vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
L’apostrofe a Firenze
I primi dodici versi del canto si ricollegano a quello precedente, sono uno sfogo amaro e ironico nei
è legato da un rapporto di amore e di odio. L’apostrofe,
confronti della propria città, a cui Dante
motivata dall’aver incontrato ben cinque fiorentini tra i ladri, è giocata sulla metafora del volo e
sull’ironia per mettere in luce la cattiva fama della propria città. Viene aggiunta una profezia di funesti
eventi punitivi che già le città rivali si augurano nei suoi confronti, anche se è bene, dice Dante, che
ciò accada il più presto possibile, perché visto che così deve essere, la sciagura sarà più dolorosa da
sopportare per il poeta con l’avanzare dell’età. Il poeta perciò si rivolge a considerare le colpe dei
suoi concittadini e l’inevitabile castigo che già incombe sulla patria amata e odiata. Firenze riempie i
suoi figli di parte dell’Inferno.
Segue poi un accenno, per altro non infrequente soprattutto nel basso inferno, alle difficoltà
deambulatorie nel risalire gli scalini che conducono al ponte dell’ottava bolgia. I versi che seguono,
fino oltre a metà del canto, sono in gran parte descrittivi e didascalici ed hanno una precisa funzione
sia dal punto di vista dello stile che dell’atmosfera, all’episodio culminante di Ulisse. Il
preparatoria,
pellegrino esordisce con un’espressione di dolore, provato anche dal solo ricordo dello spettacolo che
si presentò ai suoi occhi, che non ha ancora descritto, tanto che deve tenere a freno la propria
immaginazione poetica affinché sia assistita dalla virtù (Dante presenta in modo insolito la natura del
peccato che viene punito in questa bolgia: come un vizio che nasce dal non tenere nei giusti limiti
l’eccellenza dell’ingegno, che è un dono di Dio e un privilegio concesso a pochi). Dante con cautela
effettua un esplicito richiamo alla propria esperienza personale e alla particolare cautela che deve
avere lui stesso, perché dotato di altezza di ingegno. Tale è infatti la colpa che in questa parte
dell’inferno si castiga, cioè il cattivo uso dell’ingegno, adoperato per conseguire con fronde il trionfo
del singolo, del partito o dello stato; insomma l’astuzia o la malizia politica e, più generalmente,
l’abuso dell’intelligenza in contrasto con le norme morali e religiose. Dante vuole sottolineare la
necessità di sapersi mantenere entro i limiti che non portano l’attività intellettuale a servire scopi
negativi.
La descrizione della bolgia: bolgia, in cui l’elemento predominante è il fuoco, attraverso due
Segue la descrizione della
similitudini:
1) La prima è una scena agreste, quasi bucolica. Dante che guarda l’ottava bolgia è come il contadino
che dall’alto di un colle, durante l’estate e verso la sera (da notare l’attenzione di Dante per i
particolari fenomenologici con cui indica il tempo, l’estate, dicendo che è il periodo in cui il sole
nasconde meno a lungo il suo viso, e l’ora, il crepuscolo estivo, caratterizzata dal momento in cui la
mosca lascia il posto alla zanzara) che posa il suo sguardo sui campi e sulle viti, i luoghi del suo duro
lavoro, e vede splendere le luci di miriadi di lucciole. Così ci sono miriadi di fiammelle che illuminano
l’ottava bolgia. l’immagine del carro di fuoco che rapì il profeta
2) La seconda, più drammatica e solenne, richiama
Elia e che, allontanandosi su nel cielo, nascondeva Elia e il carro, cosicché il profeta Eliseo, discepolo
di Elia, da lontano vedeva solo le fiamme che li avvolgevano. Allo stesso modo ognuna delle
innumerevoli fiammelle della bolgia racchiude in sé un peccatore e lo nasconde alla vista.
Dante guarda con così tanta attenzione lo spettacolo tanto singolare che sente il bisogno di appoggiarsi
a una sporgenza della roccia per non cadere giù. Il motivo di questa attenzione intensa si chiarisce
poi a poco, a poco: dalla generica meraviglia per lo spettacolo delle fiammelle al desiderio di parlare
specificatamente con qualcuna, forse una, di esse.
Il contrappasso: di frode, questi i peccatori puniti nell’ottava bolgia,
In base alla legge del contrappasso i consiglieri
sono trasformati in fiamme o lingue di fuoco. Qual è il nesso col loro peccato? Un elemento certo è
che essi peccarono per mezzo della lingua, ingannando il prossimo, e ora sono trasformati in lingue
di fuoco; come agirono di nascosto e subdolamente, così ora sono nascosti dalle fiamme.
I riferimenti mitologici e biblici:
Cominciano a questo punto le spiegazioni di Virgilio per soddisfare le richieste di Dante il quale, tra
le fiamme, ne ha notata una atipica in quanto biforcuta, proprio come quella che si levò sulla pira di
Eteocle e Polinice, i due fratelli tebani animati da inestinguibile odio anche da morti. I due fratelli si
erano uccisi a vicenda e odiati fino all’ultimo; quando furono posti sulla pira a bruciare, la fiamma si
divise in due, quasi ad attestare la sopravvivenza del loro odio feroce. Il richiamo classico come quello
biblico precedente di Elia e il carro di fuoco, continua ad elevare il tono del discorso. Virgilio a questo
punto tiene una piccola lezione di mitologia e di storia greca, riepilogando sinteticamente i misfatti
dei due greci che si celano dietro le fiamme a due punte. Ulisse e Diomede sono uniti in una sola
fiamma perché, durante la guerra di Troia, si trovarono insieme in alcune imprese. I due eroi sono
accomunati dallo stesso destino in quanto usarono la loro intelligenza e astuzia per compiere inganni.
Dante ricorda prima quello del celebre cavallo di legno che i greci lasciarono fuori delle mura della
dono ad Atena e che i troiani portarono all’interno delle mura. Nella notte, dal
città di Troia come
ventre del cavallo, uscirono guerrieri armati che consentirono al resto dell’esercito greco di penetrare
nella città ed espugnarla. Artefice di tale stratagemma fu soprattutto Ulisse. Enea, in seguito alla
distruzione di Troia, approdò, secondo quanto narra Virgilio nell’Eneide, dopo molte peripezie, sulle
coste del Lazio. Qui, dopo aver combattuto alcune guerre con i popoli di quelle terre, avrebbe dato
dei romani. Poi Dante allude ad altre due imprese frutto d’astuzia e d’inganno, di
origine alla stirpe
cui si resero responsabili Ulisse e Diomede. Nella prima i due greci smascherarono Achille, che se
ne stava nascosto e travestito presso Licomede, re di Sciro, per non partecipare alla guerra di Troia,
mostrandogli delle armi e risvegliando in lui l’indole della guerra. Achille seguì dunque i due eroi
abbandonando Deidamia, la figlia del re, che si era nel frattempo innamorata di lui. Il secondo
della statua di Atena o Pallade dall’acropoli troiana che, secondo la
episodio si riferisce al furto
leggenda, avrebbe reso espugnabile la città. I pochi accenni fatti da Virgilio entusiasmano Dante al
punto che desidera che i due si avvicinino per parlare con loro. Virgilio accetta la giusta richiesta del
discepolo, ma si pone come mediatore per contattare i due peccatori. Trattasi infatti di greci, con la
lingua dei quali Dante non ha dimestichezza. Da ricordare che il greco antico restò quasi sconosciuto
in Occidente per tutto il Medioevo; si comincerà a studiarlo e ad apprenderlo in concomitanza con la
caduta di Costantinopoli e il conseguente afflusso di dotti greci in Occidente. E poi Virgilio ha più
familiarità con i personaggi del mondo classico di cui lui stesso fa parte. C’è anche poi il problema
della naturale ritrosia e superbia dei greci verso gli stranieri, stereotipo molto diffuso nel Medioevo.
Virgilio allora si rivolge ai due attraverso una captatio benevolentiae, chiedendo a uno dei due di
parlare. Virgilio mostra di aver capito il vero oggetto del desiderio di Dante, di parlare cioè con Ulisse.
Ulisse:
Prima che Ulisse cominci a parlare, viene descritto in termini quasi fisici, il fenomeno della
fuoriuscita delle parole dalla fiamma nel suo contorcersi e nel suo scoppiettio che diventa varco delle
parole. Finalmente le parole si materializzano e la narrazione comincia in medias res, senza
il soggiorno dell’eroe greco presso la maga Circe,
preamboli: si ripercorre attraverso un flashback a
Caeta (così nominata da Enea in onore della nutrice Caieta che vi era morta), la maga che aveva
trasformato in porci alcuni suoi compagni e lo aveva trattenuto per un certo periodo sulla sua isola
Una volta ritornato ad Itaca, né l’amore per il figlio
con le sue capacità ammaliatrici. Telemaco, né
l’affetto devoto per il padre, né il sentimento dovuto e consacrato dal rito per la fedele moglie
Penelope poterono vincere nell’eroe greco il desiderio di allargare ancora la sua esperienza degli
uomini e dei costumi. Dante leggeva un’esaltazione dell’innato amore del sapere, così forte
nell’animo dell’uomo,da non potersi dubitare che esso non possa resistere a quel richiamo, e vi trova
l’esempio di Ulisse allettato dal canto delle sirene, e lo vedeva lodato in un altro passo per aver
lasciato la patria, il figlio, la moglie e i genitori. Dante, per quanto riguarda Ulisse, segue in parte la
tradizione classica di Omero per quel che concerne il ritorno ad Itaca dell’eroe, dopo la guerra di
Troia. Del nuovo presunto viaggio oltre le colonne d’Ercole, non c’è invece traccia nei poemi
precedenti e raccoglie molto probabilmente una leggenda medievale. La nuova avventura è sentita
come un fuoco che brucia dentro e che non può essere spento neanche dagli affetti più cari. Ulisse,
nell’assecondare questa sua insopprimibile esigenza, non fa altro che sviluppare compiutamente la
propria natura di uomo, esemplata dalla sete di conoscenza. Una conoscenza proiettata verso ciò che
è ignoto e lontano, attraverso una nuova pericolosa avventura reale e intellettuale. Il mare ne è lo
scenario. La sfida è subito sproporzionata: Ulisse va incontro al mare aperto con una sola nave e un
piccolo numero di compagni, seppure fidati. Ulisse e i suoi compagni non sono più giovani, ma
“vecchi e tardi” quando giunsero all’attuale stretto di Gibilterra che secondo la mitologia, Ercole
avrebbe indicato quali confini del mondo esplorabile, affinché nessuno si spingesse più oltre.
L’orazione di Ulisse ai suoi compagni:
All’esitazione dei suoi compagni, Ulisse risponde con un orazione, che basta a persuaderli. Dopo
averli indotti a considerare la loro origine e natura di uomini destinati a seguire per questo virtù e
conoscenza, i compagni non possono rifiutarsi di obbedire, anzi, diventano più entusiasti dello stesso
riteneva che l’altro emisfero, quel