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Processi di riaggregazione e impatto sui partiti socialisti, l'industria e la finanza

Di questi processi di riaggregazione intorno ai vari governi fanno le spese per primi i partiti socialisti, ma anche il mondo dell'industria e della finanza, che pure in alcuni settori trasse dei vantaggi dall'entrata in guerra, anche se dovette allo stesso tempo sottomettersi durante il periodo della guerra a regole e controlli da parte dello Stato, sconosciuti fino a quel momento alla pratica del capitalismo e alle teorie del libero mercato. Si parlerà infatti da questo momento in poi di "capitalismo regolamentato" e di "economie di guerra" (forma particolare di conduzione dell'economia che era necessitato dallo sforzo bellico, ma che in alcuni casi rimase anche a dopo la fine della guerra).

La guerra in questa prospettiva è anche strumento di garanzia dell'ordine sociale, perché, evidentemente, quell'ascesa dei partiti socialisti nei vari paesi d'Europa, quel maggior protagonismo da parte delle masse operaie,

Viene costretto e limitato durante la guerra. Gli Stati si fanno la guerra durante la Prima guerra mondiale per espandere i propri territori e la propria sfera di interessi all'estero, e, contemporaneamente, impongono ai governi un regime di guerra in cui le classi superiori ribadiscono il loro comando su quelle inferiori.

Una cosa che colpì molto i contemporanei all'epoca fu la repentinità con cui l'Europa precipitò dalla pace alla guerra. Noi sappiamo che non fu così, non ci fu nulla di improvviso perché le tensioni che poi portarono allo scoppio della guerra erano ormai presenti da anni, se non da decenni, ma certi contemporanei vissero questo periodo in maniera differente, ossia vissero lo scoppio della guerra come un evento improvviso e imprevedibile.

Nel libro di Zweig "Il mondo di ieri", egli descrive il mondo prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, ossia il periodo della "Belle époque".

“Il mondo di ieri” si apre con l’immagine di una orchestrina che suona in uno dei tanti parchi di Vienna e, durante la mattina del 28 giugno 1914, con l’immagine di Zweig che sta passeggiando, arriva la notizia dell’attentato di Sarajevo. Si chiude improvvisamente un mondo e se ne apre un altro in un modo improvviso e repentino.

Un secondo libro molto importante riguardo questo tema è il libro di Clark intitolato “I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, in cui egli definisce “sonnambuli” la classe dirigente e l’opinione europea, che arrivano alla guerra senza rendersene conto. È un’immagine, quella della caduta repentina di una tragedia, abbastanza diffusa all’epoca, anche se non fu in realtà così. Il caso italiano è diverso anche da questo punto di vista: il fatto che l’Italia abbia dichiarato la propria neutralità all’inizio della guerra,

guerra, non riuscì a ottenere il sostegno necessario e si dimise. La decisione di entrare in guerra fu presa dal governo di Salandra, nonostante le forti opposizioni dei neutralisti. Durante il dibattito, i neutralisti sostennero la necessità di mantenere la neutralità dell'Italia, evitando così di coinvolgersi in un conflitto che non riguardava direttamente il paese. Al contrario, gli interventisti ritenevano che l'Italia dovesse sfruttare l'opportunità per ottenere vantaggi territoriali e politici. La posizione dei socialisti era particolarmente importante, poiché rappresentavano una parte significativa dell'opinione pubblica. Essi erano contrari alla guerra, in quanto la consideravano un conflitto tra potenze imperialiste che avrebbe portato solo morte e distruzione. I cattolici, invece, erano divisi tra neutralisti e interventisti, con una parte che sosteneva la neutralità e un'altra che appoggiava l'intervento. L'entrata in guerra dell'Italia avvenne nel maggio 1915, quando il governo di Salandra firmò il Trattato di Londra con la Triplice Intesa (Francia, Regno Unito e Russia). L'Italia si schierò quindi contro l'Impero austro-ungarico, entrando così nella prima guerra mondiale. L'opinione pubblica italiana rimase divisa per tutta la durata del conflitto, con una parte che appoggiava la guerra e un'altra che la condannava. La guerra ebbe un impatto significativo sulla società italiana, causando gravi perdite umane e economiche.guerra dell'Italia (Giolittinon era presidente del Consiglio nel momento dello scoppio della guerra, ma lo era stato fino a pochi mesiprima ed era dunque ben consapevole della debolezza dell'apparato politico, economico e militare italiano,che correvano il rischio di essere travolti dall'entrata in guerra dell'Italia), Giolitti tentò in tutti i modi accordidiplomatici per non entrare in guerra, ma nel momento in cui Salandra e Sonnino forzarono la mano nellegiornate del maggio 1915, diedero le dimissioni, e vennero rinviati in parlamento del re, Giolitti capì che dietroalla decisione di Salandra e Sonnino era l'approvazione del re (sono loro tre ad essere gli unici conoscitoridegli accordi che porteranno alla firma del "Patto di Londra"). Fu in quel momento che Giolitti si convinseche la sua posizione avrebbe corso il rischio di mettere a rischio la stessa monarchia e quindi anche lui, essendomonarchico, accettò.l’ingresso dell’Italia in guerra, che venne proclamata nella seduta del 20 maggio 1915 dalle Camere ed entrò in guerra il 24 maggio 1915. Nel frattempo, si erano mobilitate anche in Italia le piazze interventiste brulicanti di personaggi provenienti dalla sinistra (come era avvenuto anche in altri paesi europei): non si vide solo un personaggio come Cesare Battisti (deputato socialista di Trento a favore della guerra per motivi di carattere irredentista), ma anche Benito Mussolini, ex-direttore della rivista “Avanti!”, strenuo difensore della neutralità, ma che nel 1914 scrisse un articolo da direttore dell’ “Avanti” che segna il suo passaggio dal fronte neutralista al fronte interventista. Questo fu il motivo per cui Mussolini venne espulso dal partito socialista, portandolo poi a fondare un quotidiano chiamato “Popolo d’Italia” che per anni continuò a portare il sottotitolo “Un quotidiano

“socialista”. Scesero in piazza anche sindacalisti rivoluzionari come Filippo Corridoni e Alceste de Ambris, favorevoli all’intervento della guerra pensando che l’entrata in guerra avrebbe potuto scatenare una rivoluzione; oppure anche i cosiddetti “intervenisti democratici” come Salvemini, che ritenevano che la guerra fosse necessaria per abbattere gli imperi austriaco e tedesco che essi vedevano come la “culla della reazione in Europa”.

Il più famoso fra tutti per la sua capacità di mobilitazione e propaganda fu D’Annunzio, che fu nelle varie piazze di Italia, protagonista del “maggio radioso” e che guidò rivoluzioni sotto la casa di Giolitti a Roma.

La cosa più rilevante della guerra, e che fallì, fu il tentativo tedesco di sfondare, attraverso il piano Schlieffen, il fronte francese, fallendo nel ripetere la guerra lampo del 1870 (guerra franco-prussiana che aveva visto la vittoria della Prussia).

La guerra di sfondamento che i tedeschi avevano immaginato si trasformò in una guerra di trincea che durò cinque anni. La Prima guerra mondiale fu essenzialmente una guerra di logoramento e di trincea. Le perdite umane ammonteranno a circa 13 milioni conteggiando i soli militari, a cui poi bisogna anche aggiungere i feriti, i mutilati e i pazzi. Dal punto di vista politico la guerra si conclude con la dissoluzione di quattro imperi: l'impero russo crolla già nel corso della Prima guerra mondiale con la Rivoluzione russa che porta all'uscita della nuova Russia bolscevica dalla guerra con la pace separata di Brest-Litovsk del marzo 1918; l'impero tedesco crolla e si instaura la fragile repubblica di Weimar; si dissolve l'impero austro-ungarico e dalla sua dissoluzione nascono quattro stati indipendenti (Austria, Ungheria, Iugoslavia e Cecoslovacchia) e si dissolve quasi definitivamente l'impero ottomano, instaurando così una repubblica.Versailles (noi definiamo la pace con cui si conclude la Prima guerra mondiale come "pace di Versailles", anche se in realtà essa è l'insieme dei vari trattati firmati con le varie potenze europee sconfitte), i vincitori imposero ai vinti le proprie condizioni, pretendendo però che ammettessero la propria responsabilità di aggressori. I tedeschi furono costretti ad accettare, spinti dalla fame e dalla minaccia di una ripresa delle ostilità. La pace di Versailles fu una pace durissima che avrà negli anni seguenti drammatiche ripercussioni sull'opinione pubblica tedesca (crisi economica degli anni 20) e creerà nell'opinione pubblica tedesca la sensazione di essere stati costretti ad una pace ingiusta, motivo non ultimo dell'ascesa al potere di Hitler, che fonderà la propria propaganda sul rifiuto della pace. Quando nel giungo del 1940 Hitler attaccherà Parigi, l'armistizio che la Franciaverrà obbligata a firmare nel 1940, sarà firmato sullo stesso vagone ferroviario in cui i generali tedeschi nel 1918 avevano firmato la pace. I frutti avvelenati di questa pace alla Germania erano stati previsti già nel 1919 da un osservatore inglese chiamato John Maynard Keynes, presente alle trattative di pace di Versailles come esperto economico del governo inglese, e che scrisse un libro intitolato "Le conseguenze economiche della pace". La pace fu giudicata esageratamente punitiva nei confronti della Germania, che perdeva la Sazia, la Lorena e alcune parti delle regioni più ricche di giacimenti minerari di ferro e carbone, che vedeva alla ricostituzione della Polonia e la smilitarizzazione della Renania, e che soprattutto fu obbligata al pagamento di enormi danni di guerra che vennero quantificati nella cifra di quasi due anni di prodotto interno lordo tedesco. A Versailles anche i vincitori mostrarono dei contrasti rispetto alle decisioni da

prendere: gli inglesi, che erano i principali partner commerciali della Germania, si videro favorevoli ad una politica più equilibrata, mentre la Francia si batté per avere una rivincita a tutti i costi sulla Germania. Questo contrasto vide il prevalere della Francia.

Anche l'Italia non uscì soddisfatta delle decisioni di Versailles. L'Italia, uno dei paesi vincitori della guerra perché alleato con la Triplice Intesa (alleanza che nacque dopo la firma del "Patto di Londra"), si vide trattata quasi come una potenza sconfitta. Essa perse la posizione in Dalmazia e l'acquisizione di Fiume, due volontà quelle italiane che furono negate dall'altro protagonista della pace di Versailles, ossia il presidente americano Wilson, che nell'opinione pubblica italiana si trasformò da un idolo delle folle applaudenti (applaudito dalle masse al suo passaggio per Milano e Genova) ad un traditore, accusato dall'opinione.

pubblica italiana di aver negato all'Italia la città di Fiume, che verrà poi occupata dalle truppe di D'Annunzio nel settembre 1919, aprendo una crisi pericolosissima chiusa solo nel dicembre del 1920, quella che D'Annunzio chiamerà il "Natale di sangue del 1920" che creò una ferita.

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Publisher
A.A. 2020-2021
6 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher meowbinie di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Scirocco Giovanni.