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IL COORDINAMENTO A LIVELLO EUROPEO
I cinque criteri di ammissione all’Unione monetaria, come stabiliti dai Trattati
europei (Maastricht, 1992; Amsterdam, 1997):
Tasso di inflazione non superiore a 1,5 punti al tasso medio dei
• tre paesi più virtuosi Si tratta di un «test» per verificare il reale
interesse di un Paese a rinunciare a tensioni inflazionistiche. In alcuni
Paesi ciò ha creato tensioni sul fronte della lotta alla disoccupazione.
Tasso di interesse a lungo termine non superiore di due punti
• rispetto alla media osservata nei tre Paesi con la minore
inflazione.
Si tratta di un criterio che avrebbe dovuto evitare, nel periodo precedente alla
formazione dell’Unione e alla fissazione del tasso di cambio, spostamenti 38
repentini di investimenti e capitali verso i Paesi con tassi di interesse più
elevati (operazioni di arbitraggio).
Tasso di cambio che per almeno due anni non abbia subito
• oscillazioni superiori a quelle previste dall’accordo di cambio
dello SME (assenza di svalutazioni negli ultimi due anni). Si tratta
di un requisito contro l’incentivo a svalutazioni strategiche, per entrare
nell’unione con un tasso di cambio troppo favorevole (il che avrebbe reso
il Paese troppo competitivo rispetto agli altri).
Un disavanzo, definito come Indebitamento netto delle AP, non
• superiore al 3% del Pil
Un rapporto tra debito pubblico/Pil inferiore al 60%.
•
Si tratta anche in questo caso di due «test» per verificare il reale interesse di
un Paese a rinunciare a tensioni inflazionistiche. Si noti che qualora il requisito
del debito fosse stato superiore al 60%, esso sarebbe dovuto essere ridotto “in
misura sufficiente” ad avvicinarsi al valore del 60% “a un ritmo adeguato”
...il trattato di Amsterdam spinge al saldo in pareggio, che comporta nel lungo
periodo un rapporto debito Pil pari a zero, eccessivamente rigorista rispetto
alla regola del 60%.
Perché il 60%?
Ragioni non teoriche, ma pragmatiche. Era il valore medio dei paesi europei ai
tempi della stesura del Trattato e molto vicino a quello tedesco.
Perché il 3%?
Ancora, ragioni non teoriche, ma pragmatiche. Era il valore medio delle spese
di investimenti pubblici su Pil nei paesi della comunità
C’è coerenza??
I correttivi di Amsterdam: il Patto di Stabilità e Crescita
1. Stipulato nel giugno del 1997, integra e corregge i contenuti del Trattato di
Maastricht
2. I paesi si impegnano a:
- rispettare l’obiettivo di una situazione di bilancio a medio-termine comportante
un saldo vicino al pareggio o positivo
- adottare le misure correttive del bilancio che ritengono necessarie per
conseguire gli obiettivi dei programmi di stabilità o convergenza
Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC): Ragioni
1.Strumento addizionale di protezione della BCE da pressioni a soccorrere
paesi in difficoltà con conseguenti pressioni inflazionistiche.
2.Ulteriore ragioni di prudenza verso le tendenze alla dilatazione dei disavanzi
pubblici.
3.Internalizzare gli effetti sui tassi di interesse derivanti da politiche nazionali
poco caute.
Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC): componenti: 39
1.Preventiva: ogni stato definisce un programma triennale di stabilità (della
finanza pubblica), sottoposto annualmente al giudizio della Commissione
Europa.
2.Repressiva: il deficit di uno stato non può oltrepassare la soglia del 3% su
PIL, se non in casi eccezionali, pena l’apertura di una procedura per deficit
eccessivo (che può arrivare fino a sanzioni finanziarie)
Ulteriori interventi:
1.2005: a seguito dello “sforamento” di Francia e Germania
2.Post 2008: a causa dell’aumento quasi generalizzato dei deficit dei Paesi
membri
Le tre iniziative più recenti:
1.Six-pack (2011): rafforzamento della sorveglianza di bilancio; sanzioni
anticipate nel caso di scostamento dall’Obiettivo di Medio Termine (OMT);
sorveglianza specifica sull’evoluzione delle spese pubbliche; una nuova
procedura per il rientro del debito; fissazione di standard per le istituzioni
finanziarie nazionali; creazione di una nuova procedura di prevenzione e
correzione degli squilibri eccessivi
2.Trattato sulla Stabilità, il coordinamento e la Governance (2012): l’obbligo di
rendere costituzionale l’obiettivo del rispetto degli equilibri di bilancio
3.Two-pack (2012): procedure di controllo preventivo dei bilanci dei Paesi
membri (semestre europeo)
Le regole attuali possono esse così sintetizzate:
1. I vincoli sui saldi e sulla spesa
2. I vincoli sul rapporto debito/PIL 40
Lez.5 – La teoria del debito pubblico, il debito pubblico in Italia
Il debito pubblico è una variabile di stock, pari all’accumulo dei saldi di bilancio
(flussi) di uno Stato, dalla sua formazione, al momento attuale. È costituito sia
da moneta che da titoli obbligazionari.
Si parla di peso del debito pubblico quando si fa riferimento alla spesa
per interessi passivi che lo Stato deve pagare ai sottoscrittori del debito
pubblico (in Italia circa 70 miliardi di euro, il 5% del PIL). È importante
occuparsi di debito pubblico elevato perché se è elevato:
- esso aumenta la spesa per interessi e quindi la pressione fiscale per
finanziarla: più è elevato il debito pubblico maggiore è la quantità di risorse
pubbliche che devono essere dirottate dalla spesa corrente al finanziamento
degli interessi;
- possono salire i tassi di interesse (crowding out) ovvero se si alza il debito
pubblico, aumenta il rischio che il paese non sappia finanziare questo debito
pubblico, aumentano quindi i tassi di interesse richiesti dai sottoscrittori dei
titoli di debito pubblico e aumentano anche i tassi di interesse richiesti dal
sistema bancario ai privati.
- possono crearsi situazioni di insostenibilità del debito e manifestarsi crisi
finanziarie. 41
Da che cosa è costituito il debito pubblico? E si tratta di una misura corretta?
Il valore del debito pubblico corrisponde al valore nominale di tutte le passività
lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche verso il settore privato
(residenti esteri e nazionali, banche, famiglie, imprese…). È costituito da
biglietti, titoli, prestiti, ecc.
Questa è la definizione ufficiale e che è usata nei confronti nazionali, ma ci
sono almeno due aspetti critici.
È più corretto guardare al debito lordo oppure a quello al netto di tutte le
- attività finanziarie possedute dal settore pubblico?
È vero che l’Italia ha uno stock di debito pubblico che vale il 130% del PIL ma
secondo Bankitalia le AAPP (Aziende delle Amministrazioni Politiche Pubbliche)
italiane possiedono tra azioni, obbligazioni, crediti, etc circa 300 mld di attività
finanziarie. Ci si chiede dunque se sia giusto guardare al lordo o considerare
anche la ricchezza di un paese. Si usa il debito lordo e Non si usa il netto
perché non esiste una misura uniforme tra Paesi e perché alcune di queste
risorse sono dubbie in quanto impiegate a fronte di impegni futuri, ad es. le
pensioni e comunque, è il debito lordo che deve essere rifinanziato. Quando si
misura il debito pubblico di un paese stiamo osservando quindi una misura più
elevata di quella corretta.
Nel debito pubblico non dovremmo considerare anche gli impegni non
- finanziati che il settore pubblico ha preso nei confronti del privato (debito
implicito)?
Per esempio, il nostro sistema pensionistico si basa su una promessa di
pagamento da parte dello Stato nei confronti dei lavoratori che stanno
42
finanziando le pensioni in essere, si parla a questo proposito di “debito
pensionistico implicito” ovvero la somma di tutte queste promesse che lo Stato
fa deve essere poi finanziata, naturalmente non è contabilizzata all’interno di
un bilancio perché questo debito non è ancora emerso; quindi ci si chiede se
bisogna tener conto di questi debito o no. Naturalmente si tratta di stime che
dipendono da assunzioni su crescita, invecchiamento della popolazione,
domanda di servizi, tasso di sconto ma sono comunque utili per capire la
situazione. Un altro elemento di cui tenere conto è il debito (moltiplicato per il
relativo rischio) delle istituzioni finanziarie private visto che in caso di default
lo Stato dovrebbe comunque intervenire per salvarle. Si tratta in questo caso
di istituzioni too big to fail. Ci si chiede dunque se il debito pubblico dovrebbe
tener conto anche del fatto che se le banche falliscono, lo Stato comunque
deve intervenire.
Perché esiste il debito pubblico? 4 motivi:
Funzione di stabilizzazione dell’economia:
1. legata all’economia
keynesiana (ad es. modello IS-LM) pone l’accento sul ruolo dello
strumento fiscale nell’influenzare il livello dell’attività economica e/o dei
prezzi. Dunque l’impostazione keynesiana sostiene che se l’attività
economica va male si possa aumentare la spesa pubblica perché questa
sostiene il livello dell’attività economica e dell’occupazione; quando
invece le cose vanno male, per rispondere alle fluttuazioni del ciclo
economico si può utilizzare lo strumento del deficit che dovrebbe poi
ripagarsi da solo nelle fasi di espansione.
Redistribuzione degli oneri di spese pubbliche tra diverse generazioni:
2. finanziare alcune spese che non servono solo alla generazione corrente
ma servono anche alle generazioni future; il debito pubblico ha quindi la
particolarità di essere ripagato anche dalle generazioni future. Quindi se
il beneficio di una spesa finanziata con debito piuttosto che con imposte,
oggi ricade anche sulle generazioni future, attraverso il debito pubblico,
anche queste generazioni future concorrono in qualche modo a
finanziare quella spesa. È una tesi intuitiva ma anche controversa come
si vedrà poi con l’analisi del teorema dell’equivalenza ricardiana. 43
Realizzazione di una distribuzione ottimale delle aliquote fiscali (tax
3. smoothing): si tratta di un’idea proposta da Barro nel 1979 all’interno
della teoria della tassazione ottimale, per cui la tassazione ottimale, una
volta trovata, prevede una costanza delle aliquote fiscali costante nel
tempo per evitare distorsioni prodotte dalle imposte. Questo massimizza
l’utilità attesa degli individui perché se le aliquote sono costanti il rischio
che varino è minimizzato: non si fanno variare le aliquote nel tempo se,
in caso di spese straordinarie, si può ricorrere ad un’altra forma di
entrata ovvero al debito pubblico. Quindi il debito serve per la necessità
di non intervenire in maniera troppo frequente sul livel