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STESSI ISTITUTI, I QUALI ERANO IN QUALCHE MODO INDIRIZZATI ALLA PACE,
ALL'ACCORDO DELLE PARTI--->questa possibilità di transigere veniva lasciata anche nel
processo penale, anche perchè in quell'epoca il processo rispondeva esclusivamente ad una logica
privatistica.Dunque LE PARTI IN LITE POTEVANO BENISSIMO RAGGIUNGERE UN
ACCORDO TRA DI LORO E DI CONSEGUENZA INTERROMPERE IL CORSO DEL
PROCESSO: l'accusatore rinunciava ad accusare perchè aveva raggiunto un accordo con la parte, il
quale veniva poi ratificato davanti al giudice oppure, in ambito extragiuridico, innanzi ad un
notaio.Ad ogni modo la questione della legittimità della pratica di chiudere un processo con una
transazione tra le parti per la dottrina del 12mo secolo era fuori discussione secolo: infatti i
commentatori ed i glossatori che si erano dedicati a questo tema avevano rinvenuto nel Codex una
Costiuzione di Diocleziano secondo la quale "Non è proibito transigere su crimini che comportano
la pena capitale eccettuato l'adulterio"-->ovviamente la transizione del 12mo secolo non aveva lo
stesso della pace che si poteva raggiungere nell'Antica Roma ma commentatori e glossatori la
interpreteranno come la legittimazione della pratica di chiudere un processo penale con un accordo
tra le parti.Chiaritovsubito questo, la dottrina passa piuttosto ad interrogarsi sugli effetti e sulla
portata dell'eventuale accordo, cioè SULLE CONSEGUENZE GIURIDICHE DELLA
TRANSAZIONE RAGGIUNTA DALLE PARTI DI UNA CONTROVERSIA NEL 12MO
SECOLO-->IN DOTTRINA SI FORMANO DUE TESI CONTRAPPOSTE
-una minoritaria secondo cui la pace ha effetto solo tra le parti che la concludono (inter partes):
questa opinione rispecchia la logica privatistica che vede l'accusatore stipulare una pace con la
controparte, però un altro soggetto che sia allo stesso modo legittimato ad esperire l'azione contro
l'accusato avrebbe comunque potuto avviare un nuovo processo per accusationem nei confronti
dell'accusato riguardo allo stesso fatto.Quindi se così fosse stato l'accusato poteva anche ottenere la
pace con un certo soggetto ma ciò non toglieva che altri legittimati potessero procedere contro di lui
per lo stesso crimine.
-una maggioritaria (sostenuta anche da Ilio da Medicina e da Azzone) che PARIFICA LA PACE
RAGGIUNTA TRA LE DUE PARTI AD UNA SENTENZA=LA PACE HA EFFETTI ERGA
OMNES E DUNQUE PER QUEL DELITTO NON SI PUO' PIU' PROCEDERE CONTRO
L'ACCUSATO.Infatti qui si dice che la transazione inibisce qualsiasi azione ulteriore, anche se
proviene da altri eventuali legittimati a procedere contro l'accusato: ora nessuno può più riaccusare
per quel medesimo crimine il soggetto che ha stipulato la pace.
Tale questione della portata e degli effetti della transazione si riapre nel 13mo secolo vista la nuova
veste assunta dal giudice nel processo penale: in quest'epoca però ci si chiede (ovviamente i
commentatori ed i glossatori del 12mo secolo non avrebbero mai potuto porsi un quesito del genere
dato che allora il giudice era una figura assolutamente neutra ed imparziale):
UNA VOLTA AMMESSO CHE IL GIUDICE POSSA AVVIARE EX OFFICIO IL PROCESSO,
NEL CASO IN CUI LE PARTI POI RAGGIUNGANO UN ACCORDO, QUESTO VINCOLA O
NO IL GIUDICE? SE LE PARTI STIPULANO UNA PACE IL GIUDICE E' COSTRETTO A
CHIUDERE IL PROCESSO O POTREBBE COMUNQUE PROCEDERE CONTRO
L'IMPUTATO EX OFFICIO? Questo è il problema che affronta Gandino nel capitolo dedicato alla
transazione ed alla pace nel processo criminale nell'ultima parte del suo trattato "De Maleficiis".
Capitolo 26 del Trattato (TRANSACTIO ET PAX): "Della transazione e della pace che si può
fare di fronte ai crimini"
"Supponi che l'omicida abbia stipulato una pace con gli eredi della vittima; può questo
omicida essere punito dal Podestà nonostante abbia ottenuto l'accordo predetto?
E pare di sì, poichè il diritto acquisito dal comune non può essere nè cancellato nè modificato
da un patto tra privati (Digesto, De Pactis).Inoltre perchè i delitti non devono rimanere
impuniti.Ma al contrario sembra di no poichè la pace è rivolta al bene ed alla clemenza, e
poichè nessuno può essere punito senza un accusatore".
-è una questio esclusivamente del 13mo secolo, la quale viene posta da Gandino stesso.
-siamo nell'ambito del diritto civile ed ovviamente si sta parlando di un processo per una fattispecie
ordinaria (quindi non siamo all'interno di uno dei 17 casi speciali): dunque il processo considerato si
è regolarmente avviato con un accusatio, il quale però si è chiuso prima in quanto le parti hanno
raggiunto una transazione-->visti i nuovi poteri del giudice di quell'epoca, il quale ora poteva anche
procedere per inquisitonem ex officio=a prescindere dalla presenza di un accusatore, ci si chiede se
in un caso come questo il giudice potrebbe comunque riaprire e continuare il processo di propria
iniziativa, sostituendosi quindi all'accusatore e così superando pure la pace raggiunta tra le parti.
-Gandino ci offre argomentazioni che vanno in entrambi i sensi: il Podestà può punire l'omicida
nonostante la pace raggiunta tra le parti poichè c'è di mezzo la soddisfazione di un diritto acquistato
dall'autorità pubblica (argomento tratto dal Digesto)-->questa argomentazione risponde al principio
generale per cui l'accordo dei privati non può mai incidere su un interesse pubblico, e dato che la
punizione del reo risponde all'interesse dell'intera comunità, in questo caso le parti non possono
cancellare l'interesse della res publica alla punizione dell'omicida.
Quindi nè lo ius puniendi della res publica nè l'interesse pubblico alla punizione dei crimini
(nel 12mo secolo l'interesse pubblico alla punzione dei crimini si era perso, ma nel 13mo secolo
torna prepotente in quanto recuperato direttamente dall'antico diritto romano) possono mai essere
modificati o inibiti da parte di privati.
D'altro canto però non è di poca rilevanza il fatto che una volta raggiunta la pace, sulla base della
logica della vendetta, sarebbe rischioso riaprire la questione e, di conseguenza lo scontro tra le parti
e le loro famiglie, con una sentenza di condanna-->se le parti hanno raggiunto autonomamente una
pace, è preferibile conservarla.
-Gandino qui ribadisce il principio generale processuale per cui no accusatio=no processo=no pena.
"Soluzione.Il dominus Guido da Suzzara dice che se il Podestà ha di fronte una norma
statutaria che riguarda quel crimine di cui si tratta, egli deve osservare la norma statutaria ed
imporre la pena prevista da quella.Infatti le città possono darsi degli statuti
(Lex Omnes Populi, De iuris et de iure) e tale legge deve essere applicata, anche quando è
dura.Infatti è possibile che una norma statutaria si discosti dal diritto comune (Lex Omnes
Populi, De iuris et de iure).Se invece riguardo a quel crimine non vi sia una norma statutaria e
quel crimine sia tale che si possa arrivare ad un accordo, allora sempre Guido da Suzzara dice
che il Podestà non può in alcun modo procedere contro il reo; infatti la trasazione e l'accordo,
che sono tollerati dalla legge, hanno una tale efficacia che cancellano ogni offesa, anche quella
alla res pubblica, come è dimostrato dalle leggi che ho esposto poco prima."
-per risolvere la questio Gandino richiama innanzitutto l'opinione del suo maestro Guido da
Suzzara, il quale distingueva due casi: se il giudice trova nello statuto una norma espressamente
dedicata a quel crimine la quale prevede pure una pena (infatti non era sempre detto che gli statuti
contenessero anche norme penali ma senza dubbio in quell'epoca cominciava ad essere un fatto
sempre più frequente), allora può procedere ex officio e può punire l'accusato applicando la norma
statutaria-->di fatti, per quanto dura, la disposizione statutaria va sempre applicata, anche nel caso
in cui le parti abbiano in realtà già raggunto una pace tra di loro e non avrebbero quindi più motivo
di litigare; se invece il giudice non trova alcuna norma che preveda una pena nello statuto allora di
fronte alla pace stipulata dalle parti, allora egli si deve arrestare poichè la pace riassorbe qualunque
offess, compresa quella alla res publica-->d'altra parte se non c'è una norma statutaria dedicata a
quel determinato reato significa che per quella fattispecie l'interesse alla punizione del reo non è
così grande da andare addirittura oltre un'eventuale accordo delle parti, non è così urgente da
prevalere sulla pace raggiunta dai protagonisti del processo.
-per i medievali la Lex omnes populi (contenuta nel titolo "De iustitia et iure" del Digesto) ammette
esplicitamente che i comuni si diano degli statuti propri ed ammette implicitamente che in questi
statuti possano essere previste norme differenti da quelle di diritto comune-->ovviamente nel
Medioevo DIRITTO COMUNE=L'INTERPRETAZIONE DEI TESTI DI DIRITTO ROMANO
FATTA DALLA DOTTRINA-DALLA SCIENZA GIURIDICA (e non certo l'antico diritto romano
tout court).
-Gandino ci dice che la pratica delle paci e l'idea che la pace chiuda il processo (anche perchè per i
commentatori ed i glossatori del 12mo secolo era impensabile che il giudice potesse agire ex
officio) era propria dello ius commune, il quale infatti sanciva la possibilità di chiudere il processo
con un accordo tra le parti (mentre una cosa del genere non esisteva nell'antico diritto romano):
dunque una prassi di diritto comune che non era altro che la trasposizione sul pian formale della
logica della faida e della vendetta.
-NELLO IUS COMMUNE LA POSSIBILITÀ DI CHIUDERE DEFINITIVAMENTE IL
PROCESSO CON UN ACCORDO ERA UNA NORMA DI CARATTERE GENERALE; MA SE
POI UN PARTICOLARE STATUTO COMUNALE PONEVA UNA NORMA CHE PREVEDEVA
ESPRESSAMENTE UNA PENA DA APPLICARE A FRONTE DELLA COMMISSIONE DI UN
DETERMINATO REATO, ALLORA PREVALEVA QUEST'ULTIMA IN QUANTO UNA
NORMA SPECIALE PREVALE SEMPRE SU QUELLA GENERALE.
-rispetto al diritto del 13mo secolo, il diritto romano differiva perchè nell'Antica Roma non vi era
nemmeno la pratica di chiudere il processo con le paci; lo ius commune differiva perchè, nonostante
ci fosse la prassi di chiudere il processo con le paci, non c'era l'idea di inquisitio-->infatti il processo
rispondeva esclusivamente alla logica privastistica della vendetta, per cui era ben possibile chiudere
defintivamente un processo con un accordo tra le parti.Invece negli statuti del 13mo secolo si
parlava anche di inquistio=di giudici che possono anche procedere ex officio contro il colpevole in
virtù di un interesse pubblico