfane (un esempio classico di
opere orfane sono quelle opere in cui l’autore da i diritti all’editore, ma l’editore fallisce);
però queste opere orfane comunque non sono in libera circolazione, il diritto d’autore vige
sull’opera, sui contenuti ed è legata alla vita dell’autore e a un tot di anni successivi. Tutti
questi problemi sono stati sollevati dal sindacato degli autori che ha richiesto un risarcimenti
milionario a google; tuttavia le parti progressivamente si sono accordate e nel 2008 hanno
proposto quello che si chiama un accordo extra giudiziario, hanno cioè concordato un
risarcimento (che andava poi a cascata ai vari autori coinvolti) e hanno accettato un accordo
sul fondamento di un presupposto-> cioè che la digitalizzazione di massa era stata fatta per
migliorare l’accesso ai libri -> in questo caso le finalità culturali dell’operazione si inserivano in
un concetto americano di “uso corretto, non sleale (fair use)” di determinate risorse -> ci
sono voluti 3 anni di udienze e studi, per arrivare a una decisone -> il punto più controverso
era che in futuro per evitare il riproporsi di questo genere di vertenze, l’autore doveva
scegliere : o accettava in silenzio e la loro opera poteva essere usata in modo giusto (uso
corretto), oppure dovevano formulare espresso divieto che la loro opere fossero digitalizzate
-> questa proposta di accordo si può riassumere con “capovolgere sottosopra 500 anni di
storia di copyright” come dire -> il testo è in libera circolazione a meno che l’autore non dica
che non è possibile. Su queste basi il giudice del tribunale della Pennsylvania ha respinto
questo accordo nel 2011 considerandolo incostituzionale, perché la costituzione americana tra
le altre cose, tutela anche la proprietà intellettuale che non è una cosa da richiedere, ma è un
diritto inalienabile dell’uomo e delle sue idee -> ciò nonostante il giudice ha ammesso che
aveva senso la causa dell”uso corretto”, quindi in altre parole ha detto che il massiccio
immagazzinamento dei testi cambiava il rapporto fra uomo e lettura, e quindi costituiva un
avanzamento delle conoscenze.
Questa sentenza non ha valicato quindi l’accordo tra google e il sindacato degli autori perché
altrimenti questo accordo avrebbe aperto la strada a possibili usi commerciali del materiale
scannerizzato, anche se comunque un singolo soggetto racchiude da solo 27 milioni di opere
mosso appunto da finalità commerciali -> quindi ciò impedisce sì a google di vendere questi
prodotti commerciali, ma inserisce i risultati delle ricerche nelle snippets (quando cerchiamo
nel libro digitalizzato di google, dove compare la parola università, la ricerca vi ritorna dei
pezzettini di libro in cui compare la parola università, quindi sono delle fettine di contenuto
che secondo l’interpretazione un pò equilibrista, non costituiscono un’inflazione del copyright,
anche in relazione a opere protette dal diritto d’autore).
-> Le biblioteche nazionale hanno offerto per la digitalizzazione a google solo le edizioni a
libera circolazione, quindi quelle i cui diritti d’autore sono scaduti -> tutte queste opere sono 1
milione -> Sarebbe impossibile ammettere che una digitalizzazione di massa come quella fatta
da google non costituisca una massiccia infrazione della proprietà intellettuale, infatti il
giudice non ha ritenuta valida la rappresentanza.
Tuttavia bisogna trattare con molta cautela questa causa dei fair use “uso corretto “ -> si
può digitalizzare e conservare copie integrali del materiale protetto da copyright purché
questo sia fatto nel pubblico interesse. Quindi noi non possiamo fotocopiare magari più del
10\15 % di un libro che ha dei diritti, ma google si -> a regola google non dovrebbe quindi
aggiungere delle pubblicità mirate rispetto alle nostre ricerche -> senza la consapevolezza di
queste tematiche siamo vittime del moderno contesto della rete (inaffidabilità delle fonti) ->
nella proliferazione di versione e edizioni diverse, il ruolo del lettore di oggi è caricato di
enormi responsabilità di scelta e analisi, ricerca -> molto spesso non sappiamo da dove viene il
testo che cerchiamo e le informazioni che accompagnano i testi spesso non ce lo dicono, allora
tocca a noi avere la consapevolezza della relatività di questa affidabilità testuale che è molto
discutibile.
Un altro fenomeno importante e un grande, enorme problema, è la progressiva demolizione
delle opere letterarie che non sono più testi letterari da leggere in sequenza, ma sono insieme
di parole, di dati, quindi l’opera letteraria perde la sua fisionomia, non viene più letta
dall’inizio alla fine ma viene ridotta a una sequenza di parole che è possibile ricercare ma che
ci porterà a sapere magari quante volte Dante usa la parola bellezza nel convivio, ma non cosa
dice davvero il convivio.
Il digitale nella corsa alla digitalizzazione di massa ha mancato il filtro della qualità che è
rimasto solo nell’edizione critica tradizionale. 24\10
Lectio difficilior: principio che dice che fra due lezioni (letture diverse di uno stesso passo)
quella che scorre più facilmente, sarà probabilmente una sovrapposizione, quindi fra una
lettura che è più difficoltosa e un’altra che scorre via facilmente, quella facile probabilmente
riflette un aggiustamento fatto da parte dei copisti -> questo criterio era utilizzato già dalla
filosofia umanista; il testo più facile è detto banalizzazione. Nella trasmissione di testi
volgari non esisteva la grammatica, le regole su come scrivere, ma si cercava di adattare il
proprio uso orale al modello letterario dei grandi toscani del ‘300 (Dante, Petrarca e
Boccaccio); nel caso della trasmissione dei testi classici la cosa è molto diversa -> c’era una
grammatica, per cui certe forme erano giuste e altre sbagliate, ma soprattutto esisteva una
filiera di insegnamento sia delle lingua latina che greca, quindi c’erano regole che
permettevano di stabilire cosa nel testo era giusto e cosa era sbagliato. Un altro elemento
importante è la distanza tra la produzione dei testi originali e il momento in cui questi
vengono tramandati -> nel caso dei testi classici parliamo comunque di diversi secoli; ciò si
ripercuote in maniera molto chiara -> il copista di fonte ad un testo antico avrà un
atteggiamento distanziato e cauto che lo porterà ad interagire poco, mentre un copista che
ha davanti un testo a lui contemporaneo, non ci penserà due volte prima di intervenire. Un
altro fattore importante sempre di differenza tra i testi classici e quelli invece
contemporanei a chi li diffonde, è la dinamica della produzione, della composizione > mentre
noi non abbiamo la minima idea delle maniera di composizione e produzione delle opere
classiche, perché non abbiamo niente che non sia il prodotto finito, nel caso di opere volgari
abbiamo una grande quantità di materiali che ci testimoniano il modo di lavorare degli autori,
il modo di approssimarsi a una versione definitiva dell’opera, il modo di pubblicare e
diffondere l’opera -> sono tutte cose che noi possiamo anche toccare con mano, ad esempio di
alcun opere abbiamo il testo che magari l’autore ha inviato in tipografia ecc; questo fa si che
noi possiamo ricreare la traduzione della circolazione del testo; nel caso invece delle
tradizioni classiche, in queste opere noi possiamo vedere solo quale versione è stata copiata e
diffusa. L’esempio più eclatante delle tradizioni di opere non classiche è il canzoniere di
Petrarca che è tramandato da circa 600 manoscritti. Quando un originale viene trascritto
dall’autore si chiama autografo, quando è scritto da un altro ma comunque sotto il diretto
controllo dell’autore è detto idiografo. Quando c’è un autografo si può evitare di consultare e
controllare le spie perché la consultazione dell’originale ci permettere di mettere in secondo
piano la trasmissione successiva del testo, però avere un manufatto nella versione autografa
dell’autore implica il dover rispettare il modo in cui questa opera è stata redatta. La
conservazione dell’originale ci mette nella condizione in cui il lettore non solo è interessato a
cosa ha scritto l’autore, ma anche a come l’ha scritto -> in un’edizione di un autore medioevale
o rinascimentale, la lingua deve essere studiata in rapporto all’uso linguistico di quell’epoca.
Questo caso in cui l’originale si conserva è un caso fortunato; il caso sfortunato è quando
abbiamo solo copie -> ci troviamo di fronte una serie di testimonianze che rispecchiano questo
originale perduto con livelli diversi di imperfezioni; un testimone non è come aver assistito di
persona a una cosa, quindi non bisogna affidarci totalmente al testimone -> a seconda della
distanza dell’originale, un testimone potrà essere considerato più o meno affidabile; questa
distanza non può essere soltanto una distanza cronologica, ma magari perché ci sono tra il
testimone e l’originale diversi intermediari, che quindi significano diversi errori -> minori
saranno i passaggi tra un originale e un manoscritto, minori saranno gli errori che
presumibilmente presenta.
Tradizione attiva: riferito ai testi non classici, in cui il copista interviene sia sulla lingua che
sulla sostanza dei testi, in modo intenzionale intende trasportarli dentro il suo sistema di
riferimenti linguistici e culturali, mentre la tradizione più meccanica di coloro che
trascrivevano opere classiche in latino o greco, è la traduzione quiescente, tende a traslare
cioè i testi da un testimone all’altro in maniera passiva.
Archetipo: non l’opera originale, ma deriva dall’originale ed è molto spesso l’unica
configurazione dell’originale che è documentata nella tradizione -> nel caso di un’opera
classica, noi dell’originale non sappiamo niente come abbiamo detto, l’unica forma in cui
quell’originale ci è stato successivamente documentato è una copia anche molto più tarda, che
poi è stata si riprodotta e trasmessa fino aa arrivare a noi - la documentazione che abbiamo
oggi è quindi basata precisamente su questa forma medievale che l’opera classica ha maturato
nella sua storia -> archetipo. Noi per ovvia conseguenza non possiamo risalire più indietro
dell’archetipo che è la forma più antica conservata di quell’opera. Non sempre è così però: nel
caso di un’opera classica è più che normale che l’opera sia diventato molto rara e quindi in
opera medievale o umanistica l’opera sia stata diffusa e grazie a questa diffusione noi oggi
riusciamo a leggerla. Questa diffusione medievale ha tramandato una forma che ha dei
caratteri distintivi, quindi gli errori che comunque devono essere abbastanza chiari da farci
capire che siano errori, ma non abbastanza grandi da fare in modo che i copisti antichi se ne
accorgano e li correggano -> un eroe monogenetico è un errore che si produce nella tradizione
e tutti i manoscritti che derivano da quell’errore lo riprodurranno proprio perché una volta
che si è prodotto (mono genesi) non è abbastanza evidente da essere corretto, ma rimane a
tracciare la filiazione di quel particolare ramo; A cascata gli errori monogenetici si
trasmettono da un testimone all’altro -> non così gli errori poligenetici che si producono uguali
in diversi manoscritti —> vengono commessi in modo indipendenti da diversi manoscritti ; un
esempio è il salto ottico -> Nel vangelo di Luca quando elenca le generazione di cristo che
dovrebbero essere di 14 generazioni, in realtà ne sono riportate 11 perché in questo schema
di generazioni, il copista ha perso il segno di quello che stava copiando e quindi ha sbagliato ->
salto ottico. 25\10
Collazione: raffronto sistematico punto per punto di tutte le testimonianze, che permette di
vedere quali sono gli errori che le testimonianze condividono; ma come facciamo a sapere già
quali sono gli errori e quali no? Questa obiezione ha scatenato anni e anni di dibattiti perché
la pretesa ottocentesca di scientificità di questo metodo finisce ancora prima di iniziare,
perché dal momento in cui si inizia a classificare le testimonianze, le classifichiamo in base a
dei nostri personali criteri; il metodo di Lachmann, ormai per consenso degli studiosi si chiama
metodo degli errori comuni, stemmatico, ecc; non si dice più metodo di Lachmann perde si è
capito che lui è solo quello che ha tirato le fila di una tradizione che affondava le sue radici
nel medioevo. Quello che è più interessante in questo metodo è l’incrocio fra elementi
oggettivi, o che si presumono tali, e le scelte soggettive e approssimative di elementi
fondamentali, come la distinzione tra errore e lezione corretta. A questo punto dobbiamo
ricordare che per noi contano solo quelle che sono le condivisioni di errori o quantomeno di
lezioni innovative -> quando diciamo errori comuni intendiamo qualsiasi cosa si sia
differenziata dalla lezione originaria perché spesso questi errori non hanno la parvenza di
errori, ma sono modifiche che il più delle volte hanno la finalità di rendere il passo più
comprensibile, più scorrevole; ecco perché ieri abbiamo detto che un caso classico di errore
che tende a rimanere nella tradizione, (monogenetico), è la banalizzazione, cioè il passo il cui
il testo originario era oscuro, difficile e un copista nel corso della tradizione ha ritenuto di
sostituire o modificare per rendere il testo più agevole. Questo tipo di innovazione tende a
esse mantenuta nel corso della tradizione-> copisti che si trovano davanti testi facili e
scorrevoli non interverranno più.
Se A e B sono accomunati da errori che dipendono da una loro comune antecedente, e se C, D
ed E sono accomunati da altri errori che dipendono da una loro comune antecedente, al
vertice ci sarà una X (punto di partenza) che dovrà avere tutti gli errori dei suoi successori->
l’archetipo è il luogo comune degli errori comuni alla tradizione, quindi significa che per
ipotizzare che A, B, C, D ed E risalgano a un unico archetipo, dovrò trovare degli errori
comuni.
La logica stemmatica ci aiuta solo in determinati casi -> intanto va dimostrato che c’è un
archetipo -> se noi abbiamo un archetipo da cui derivano due testimoni, e se A e B leggono una
parte del testo in due modi diversi, come faccio a sapere chi ha ragione? Forse posso
scegliere quali tra i due è migliore, e posso farlo attraverso dei criteri interni, come ad
esempio la lectio difficilior di ieri -> quindi le lezioni vanno confrontate in base alle loro
caratteristiche interne -> dove invece da un determinato archetipo Y si diramano 3 rami, in
questo caso se io ho dimostrato che questi 3 rami sono indipendenti, quindi se C, D ed E
condividono errori comuni e ognuno di essi ha degli errori propri che non stanno negli altri,
allora da questa ricostruzione discende che è impossibile che C e D abbiamo un errore in
comune contro E; se C e D concordano, devono concordare nella lezione corretta -> in uno
stemma di 3 rami, è impossibile che due rami concordino per un errore, perché quell’errore
allora è una lezione corretta -> la recensio chiusa è quando ho un criterio oggettivo per
stabilire di volta in volta e in maniera automatica quale è la lezione del capostipite, perché
l’accordo di 2 contro il terzo, ci fa capire qual è la lezione giusta (appunto quella concordata
da 2).
Diffrazione -> la lezione corretta evidentemente non capita dai copisti si separa in 3 o più
direzioni diverse che rappresentano altrettanti tentativi di mettere una pezza su un luogo
difficile del testo -> distanza tra la tradizione dei testi classici che i copisti copiano con
timore referenziare, e la tradizione dei testi volgari in cui i copisti condividevano lo stesso
sistema linguistico del testo in questione, in cui non esisteva una grammatica che fornisse un
sistema di riferimento e quindi ognuno si sentiva livero di modificare il testo come voleva ->
anche nella logica stemmatica quindi l’oggettività è molto limitata, dato più che i casi di
stemmi con 3 o più rami sono pochi e nella grande maggioranza di casi, le situazioni
stemmatiche sono quasi sempre a 2 casi.
Lectio brevior -> esiste sono nell’ambito delle tradizioni di testi volgari, perché i copisti del
V-VI secolo trovandosi di fronte tradizioni diverse dello stesso passo, non sapevano
scegliere una rispetto all’altra, e quindi le combinavano > questa si chiama lezione combinata.
—> quella più breve è quella originale.
Non dobbiamo quindi ingannarci sulla validità di questi stemmi -> lo stemma conicum
( /\ ) serve a rappresentare il rapporto tra due codici, e una volta costruito e dimostrato lo
stemma, questo serve a pesare la validità delle varie lezioni.
Lo stemma però non è una fotografia delle dinamiche reali di circolazione del testo -> si basa
non su tuti i testimoni, ma solo su quelli sopravvissuti (si calcola che per un’opera del
rinascimento siano sopravvissuti tipo il 10% dei manoscritti iniziali). Lo stemma è una
rappresentazione minima che rappresenta le fasi di un’opera letteraria -> uno stemma deve
poggiare su una progressione di copia che sia inerziale, cosa che non è quasi mai il caso per la
letteratura volgare, una certa distanza tra la composizione del testo e la circolazione
medievale, poi la produzione, deve essere anche puntuale e statica, -> nel caso della tradizione
volgare non e così, abbiamo opere che gli autori non volevano pubblicare, opere che si
diffondono con modalità varie e ambigue -> abbiamo cioè una traduzione in movimento con in
vertice non un punto ma un manufatto , testimone che è stato oggetto di successive tornate
di correzione -> queste caratteristiche rendono i testi medievali e rinascimentali non molto
adatti alla schematizzazione stemmatica.
Nella filologia dei testi volgari la diffusione originaria di un testo non avviene con le
dinamiche della filologia classica, per esempio nel caso di un’opera come il canzoniere lirico di
Boiardo, i filologi hanno riconosciuto questo movimento da un originale scritto in un primo
momento, a un secondo originale diffuso sempre dall’autore in un secondo momento, tanto che
le testimonianze devono essere divise tra originale 1,2, e ognuno di loro ha agito come un
archetipo. La difficoltà sta nel dover ricostruire la fisionomia dell’originale a partire da due
tradizioni successive e diverse.
Questa dinamica di correzione, avviene con altri materiali non d’autore -> nel caso dei sonetti
Iocosi di Franco e Pulci vediamo che la tradizione non muove dagli autori ma da un cultore che
ha voluto raccogliere in un libro ciò che era nato come testi sparsi -> questo cultore opera
qualche anno dopo rispetto al momento in cui i testi erano stati prodotti, e allora
inevitabilmente raccoglie quello che trova, cioè inizialmente 83 sonetti, poi continua a
ricercarne e ne trova degli altri, infatti solo questo cultore è autore di 3 manoscritti, di cui il
3 ha 132 sonetti. Nell’ultimo dei 3 il cultore lascia degli spazi bianchi in attesa di riempirli e in
una pagina scrive in latino “cercane degli altri presso il Franco”, in quanto ormai ci era
diventato amico e voleva trovare più sonetti. Ognuno di questi 3 manoscritti ha prodotto delle
discendenze, quindi non solo non si può applicare la nozione di archetipo, ma se si applicasse
sarebbe un archetipo in movimento, cioè che in questo caso ha 3 diversi iniziali punti di
partenza.
Un caso limite è quello di una raccolta di sonetti, i sonetti del burchiello, è una raccolta dove
ci sono precursori, corrispondenti, seguaci del burchiello tanto che l’opera si è sedimentato
non in base alla personalità storica, il burchiello, ma in base all’identità stilistica di questo
stile che prende il nome dal burchio, cioè le navette in cui la roba veniva ammassata in
maniera disordinata. Tanti fanno del burchiello il precursore della poesia del nonsense, genere
letterario ‘800esca dell’Inghilterra -> non solo il testo di questi sonetti è molto complicato,
ma anche i copisti nel ‘400 che lo trascrivevano avevano dell’imbarazzo e ciò che facevano era
sovrapporre il proprio sistema referenziale a quello che era il sistema originale. Infatti un
copista smonta le due terzine del burchiello e le rimonta in emistichi -> questo non è causale,
ma è un modo originale di scomporre la poesia burchiellesca (guarda slide). 07\09
Fenomenologia della copia: Come abbiamo detto ci sono vari gradi di intervento del copista
che spesso fa un lavoro stancante e noioso quindi è soggetto a distrazioni, confusioni e salti.
Spesso questi sbagli posso derivane dalla sovrapposizione di un diverso sistema culturale,
perché la cultura del copista può essere diversa da quella dell’autore.
Interessante è la sovrapposizione inconsapevole, automatica e quindi sistemica dei propri
connotati linguistici, delle proprie abitudini di pronuncia e grafia. Ad esempio noi abbiamo
molto poeti della scuola siciliana, fiorita alla corte di Federico II nella seconda metà del 200,
che scrivono in Italiano, come è possibile? (Guarda slide “Perdita dei connotati linguistici”)
Poesia di Stefano Protonotaro: servitore -> amore feudale. Il condizionale placeria,
rimembreria, è l’unica forma prettamente siciliana. A savire= francesismo -> scrive con forme
quasi settentrionali e gallicismi -> In tutto ciò dove sta il siciliano? Il siciliano produce il
condizionale da infinito più imperfetto -> habere+habebam ->placeria, rimembreria -> ia deriva
dall’imperfetto. In più sono in rima, quindi nel processo di copia, che è quello che ci interessa,
si sono salvate dalla perdizione perché erano in rima, e la rima doveva essere salvaguardata.
Questa quindi è opera dei copisti, ecco come Protonotaro scriveva veramente (guarda slide
“Cosa aveva scritto Stefano”) -> qui c’è una base molto più forte di siciliano con il suo
specifico sistema vocalico a tre gradi (valuri, amaduri) -> queste sono forme prettamente
siciliane, ma una volta trascritte da un copista non siciliano, la rima diventa valore, amadore;
quindi c’è sempre la rima ma non è più autentica -> rima siciliana-> rime imperfette, cioè che in
siciliano fanno rima, ma in toscano no. Un esempio di rima imperfetta è “cruci" e “luci” che in
siciliano sono rime perfette, mentre in italiano no (croce, luce) . Anche Dante pensava che i
siciliani si fossero elevati dal loro volgare per andare verso il toscano, ma in realtà appunto
erano stati i copisti -> vediamo quindi quanto incide la fenomenologia della copia. Prima del
300, quindi prima di Petrarca, Boccaccio e Dante, gli autori scrivevano nei loro volgari
municipali. Quando si fa l’edizione di un testo antico, quindi di un periodo di assente
standardizzazione linguistica, dobbiamo chiederci come il sistema linguistico di partenza è
stato interpretato dai passaggi successivi che hanno portato quel testo ad essere
tramandato, trascritto. Se abbiamo testimonianze di questo testo di varia provenienza,
dobbiamo porci il problema del rapporto di posizione e tempo che questi testimoni sono
arrivati fino a noi, se un testo come ad esempio la vita nova di Dante (fine 200) viene
tramandato ad esempio da un manoscritto umbro, inevitabilmente il copista umbro stende sul
testo una patina che rispecchia le sue abitudini di scriba umbro. Ecco perché dalla tradizione
angloamericana abbiamo imparato a affidarci ad una testimonianza base -> non restituire solo
il testo che troviamo in quella testimonianza, senno non sarebbe un’edizione critica, ma
occorre scegliere fra le varie testimonianze una che ci fornisca i caratteri linguistici che
dobbiamo dare al testo -> se il testo andrà ricostruito in modo comparativo, questo non ci
esime dall’obbligo di offrire quel testo nelle coordinate linguistiche più adatte, più vicine a
quelle che dobbiamo immaginare il testo avesse all’origine-> cioè conciliare l’esigenza di
ricostruire la sostanza del testo, cioè gli aspetti significativi del testo, con un sistema
linguistico coerente. I filologi americani hanno collegato questo concetto anche alle opere a
stampa. 08\11
Problema della veste linguistica del testo: le opere spesso ci arrivano con una sovrapposizione
di caratteri -> in molti casi l’operato degli autori si traduce in una sovrapposizione di caratteri
non intenzionali ma che derivano dal diverso ambito culturale dell’autore -> nel caso dei
siciliani abbiamo visto un’intera scuola poetica pervenutaci in una veste completamente
toscanizzata -> quindi per noi il testo non è solo quello che l’autore vuole scrivere, e il testo
che riceviamo è un’unità complessa tra ciò che l’autore vuole dire e ciò che hanno compreso e
trasmesso coloro grazie ai quali ci è giunta l’opera stessa -> Manoscritto chigiano, da solo ci
consegna oltre 100 componimenti di Cecco Angiolieri; se questo fosse naufragato non
conosceremmo quasi per niente questo autore -> ci troviamo a parlare di letteratura quindi in
un modo direttamente funzionale a quello che di storico è sopravvissuto in quell’epoca.
Dobbiamo considerare quindi le opere antiche come una stratificazione, in cui l’autore ci
mette la sua iniziale opera, ma che non avrebbe alcuna speranza di arrivare fino a noi se non
ci fossero i copisti e tutti coloro che hanno permesso a questo testo di sopravvivere, ma che
allo stesso tempo hanno mediato questo testo fino a noi. ->
Quando abbiamo un testo, un problema centrale dell’edizione moderna di quel testo quindi,
sarà l’approccio alla veste linguistica -> visto che non abbiamo l’autografo, dobbiamo cercare
di presentare il testo in una veste linguistica che sia almeno plausibile per l’epoca in cui è
stato prodotto, ed ecco che la teoria anglosassone del testo base ci può aiutare -> cercare di
attingere i connotati linguistici da un singolo testimone che magari viene dalla stessa epoca
dell’autore, ci permette di rivedere un testo in una veste che potrebbe essere quella in cui
l’autore potrebbe aver scritto, una veste coerente che segue la maniera in cui in quell’area e
in quell’epoca si esprimevano i testi scritti -> concetto di scripta -> modo in cui in una
determinata epoca e in un centro di radiazione culturale (come la corte di Federico II), come
le consuetudini grafiche venivano a formare un codice, la scripta è un insieme di convenzioni
con cui certi suoni venivano espressi con certe grafie. Stefano Carrai nel 2009 ha impostato
l’edizione critica della vita nova, prendendo come testo base un altro manoscritto più tardo
ma fiorentino
Slide Convivio, trattato II, canz. 1 ->
v4: siegue è un tratto tipico del dialetto umbro
v8: vui -> metafonesi -> abbassamento vocalico di un grado causato dalla vocale finale “i”.
Vediamo il testo dal canzoniere chigiano della canzone di Guinizzelli -> invece che rempaira c’è
ripara, esempio importante della lectio difficilior. Quindi il codice chigiano che è molto
importante, non è da seguire nella sostanza; ci fornisce sì la veste formale dell’opera, ma non
dobbiamo seguirlo pedissequamente ma dobbiamo comunque analizzarlo perché non è e non
può essere preciso al 100% -> trarremo sì la veste linguistica da un unico testimone che
scegliamo, ma ne discuteremo puntualmente la lezione attraverso il confronto con tutte le
testimonianze per evitare di sbagliarci proprio per colpa del nostro testimone di base -> la
veste quindi va bene, ma per quanto riguarda il contenuto dobbiamo discutere sempre quale è
la versione miglior sulla base di un confronto sistematico di tutte le testimonianze. Un’altra
indicazione che ci può venire da questo codice è la particolarissima impaginazione, molto
diversa dalla nostra; qua i versi non sono impaginati verticalmente andando a capo dopo ogni
verso, ma sono impaginate a due e due -> questo significa che la rima è alternata
perfettamente incolonnata -> il manoscritto medievale quindi non solo parla con le sue parole
ma anche con la sua poetica visuale. Sempre nella poetica visuale, quel segno di paragrafo
rosso a sinistra, cosa indica? Nel manoscritto questi segni di paragrafo vengono messi una
volta in rosso e una in blu, ma la funzione è la “volta”, ossia il passaggio da fronte a sirima,
quindi si metteva in evidenza non solo le rime, ma anche la volta.
Questo codice ha inoltre la caratteristica di essere scritto in una strana scrittura, meno
contrastata della gotica che veniva eseguita con una penna a punta mozza, quindi che si basava
sull’alternanza di tratti pieni e vuoti, nel caso del chigiano invece è il contrario, la penna è di
punta sottile, il tratto è grossomodo dello stesso spessore dell’altro, ma la scrittura è molto
diversa, e si scrive in maniera quadrilineare in cui ad esempio la D ha una grande
asta\bandiera verso l’alto, la G verso il basso ecc. -> questa scrittura è la scrittura tipica
cancelleresca -> che ci fa in questo codice? Questa scrittura è stata per molti testimoni
anche della commedia proprio per scopi librari, e diventa la struttura più frequente anche
proprio per la commedia.
Parliamo ora della minuscola notarile, di cui la cancelleresca è una realizzazione più evoluta ->
alcuni trattati neanche distinguono tra le due. “Slide centralità..” -> canzoniere senza nessuna
ambizione estetica, niente rosso e blu o abbellimenti, solo rozze iniziali, le righe non sono
allineate (quindi non rigato, quindi vuol dire che non ha ambizioni estetiche, molto spesso è un
manoscritto ad uso personale) ecc -> è il codice comunque più importante per noi, senza
questo non avremmo niente dei poeti siciliani; in particolare questo pezzo riporta Guittone
d’Arezzo. Il copista medievale è sempre anche un editore, soprattutto quando non esisteva
una stampa, e da al testo una forma visuale oltre che linguistica e contenutistica, per cui non
conta solo cosa c’è scritto nel manoscritto, ma conta anche il formato -> il grande formato
indica che è di forte impianto libraio, che deve essere consultato, quindi un libro universitario
che si conserva in biblioteca e a cui si accede in spazi specifici che sono la scrivania, il banco
di studio ecc
Un manoscritto che invece non ha un grande formato, quindi non moto alto, indica un utilizzo
personale, un manoscritto cortesi di ricco apparato ma dimensioni contenute, quindi il formato
ci parla della sua destinazione d’uso. 14\11
Variazioni che riguardano la produzione del testo: fin dall’inizio del corso abbaino insistito
sull’idea della volontà d’autore sia una volontà problematica perché abbiamo visto che non
sempre gli autori avevano le idee chiare, e anche ammesso ce le avessero, magari le
cambiavano con il tempo; stesso l’autore veniva condizionato da fattori esterni, come ad
esempio autori grandi e importanti che esercitavano la loro influenza sugli autori minori che
ne risultavano fortemente condizionati -> quindi la volontà d’autore è fortemente
problematica e risultato di spinte diverse, come ad esempio la censura-> fino all’epoca del
rinascimento i testi erano soggetti ad un’attenta revisione da parte della censura; come
nell’epoca della controriforma i testi dovevano essere conformi all’etica cristiana. L’adelchi di
Manzoni ad esempio è un ottimo esempio, opera densa di contenuti sotto la camuffatura di
una vicenda medievale, nazionalistici e patriottici, che viene licenziato dalla censura austriaca
ma che comunque Manzoni riscrive in buona parte dopo i moti del 20-21.
Quando ci accostiamo a un’opera che abbia una documentazione diretta, possiamo ricostruire
la genesi dell’opera proprio da questi materiali autografi. In quanto analisi scientifica degli
studi degli autografi il premio di iniziazione va all’italica -> fa opere pionieristiche di quella
che oggi chiamiamo filologia d’autore negli anni ’20, la prima opera di filologia d’autore è dei
canti leopardiani, che non è comunque finita -> continua stratificazione di materiali,
pubblicata da Moroncini con una ricchezza di apparati che fanno vedere fisicamente la
progressiva evoluzione del testo, nel 1927. Questa metodologia viene applicata 10 anni dopo
da De Benedetti all’orlando furioso. Negli anni 40 arrivano i lavori di De Robertis che lavora
sull’opera lirica di Ungaretti, in cui lo stesso Ungaretti partecipa con de Robertis
all’elaborazione di questa opera. La definizione filologia deriva dal libro di Isella che si chiama
"le carte mescolate..” La presenza di queste esperienza degli anni 30-40 diede origine a una
polemica, cioè quella tra chi sosteneva che nell’opera letteraria ciò che contava era il genio,
l’autore, quindi la forma definitiva, e chi invece ne valorizzava la genesi. Benedetto Croce era
contrario a questo nuovo metodo critico, quindi era contrario allo studio della genesi, e
scrisse ciò in un articolo chiamato “illusione sulla genesi delle opere d’arte..”, ma Contini ebbe
il coraggio di scrivere un aperto attacco polemico alla condanna di croce, riutilizzando il
termine più caro a croce, quindi la Critica, e dicendo che questa critica dei significati
dell’opera, poteva e doveva essere applicata ai materiali d’autore che secondo lui erano molto
importanti, soprattutto perché servivano all’interpretazione dell’opera, secondo lui. In questo
continuum di lavoro incessante e complesso dell’autore sul proprio testo, è importante
distinguere le varie fasi, l’approssimazione a quella che è la versione più autorevole, quella
s’arrivo, del testo che intendiamo studiare. L’autore cambia molto spesso idea, ma dobbiamo
vedere in che modo. A volte l’autore può ritoccare il testo anche molte volte, magari cercando
di correggere o rivedere aspetti relativamente marginali, in questi casi s parla di una nuova
stesura dell’opera: a volte l’autore in conseguenza di un cambiamento anche formale dei suoi
gusti e criteri, può pensare di procurare una riscrittura più radicale -> Manzoni ha voluto
approfondire in due anni il fiorentino parlato, nel 1927-28 e il conseguenza di quell’esperienza
ha voluto rivedere interamente la lingua della sua opera, e in più i promessi sposi dopo questa
esperienza hanno anche delle parti in più che prima non c’erano -> quindi riscrittura che
riguarda i caratteri anche più importanti dell’opera -> nuova redazione quindi quando si ha una
nuova struttura, lingua ecc, mentre invece la stesura è quando l’autore produce in un momento
unitario un nuovo esemplare dell’opera.
Importante è lo stato in cui ci sono arrivati i materiali -> gli autori degli anni 80-90 però
avevano già i floppy disk magari, di questi materiali quindi manca un binario certo di
conservazione, perché i materiali cartacei si conservano maggiormente. Quindi il problema
della conservazione degli archivi degli autori nel mondo “digitale”, ossia in cui il testo nasce
digitale e muore tale è un problema serio. Nel caso degli autori dei secoli passati, più questi
sono moderni più è facile che sopravvivano materiali autografi, ma non è sempre così, a volte
abbiamo autografi che derivano dal XIV secolo, come quelli di Boccaccio. In questa disparità
c’entra ovviamente il “capricci della storia” per cui per un autore magari non abbiamo nulla e di
uno tutto (Boccaccio). Se si può dimostrare che un autore ha promosso e sorvegliato una
determinata edizione a stampa, quell’edizione ha un valore equivalente a quello di un
autografo, si tratta cioè di un originale autografo, ma se parla di originale idiografo se
l’autore ha semplicemente incaricato qualcuno della riscrittura dell’opera, però lui non vi ha
partecipato. Anche un’edizione a stampa può essere considerata un’originale se magari
l’autore ha finanziato la stampa, oppure ha incaricato qualche collaboratore di rivedere le
bozze ecc -> si deve però distinguere dai contenuti del testo dalla lingua del testo
Ariosto conoscendo le insidie della pubblicazione dell’opera, decide di finanziare lui stesso la
pubblicazione dell’orlando furioso.
STAMPATO FINO A QUI 28\11
Caso in cui l’autore ha attivamente partecipato all’edizione a stampa delle sue opere ->
Giovanni Verga, parliamo delle sue maggiori raccolte di novelle che compose in un ampio arco
di tempo e che spesso sono molto famose. Le due grandi raccolte di novelle pubblicate da lui e
seguite scrupolosamente nella rispettiva elaborazione sono “Vita di Campi”, che viene
pubblicata inizialmente da un piccolo editore siciliano nel 1880. Come in altri casi, Verga
diventa un caso editoriale, e quindi Treves lo convince a ripubblicare in maniera Più elegante la
sua opera nel 1897, è proprio una nuova redazione rimescolata della precedente e ha delle
caratteristiche diverse sia di lingua che di contenuti. Una cosa simile avviene anche con le
“Novelle rusticane”, contiene novelle famosissime. La prima edizione esce a Torino da un
editore specializzato in giovani autori nel 1883 e di nuovo Treves lo convince a fare una nova
edizione lussuosa quasi 40 anni dopo, cioè nel 1920. Gran parte delle novelle presenti in
queste raccolte erano già presenti su delle pubblicazioni su delle riviste, e possiamo vedere
come la scrittura e la riscrittura di queste abbia impegnato verga per gran parte della sua
vita: l’autore è sempre stato soggetto alla politica editoriale, cioè ai tempi della stampa,
all’opportunità di ristampare i propri lavori, al tornaconto economico; vediamo quindi come in
effetti i tempi della stampa periodica incidevano materialmente sulla struttura delle stesse,
quindi se per esempio l’autore doveva consegnare un’opera oggi ma non l’aveva finita,
consegnava anche la brutta copia. Le tardive pubblicate da Treves hanno avuto un molto
minore successo rispetto alle precedenti, anche avendo un testo diverso, erano molto costose,
venivano pubblicate quando il verismo non erano Più molto di moda. quindi l’editore critico che
deve pubblicare queste opere che fa, si affida all’ultima volontà d’autore (treves), oppure si
affida alla versione che ha avuto maggior successo?
Un altro autore che della riscrittura ha fatto il suo motto è Manzoni -> trascorre quasi due
anni a Firenze conversando per le strade per imparare dalla voce dei passanti, quella lingua
che riteneva una lingua viva -> Manzoni anziano nel 1868 scrive una relazione legata non tanto
a una ricerca espressiva di una lingua letteraria, ma era ormai una chiara iniziativa sociale per
arrivare a una affermazione larga del fiorentino come lingua nazionale che venisse parlata da
tutti, non solo scritta da poco. Ricordiamo che dopo l’unità ‘Italia c’era un analfabetismo
assoluto e anche tra coloro che erano alfabetizzati, erano pochissimi gli italofoni. In questa
redazione rivolta al governo d’Italia dice che ogni lingua è un composto di vocaboli e di modi di
dire, insomma non è una lingua morta come il latino e il greco ma muta a poco e poco, e in
questo mutamento ci deve essere un “marchio di fabbrica” che ci permetta di riconoscere che
un vocabolo o un modo di dire appartiene a quella lingua; e questo marchio di fabbrica è l’uso
della stessa - nessuna lingua può affermarsi come lingua nazionale solo attraverso l’uso.
quindi se andiamo a vedere l’elaborazione dei promessi sposi possiamo tenere traccia di
questa particolare storia; abbiamo i primi abbozzi del romanzo che si chiamava fermo e Lucia
che sono di epoca risorgimentale, a ridosso dei moti del 1821, mentre la pubblicazione in
volume per la prima volta, anche se veniva fatto in fascicoli perché non era detto che la gente
aveva i soldi di comprare tutto il volume, esce tra il 1825 e il 1827, l’edizione che noi
conosciamo come ventisettana; questa edizione ebbe un immenso successo, ma Manzoni non
era convinto ancora di questa lingua, perciò si reca appunto a Firenze per la “risciacquatura
dei panni”. Dopo questa esperienza riscrive i promessi sposi inserendo anche elementi nuovi e
la pubblica di novo a dispensa tra il 1840 e il 42, la quarantana. Però questa è un’edizione di
lusso illustrata anche da un famose illustratore. quindi vende molto molto meno rispetto
all’altra, quindi come prima, andiamo dietro al criterio dell’ultima volontà d’autore è
indubitabile che dobbiamo rivolgerci alla quarantana, se però ci dobbiamo rivolgere all’enorme
risonanza culturale e letteraria che ha avuto il romanzo nell’800, dobbiamo riferirci alla
ventisettana, e non c’è dubbio che se studiamo l’influsso di Manzoni negli scrittori dell’800
(ad esempio Collodi, autore di pinocchio), dovremmo rifarci alla quarantana, ma per avere
un’idea della lingua di altri autori per esempio “gli scapigliati “dell’800, è la ventisettana quella
che da l’esempio. Rimane come regola fondamentale per un editore è di non mischiare le
diverse edizioni che devono stare separate.
Un altro esempio è Leopardi, che contrariamente a Manzoni che ha vissuto molto, lui ha
vissuto 39 anni ma è riuscito a produrre una mole enorme di autografi che oggi stanno tra
Recanati e “La nazionale di Napoli.” È l’esempio di una opera di moto perpetuo, per cui i canti
leopardiani sono un’altra opera che non possiamo dire di aver letto perché ogni edizione ha dei
contenuti diversi: i piccoli idilli, come ad esempio l’infinito, vanno dal 1818 e 1822 formano il
primo nucleo di queste poesie. In seguito leopardi si dedica alla prosa e l quindi la fase
successiva è quella degli ultimi anni a Recanati e poi al passaggio a Pisa, e sono i grandi idilli di
carattere sempre bozzettistica ma di respiro filosofico; sono gli anni di A Silvia e del sabato
del villaggio (1828,1830). Sono questa fase si trasferisce a Napoli, nascono i canti che
vengono definiti anti idillici, quelli di Più oscuro pessimismo. In ognuno di questi casi abbiamo
la produzione di molti autografi, in molti casi abbozzi ma anche molte belle copie. Ad esempio
in A Silvia - anche se è una bella copia inizia a lavorarci su e addirittura incide anche sulla
struttura stessa metrica della canzone. Abbiamo anche casi in cui leopardi non sostituisce
come si fa di solito, ma lascia tutte e due le alternative; allora si pongono grandi problemi per
l’editore con queste varianti alternative.
Abbiamo un’edizione proposta dall’autore del 1831 che ha solo 23 testi, fino ai canti pisano
recanatesi. Poi un’edizione Più grande “le opere di giacomo Leopardi” che doveva essere
definitiva, e nel caso delle poesie conta 39 testi, sostanzialmente tutti i canti leopardiani.
Non tutti tutti perché ce ne sono 2, la ginestra e il tramonto della luna che non ci sono. Per
questi due canti l’unica edizione è quella postuma del 1845 curata da un suo amico.
L’ultimo caso e quello Più enigmatico, è quello del diario postumo di montale -> montale nel
1978 vince il nobel per la poesia. nel 1980 due filologi pubblicano in vita dell’autore l’edizione
critica delle opere di montale; montale cercava di ritoccare o cambiare o segnalava varianti al
cantiere dell’edizione critica, ma questi autori non accettavano queste varianti che i due
filologi definivano fuori tempo massimo -> Montale è estremamente attento alla forma della
sua poesia. Veniamo al diario postumo che ha riempito le pagine dei quotidiani per molto tempo
fino a interventi recentissimi, è un esempio di volontà d’autore postuma (postrema fuori
tempo massimo, cioè che non si vuole arrendere alla forma consolidata della sua opera e
continua a modificarla). Montale che era legato di affetto nei confronti di una poetessa
fiorentina, Annalisa Cima, e delega lei a farsi esecutrice testamentaria (che mette in atto le
ultime volontà), quindi questa diventa una volontà postuma dell’autore -> queste 66 poesie di
Montale autografe sono dedicate a questa poetessa. Il poeta secondo questa volontà postuma
d’autore raggruppa queste liriche in 11 buste, quindi 6 poesie in ogni busta, disponendo che
queste venissero pubblicate in gruppo di 6 ogni anno a partire da 5 anni dopo la sua morte.
Visto che è abbastanza difficile pubblicare un’edizione di sei poesie però e allora a partire
dalla prima parte che esce appunto 6 anni dopo la sua morte, nel 1986, la cima aggiunge a
queste puntate di diario postumo gruppi di varia entità di testi considerati comunque
manzoniani -> su questi testi gravano subito dubbi di autenticità, si ritiene cioè che la cima
avesse voluto nobilitare il proprio ruolo di musa -> si dice che molte di queste poesie aggiunte
sono dei veri e proprio centoni, cioè mosaici di elementi presi da altri testi autentici. Sta di
fatto che questo diario è ancora un enigma da sciogliere, p stata dimostrata la non autenticità
di queste opere, aggiunte ma sulle 66 poesie ci sono pareri contrastanti, alcuni li ritengono
veri altri no.
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