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MAD WOMAN IN THE ATTIC, 2-10 CAPITOLO.
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Abbiamo già potuto notare all’interno di Ian Watt che c’è un’analisi profonda all’interno di quella
che è la separazione del pubblico letterario: si individua e poi si restringe la cerchia di quello che è
il pubblico letterario per andare al finire al fatto che le donne sono quelle che leggono, più di tutte
le domestiche; le donne non hanno più niente da fare perché quello che è era un lavoro di casa,
adesso è una cosa industrializzata; però ad esempio c’è il costo dell’illuminazione, il costo dei libri
che sono i problemi più grandi che spingono a restringere il campo alle domestiche parliamo
sempre di donne che hanno un minimo di istruzione e soprattutto la conoscenza di come
funzionano delle meccaniche aristocratiche ad alta dimostrazione di come anche i personaggi più
poveri si muovono in un contesto agiato. Per quanto riguarda l’autorato, ci sono dei problemi
perché siamo ancora in una società patriarcale e Harold Bloom individua in questo modello: Bloom
fa un disegno, un modello di storia letteraria che è intensamente maschile e necessariamente
patriarcale; c’è la cosidetta ansia dell’influenza quando un uomo scrive ed è già stato scritto
qualcosa, l’ansia dell’influenza è la forma di stress mentale dell’ansia di essere troppo influenzato
dai precedenti dell’autorato maschile e quindi non riuscire a dare un messaggio che sia
propriamente originale e quindi non riuscire a far parte di questo autorato perché non abbastanza
brillante; questo perché loro non hanno quello che invece corrisponde alle donne ansia
dell’autorato, una paura radicale che la donna non possa creare perché non può mai diventare un
precursore; questo aspetto poi viene amplificato perché ci sono degli aspetti della socializzazione
che vanno in conflitto con il desiderio della donna di emergere e lo vedi fin dalle piccole storie: ad
esempio all’interno di questo saggio ci sono molti profondi riferimenti a cose della regina in
biancaneve: La donna viene cresciuta per essere spezzata, per essere rotta: nasce come difettosa.
Ci sono alcuni casi di analisi dove dicevano che delle donne creative, hanno identificato la loro
creatività con una malattia psicologica e quando poi sono state esaminate hanno trovato che il
loro utero si è atrofizzato. Emily Dickinson suggerisce una frase, ovvero “ Infection in the sentence
breeds”: l’infezione prolifica all’interno della frase e che quindi in realtà le parole e quindi la
letteratura contribuiscono a favorire questo stato malaticcio della figura femminile all’interno di
questo periodo perché dice lei che questi testi sono coercitivi, imprigionanti e che inducano ad
una febbre perché usurpano l’interiorità di una persona; quindi l’effetto di un fenomeno così
patriarcale contribuisce alle malattie: ad esempio all’agorafobia perché loro sono condizionate e
invitate a vivere una condizione di vita privata, di reticenza, una vita domestica e quindi sia
l’obbligo di questo aspetto e sia il contrasto con il non essere mentalmente abili di immaginare
una vita al di fuori delle mura domestiche contribuisce a queste malattie al punto che nel 19
secolo la cultura sembra che abbia ammonitole donne ad essere malatesi sviluppa un culto di
invalidità femminile in quanto femmina. Ci si ricollega sempre di più a queste malattie da parte di
tanti al punto che non solo la si radica, ma ci si chiede se sia folle, nevrotico, splenetico(nel senso
di spleen) il voler essere una scrittrice al punto che ci si è spinti a sentirlo come un passatempo
presuntuoso da parte di una donna proprio perché c’è questo immaginario che lo scrivere non sia
roba da donne e di conseguenza le donne che non si sono scusate e tanto meno piegate al non
scrivere, sono state definite inevitabilmente come folli e mostruose. Virginia Woolf osserva una