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LA NASCITA DELLA TRADIZIONE
GIURIDICA OCCIDENTALE
IL DICTATUS PAPAE E LA RIVOLUZIONE GREGORIANA
Il Dictatus Papae è un testo del 1075; l’autore è Papa Gregorio VII, iniziatore di quella che la
traduzione storiografica chiama —in modo forse riduttitvo— riforma gregoriana. Il concetto di riforma
implica, infatti, in qualche modo la rimessa in forma, ossia il ritorno ad una forma originaria che si
vuole autentica. La Riforma Gregoriana è allora ritorno ad una situazione precedente autentica, dalle
cose che erano degenerate. Il testo sotto riportato si inserisce in una tradizione che è quella che
abbiamo visto ma che ha una portata, seguendo Berman, rivoluzionaria a partire dalla prima
proposizione. Il Dictatus consta di ventisette proposizioni molto brevi (talune di mezza riga, altre di due
o tre righe). Si tratta fisicamente di un foglio collocato nel registro delle lettere di Gregorio VII, nel
quale trovano posto anche documenti dallo stesso nome, ma che se ne differenziano per la mancanza di
questa forma peculiare. Quale fosse lo scopo preciso di queste proposizioni non lo sappiamo:
fisicamente si presenta come un foglio di pergamena, di pelle di pecora (o di maiale), conciato in
maniera tale da costituire un supporto robusto di scrittura. Nel testo sotto riportato si intravedono delle
righe verticali che segnano dei margini per guidare il compilatore. Il tipo di scrittura varia nel corso
dei secoli. Il testo si scrive in forme più o meno abbreviate perché occorre risparmiare tempo e spazio.
Si noti l’impiego —invero tradizionale— di due inchiostri diversi, rosso e nero: la rubrica (da ruber)
ovviamente rossa e il testo nero. Si noti che Q-d sta per “quod”. Le abbreviazioni usate sono molte, ma
richiedono di essere già conosciute dal lettore.
La prima delle ventisette proposizioni non ha questa posizione a caso; il senso è invece molto forte:
dire che la Chiesa è fondata soltanto da Dio significa affermare che essa non è fondata
dall'Imperatore! La legittimità della chiesa romana, per meglio dire, non dipende
dall'Imperatore ma da Dio e soltanto da Dio. Conseguentemente, la Chiesa romana può ricevere
ordini solo da Dio e non dall’Imperatore. Ma —si noti— un’autorità che derivi da Dio può dare
ordini a tutti. Si vede che siamo davanti ad un programma molto diverso dalla tradizione che
abbiamo visto sopra, dove l’aspetto religioso stava nel diritto secolare che dipendeva
dall’Imperatore. In questo caso vi è invece un vescovo che pretende di essere fuori da quel sistema
giuridico e di essere invece soggetto soltanto (senza mediazioni) all’autorità di Dio.
Se soltanto il Pontifex romano è universale a buon diritto, allora l’Imperatore, dai tempi del tardo
impero «dominus mundi» perde la sua posizione; nulla invero dice il testo dell’Imperatore ma si intende
questo. Gregorio, tuttavia, si esprime in modo volutamente generico. Nella III si stabilisce una
giurisdizione (si noti l’importanza del termine) del Papa su tutti i vescovi, di cui egli stesso è giudice.
Nella IV si dice che se in un concilio manca il Papa, il quale mandi il suo legato questi dovrà presiedere
il concilio, nonostante egli sia di grado inferiore ai vescovi stessi. L’organizzazione ecclesiastica che si va
delineando è essenzialmente gerarchica, dove il potere spetta al Papa che lo esercita direttamente o
attraverso suoi legati. La VIII, che suona strana, si fonda in realtà su di un documento molto
celebre, assolutamente falso, ossia la Donazione di Costantino , che poi Lorenzo Valla nel XV
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secolo scoprirà non essere autentico (e anzi scritto nell’VIII secolo a Roma per contrastare le pretese di
Carlo Magno e dell’Imperatore d’Oriente). In realtà la Donazione fu scritta nell'VIII secolo per
contrastare le pretese di Carlo Magno da una parte e dell'Imperatore d'Oriente dall'altra. La Donazione
di Costantino era oggetto di discussione già dei giuristi medievali, secondo la maggior parte dei quali
Costantino (a prescindere dalla autenticità del documento) non era legittimato a fare una tale
donazione.
Nel XII viene detto che non soltanto il Papa governi sulla Chiesa ma addirittura che possa deporre gli
imperatori. Il Papa è giudice in ultima istanza, ma nessuno può riformare le sue sentenze. Se
qualcuno si appella al Papa ogni giudizio deve essere sospeso, essendo il Papa l’unico giudice (XX):
questa formula è basata sulla tradizione romana, secondo cui chi si appellava a Cesare, da Cesare doveva
essere giudicato. Il Papa si sta arrogando un potere tradizionalmente imperiale. La rivendicazione di cui
alla XXII verrà poi ripresa e resa vincolante nel 1870, con il dogma dell’infallibilità. L’esercizio del
potere del Papa come si vede dalla XXV prescinde da un concilio: la giurisdizione appartiene al Papa in
quanto pontefice e non in quanto membro di un collegio, per quanto eminente. Per essere cristiani
bisogna essere d’accordo con le dottrine professate dal Papa. L’ultima pretesa concerne in maniera
diretta anche i rapporti feudali, fondati sull’impegno più vincolante che il diritto del tempo conosca
I. Che la chiesa romana sia stata fondata solo dal Signore
II. Che soltanto il Pontefice romano (il Papa) sia detto a buon diritto universale
III. Che soltanto lui possa deporre o restituire in carica i vescovi
IV. Che il suo legato (luogotenente) presieda il concilio a tutti i vescovi, anche
se sarà di grado inferiore e possa pronunziare sentenze di deposizione contro
di loro.
V e VI omesse
VII. Che a lui solo sia lecito fare nuove leggi secondo la necessità del tempo,
mettere assieme nuove circoscrizioni ecclesiastiche (nova plebes), da un
gruppo di canonici fare un’abbazia e viceversa, dividere una diocesi ricca e
unire diocesi povere.
VIII. Che egli solo possa usare le insegne imperiali
IX. Che tutti i principi bacino soltanto i piedi del Papa.
XII. Che ad egli sia lecito deporre l'imperatore.
XVI. CHE NESSUN SINODO possa essere chiamato generale senza il suo
consenso.
XVII. Che nessun capitolo in nessun libro sia considerato canonico senza la
sua autorità.
XVIII. Che la sua sentenza non debba essere revocata da nessuno, mentre
lui possa riformare le sentenze di tutti.
XIX. Che lui non debba essere giudicato da nessuno.
XX. Che nessuno osi condannare chi abbia presentato appello alla sede
apostolica.
XXI. Che le cause maggiori di qualsiasi chiesa debbano essere riportate a lui.
XXII. Che la Chiesa romana non errò mai e su testimonianza della Scrittura
non errerà in perpetuo.
XXV. Che lui possa deporre o riconciliare i vescovi senza un’assemblea
conciliare.
XXVI. Che non si ritenga Cattolico chi non concordi con la Chiesa romana.
XXVII. Che possa sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà prestato agli
iniqui.
Secondo una tradizione Costantino affetto dalla lebbra e guarito miracolosamente dal Papa
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Silvestro avrebbe deciso di ritirarsi in Oriente, trasferendo la capitale a Costantinopoli lasciando al
Papa il dominio su Roma, sull'Italia e su tutto l’Occidente e l’uso delle insegne imperiali.
Il Papa rivendica una separazione tra la giurisdizione papale e quella imperiale. Ma queste due
giurisdizioni non sono sullo stesso piano, avendo il Pontefice un ruolo di primazia. Il Papa non
soltanto rivendica un ruolo di primazia all’interno della Chiesa ma anche al di fuori e al confronto
dell'Imperatore. Si tratta, invero, di un programma d’azione, di una rivendicazione nuova rispetto
alla tradizione e che causa, in fondo, una formidabile rottura. Infatti, prendendo sul serio queste
proposizioni si deve negare una parte consistente della commistione tra spirituale e secolare: ora
sorge un’altra autorità che rivendica a sé come minimo una parte di questo potere e ad ogni modo si
contrappone all'altra. Inevitabilmente un simile programma, condotto e messo in atto, producesse come
reazione la rottura con l’Imperatore.
Infatti, Papa Gregorio VII si oppose ad Enrico IV, che reagì proclamandolo deposto da lui e da un
sinodo di vescovi tedeschi da lui nominati e convocati nel più puro stile costantiniano. Il Papa reagì con
un duplice strumento: da un lato —tradizionalmente— irroga una scomunica nei confronti
dell'imperatore; inoltre —in modo innovativo e basandosi sulla XXVII del Dictatus— scioglie i
sudditi dell'imperatore dal giuramento di fedeltà .
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Siamo di fronte non ad una semplice riforma: la Chiesa non è rimodellata su un’immagine precedente,
giacché una Chiesa così non era mai esistita. Sicuramente dietro il testo sopra riportato ci sono dei
principi teologici risalenti, ma c’è anche molto di nuovo: si produce un cambiamento molto profondo,
quasi totale. Si fa in modo allora che il quadro cambi rapidamente, in modo molto violento. Tuttavia,
questo cambiamento deve anche essere qualcosa che dura nel tempo; tanto è vero oggi noi
consideriamo l’aspetto secolare e spirituale dell'uomo come distinti e ci risentiremmo se qualcuno
volesse governare entrambi gli aspetti.
LA RIVOLUZIONE PAPALE
Si è davanti a quella che Berman chiama rivoluzione papale indicando un cambiamento rapido,
violento, totale e duraturo: certamente il risultato sarà un compromesso ma dallo scontro nasceranno
delle acquisizioni permanenti. Secondo la tesi di Berman questo è il momento fondativo, di nascita
della tradizione giuridica occidentale il momento in cui spirituale e secolare si separano e
rivendicano ciascuno in modo diverso la propria autonomia rendendo possibile per ciascun uomo
vivere in questo stato di separazione e di tensione fra i due aspetti; c’è una situazione di libertà da un
lato e di difficoltà dall’altro (non sempre, infatti, è facile regolare i rapporti tra questi due aspetti): la
libertà e la responsabilità d’altronde sono due aspetti della stessa realtà. Da questo momento, la
tradizione giuridica che ne nasce arriva fino ai giorni nostri, con precisi caratteri che la distinguono
—almeno in parte— da tradizioni precedenti e da altre tradizioni giuridiche, che pure esistono
contemporaneamente. Parlare di «tradizione» non implica parlare di immobilità: significa piuttosto
coniugare continuità e mutamento. In un certo qual modo, sembrerebbe allora che tradizione
coniughi due aspetti opposti: se è, infatti, vero che le cose pur restando sé stesse sono sovente oggetto
di mutamento, lo si può dire anche della tradizione giuridica.
Berman individua alcune caratteristiche di questa tradizione giuridica occidentale :
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1) una distinzione netta tra istituti