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La storia dei Paesi Bassi e la giurisprudenza olandese
Nei Paesi Bassi il culto ufficiale è quello protestante calvinista, la riforma produce anche un nuovo Stato, ossia i Paesi Bassi. Il potere secolare è il potere delle sette province unite dei Paesi Bassi e si occupa dell'istruzione. Il principe degli umanisti, Erasmo, era di Rotterdam.
Il XVII secolo è il secolo della giurisprudenza elegante olandese, ossia di una giurisprudenza che porta a maturità la tradizione umanistica; i giuristi olandesi guardano alla tradizione del diritto comune, sia nelle sue forme classiche sia in quelle umanistiche, ma guardano anche ai rapporti con l'Inghilterra, con cui hanno una comune ostilità per Spagna e Asburgo.
Di fronte a questo grande potere degli Asburgo, almeno sulla carta, la resistenza è molto difficile e necessariamente coloro che si rendono indipendenti dagli Asburgo, come Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, hanno una comunanza di interessi.
La giurisprudenza olandese è rinomata in Olanda.
Vengono giuristi più importanti dell'occidente. Globalizzazione della tradizione giuridica europea al di fuori dell'Europa stessa; ciò che era nato sul continente europeo, si diffonde al di fuori del continente a seguito di imprese coloniali colonizzando nuovi territori, gli europei portano con sé il loro diritto.
C'è una diffusione della tradizione giuridica occidentale nel mondo e questo vale anche per i Paesi Bassi, di cui l'Olanda è la provincia più importante.
Il Sudafrica è originariamente sede di colonizzazione Olandese si porta il diritto nella forma che ha assunto in Olanda nel XVII secolo.
Il diritto comune arriva in queste terre, quindi, in queste forme specifiche.
Gran parte della tradizione giuridica olandese è quella che poi confluisce nell'opera di Ugo Grozio; sarebbe difficile sopravvalutare l'importanza della sua opera, importanza che travalica di gran lunga l'esperienza.
giuridica dei Paesi Bassi e la diffusione di questa esperienza nelle colonie olandesi, che può essere compresa soltanto ponendosi dal punto di vista della tradizione giuridica occidentale.
Ugo Grozio è un giurista umanista quindi, da un lato, possiede molto bene la tradizione giuridica, anche quella bartolista, ma è pienamente consapevole delle novità umanistiche; unisce questi due aspetti in un prodotto nuovo e originale; è un giurista protestante calvinista olandese ma, poiché la sua fazione risulterà perdente egli dovrà fuggire rocambolescamente all'interno di un baule (baule di Grozio ad Amsterdam) e vivrà da esule in Francia.
Scrive un' "introduzione alla giurisprudenza olandese" scrive di diritto in lingua volgare.
Grozio è soprattutto l'autore del De iure belli ac pacis libri tres del 1625, opera che la tradizione considera l'atto fondativo della scienza giuridica.
internazionalistica; quest'opera è determinante, pur non essendo completamente nuova. Già dal titolo comprendiamo che, per Grozio, ha molta importanza l'opera di Alberico Gentili "de iure belli libri tres" i titoli si corrispondono quasi esattamente; Grozio aggiunge però, volutamente, nel titolo "ac pacis" non si tratta semplicemente di un tentativo per distinguersi dall'opera di Gentili.
Nel 1576 Jean Bodin, che per primo ha dato una definizione in senso moderno di "sovranità", pubblica un'opera francese chiamata "i sei libri dello stato". Nel 1586 Bodin pubblica la tradizione in latino di questo testo "de republica ibri sex".
Qualche anno dopo, Pierre Grégoire, detto il Tolosano, pubblica un'opera che riprende molte delle cose dette da Bodin, le sottopone a critica e revisione, e che risulta una risposta all'opera di Bodin l'opera si
chiama “de republica libri sex et viginti” il titoloà àriprende quello di Bodin ma pretende di presentarsi come una revisione molto più ampia,al punto di occupare non 6 libri ma 26 aggiunta artificiosa; il ripartimento in 26 libri èàuna scelta fatta per poter formulare il titolo in quel modo, non per i contenuti.Non è così nel caso di Grozio, non aggiunge “ac pacis” in modo pretestuoso ma è molto dipiù; l’opera di Grozio, per quanto certamente sia debitrice a quella di Gentili, si presentafin da subito, come un’opera di respiro molto ampio.Lo scopo di Gentili era di costruire una scienza del diritto delle genti bellico, del diritto dellaguerra nelle relazioni tra popoli; senza dubbio, Gentili si pone, ad esempio, se il diritto siaopinione o se sia altro, se esista un giusto oggettivo oppure no.L’opera di Grozio è preceduta, in modo significativo, da una lunghissima
introduzione àsono i cosiddetti Prolegomena ossia “le cose che devono essere dette prima” in questaàintroduzione affronta una serie di questioni che riguardano l diritto in generale, e inparticolare il diritto naturale si recupera quel problema del diritto naturale che laàtradizione giuridica aveva sempre tenuto presente sia distinzione tra esseri dotati di vitaàvegetativa ed esseri dotati di vita superiore il diritto naturale non riguarda i vegetali maègli animali; il diritto naturale riguarda tutti gli animalia.L’umanità è accumunata da un diritto, che è il diritto delle genti, che è assai più ricco deldiritto naturale.Il diritto naturale, per i giuristi medievali, non è prodotto di una ragione astratta erazionale; c’è fiducia nel fatto che l’umanità intera è accumunata da uno stesso diritto àc’è, dunque, un complesso comune di diritti edi doveri. La tradizione umanistica torna a riflettere su questi testi adottando una prospettiva sempre più tipica dei canonisti; questo modo di pensare il diritto naturale passa nell'opera di Ugo Grozio. Sia nella tradizione cattolica sia in quella protestante, parlando di diritto naturale, ci si riferisce al diritto riguardante tutti gli uomini, non gli animali. C'è quindi una comunità formata da Stati sovrani indipendenti; Gentili non vuole conferire a questa grande premessa uno status diverso, Grozio invece sì. Le soluzioni che propone meritano un'autonomia. La prima questione è quella relativa alla natura stessa del diritto. I giuristi del medioevo non avevano dubitato della natura del diritto perché avevano trovato spiegazioni su di essa nel Corpus Iuris Civilis; nella loro interpretazione di quei testi, avevano impiegato i loro strumenti e avevano coinvolto la loro cultura e il modo di pensare dei loro tempi il.problema del fondamento del diritto di per sé era già risolto dai testi giustinianei. Dal punto di vista della tradizione medievale, il diritto deriva dalla giustizia dal punto di vista sostanziale ed esistenziale il diritto è un'arte/una scienza pratica che ha come fine il buono e l'equo. I giuristi medievali erano consapevoli della grande divisione tra diritto pubblico e privato, dell'oggetto del diritto pubblico, della tripartizione del diritto privato e degli istituti di quest'ultimo. Nel diritto naturale abbiamo l'unione tra uomo e donna, nel diritto delle genti abbiamo i modi diversi in cui questo avviene nei vari popoli; nel diritto civile abbiamo il matrimonium stesso istituto declinato a seconda del diritto considerato. Anche nel diritto canonico troviamo indubitabile l'esistenza del diritto, il suo carattere giusto e i suoi contenuti. Non si poteva, dunque, dubitare del fondamento del diritto; ciòche poteva essere dubbioe opinabile erano gli aspetti più specifici e dettagliati non c'era dubbio che il furto fosse creato ma ciò che è rimesso all'arbitrio è come eventualmente punire il furto. La seconda modernità, come direbbe Berman, è anche il momento in cui si fanno i conti con la tradizione; in fin dei conti, l'epistola di Valla del 1433 è un attacco diretto alla tradizione che quindi perde autorità in quanto viene messa in dubbio. Per i giuristi medievali, invece, l'autorità dei testi giustinianei, includeva anche il modo in cui essi erano costruiti. I giuristi del XVI secolo si sentono liberi di riorganizzare i testi, di dare un nuovo ordine; la tradizione non ha più nessuna autorità quindi anche i testi contenuti nella tradizione non hanno più molto valore, non si può più accettare semplicemente l'esistenza del diritto. La disputa delle arti, ossiaLa disputa sul diritto e per il diritto ci mostra che è il diritto stesso a essere posto in discussione. Quando le fonti giustinianee dicono che il diritto può cambiare a seconda del popolo, in realtà offrono un argomento per chi sostiene che il diritto non sia altro che opinione, frutto dell'arbitrio; il diritto è opinione, quindi può essere in un modo o nel modo opposto. L'opinione è manifestazione di una possibile idea che però potrebbe essere anche completamente diversa. Un diritto fondato sull'opinione non può però reggere in questo caso; perché lo Stato dovrebbe decidere di assoggettarsi a una regola che potrebbe favorire un altro Stato? Per confutare questa impostazione soggettiva e quindi scettica, Grozio identifica i suoi avversari in 2 eroi eponimi: Nel poeta latino Orazio, considerato un epicureo, quindi esponente di una corrente filosofica che individua il fondamento dell'uomo nel piacere.
Nel vantaggio che ciascun uomo può trarre da un'azione o da un'altra assolutamente opinabile.
Nel filosofo Carneade, esponente dell'accademia ossia la scuola filosofica che ha origine nell'insegnamento di Platone, da cui però si discosta parecchio, infatti Carneade è un oscettico. Carneade è famoso perché si era recato a Roma come ambasciatore della Grecia e aveva impressionato i Romani che lo cacciarono, sotto suggerimento di Catone.
Carneade un giorno fece un discorso affascinante sull'importanza della giustizia e il giorno successivo fece un discorso altrettanto convincente dal contenuto completamente opposto; lo scopo era di dimostrare che si poteva argomentare nei lati opposti.
Quaglioni, a proposito di Carneade, fece un'osservazione interessante: Carneade è citato nei promessi sposi; la sera in cui Renzo e Lucia hanno organizzato il loro matrimonio improvvisato.