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L’atteggiamento di Mussolini nei confronti del partito fu sempre coerente nel negargli qualsiasi

forma di parità con lo Stato, e il duce assiri perentoriamente che il partito nazionale fascista era

subordinato allo Stato. Un atteggiamento che fu condiviso e sostenuto dai fascisti moderati, dei

fiancheggiatori e dai nazionalisti, confluiti nel partito all’inizi del 1923. Grazie all’opera di Luigi

Federzoni come ministro degli interni i nazionalisti ostacolarono la politica del partito. I nazionalisti

nei loro interventi accentuarono un’interpretazione del fascismo come erede spirituale del

movimento nazionalista ed esaltare uno gli aspetti del fascismo come fenomeno nazionale

rispetto a quelli di partito. Sostenevano che il fascismo dopo essere diventato un regime che

stava di esistere come partito perché regime fascista asseriva la propria incompatibilità con

l’esistenza dei partiti. I nazionalisti non accettarono mai con entusiasmo la presenza del partito

nazionale fascista. Enrico Corradini dirà che bisogna parlare meno di fascismo e più di Italia.

Giovanni Gentile dirà che la costituzionalizzazione del gran consiglio poneva praticamente le

condizioni per la liquidazione del partito e la fine della discriminazione tra fascisti e antifascisti

dell’unanime concordia degli italiani realizzata dallo Stato fascista. Del nuovo Stato vi erano ormai

soltanto italiani non più divisi in fautori della rivoluzione e imparati del vecchio regime, ma tutti

cittadini devoti all’autorità dello Stato e cooperanti per la grandezza della nazione.

Tutti i nazionalisti finivano per proporre la dissoluzione del fascismo in un patriottismo statalista

autoritario, in quanto ritenevano esaurita la funzione storica del fascismo come movimento e

partito politico.

Mussolini anche se nutriva per il suo partito un sentimento misto di diffidenza e talvolta persino di

disprezzo, sapeva che legame con il partito era indissolubile perché l’origine e la legittimità del

suo potere rivoluzionario derivavano dal partito perciò egli respinse l’ipotesi di uno scioglimento o

di un’auto soppressione del partito come dichiarò nel 1929: “il partito nazionale fascista, che ha

fatto la rivoluzione. Di pleonastico non c’è che la loro meschina per figlia o la loro insufficienza

mentale non si tratta di sapere se il partito debba esistere o meno perché se il partito non ci fosse

io inventerei e lo inventerei così come è”.

L’opera di sottomissione del partito richiede una faticosa risistemazione interna del partito

attraverso una massiccia revisione degli iscritti e dei quadri locali. Dopo la marcia su Roma il

partito nazionale fascista fiera ingrossate rapidamente con ogni sorta di arrivisti e opportunisti sul

carro del vincitore. All’inizio del 1927 il reclutamento di nuovi scritti sarebbe avvenuto

esclusivamente attraverso le organizzazioni giovanili del partito, con il rito annuale dell’allievo

fascista. Nonostante ciò il partito continua a crescere con l’afflusso delle nuove leve giovanili. Il

segretario del partito proseguirono le pura azione ed espulsero gente suscitando le proteste dello

stesso duce desolato di vedere le sue falangi tanto falci date. Probabilmente furono colpiti

principalmente, insieme con opportunisti profittatori e pregiudicati, molti fascisti dei primi anni che

si ribellavano al corso normalizzatori. Fino al 1929 la vita del partito fu travagliata da crisi locali

provocate generalmente da rivalità personali fra dirigenti fascisti, dal ribellismo degli squadristi, da

beghe per ambizione e interessi colpito insoddisfatti, dalla cronica protesta dei fascisti della prima

ora. Per certi versi la crisi interno del partito rifletteva anche la lotta di classe fa la piccola

borghesia, vado originaria del partito, i nuovi elementi dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, affluiti

soprattutto dopo l’instaurazione del regime. Tuttavia i quadri dirigenti del partito furono in

larghissima parte composti da elementi della media e piccola borghesia. Tutti i gerarchi erano

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La via italiana al totalitarismo

nominati da Mussolini su proposta del segretario del partito nazionale fascista. Qualsiasi velleità di

limitare il potere del duce era stato eliminato e ciò fu possibile per la mancanza di altre personalità

nel partito capaci di contestare effettivamente il ruolo di capo Mussolini e per la piena congruenza

della figura del duce quella concezione fascista della politica e dello Stato nuovo. Il partito fu il

primo artefice del culto della personalità e il principale responsabile dell’evoluzione del regime di

partito verso il cesarismo totalitario. Nello statuto del 1932 fu posto al di fuori e al di sopra del

partito, e lo statuto del 1938 fu indicato esplicitamente come capo del partito.

Il duce veniva considerata come un’istituzione politica, non solo come capo del governo, ma

come rappresentante concreto, attivo, presente ed operante della rivoluzione. Il duce e

l’istituzione fondamentale effettuale e dinamica di tutta la vita dello Stato. (Carlo Curcio). Inoltre la

legittimità della figura del duce derivava dal suo legame indissolubile con il partito, infatti il duce il

capo del partito nazionale fascista ed è diventato capo del complesso di organi che regolano la

vita Nazionale, perché il partito nazionale fascista è stato ed è l’animatore dello Stato nuovo,

elemento centrale e dinamico del regime.

Il Prefetto e il federale

La fonte primaria dei conflitti erano i rapporti fra i segretari federali e i prefetti. Nei primi anni vi era

stata una prevaricazione nei confronti dell’autorità prefettizia da parte dei Ras locali. Molti

prefettizio adeguarono altri furono allontanati per pressioni del partito. Con la circolare del 7

gennaio 1927 si affermava che il prefetto era la più alta autorità della provincia il segretario

federale doveva pertanto rispetto ed obbedienza. Questa circolare decretava anche la

subordinazione degli organi dello Stato al regime fascista: il prefetto diventava prefetto fa ci sta, e

fra le sue funzioni vi era quella di procedere all’epurazione che si rendono necessarie nella

burocrazia minore e indicare al partito e agli organi responsabili del regime elementi nocivi. Un

tentativo per prevenire i casi di conflitto fu l’allontanamento dei prefetti più invisi ai fascisti e la

nomina di prefetti politici cioè provenienti dal partito. Nel 1937 fu però stabilito che i 3/5 dei

prefetti dovevano essere scelti tra funzionari di carriera del ministero dell’interno. Lo stesso

accadeva ai vertici del regime presti criteri del partito nazionale fascista e sottosegretari all’interno

che furono sempre nominati tra fascisti di origine squadristi, come Michele Bianchi, Leandro

Arpinati e Guido Buffarini Guidi.Questione dei rapporti tra effetti federati fu una delle cause che

provocò la dimissione di Turati. Nel settembre 1930 nella direzione del partito nazionale fascista si

lamentava il dualismo dei poteri: “esiste ancora un problema insoluto, il dualismo che si riscontra

in ogni provincia tra prefetto e segretario federale. Si impone dunque un dovuto equilibrio ed è un

problema di conoscenza di situazione provinciale che va risolto non in sede di grandi rapporti né

di adunate ma nel contatto quotidiano del centro con la periferia”.

Turati aveva proposto di unificare la carica di segretario del partito nazionale fascista con quella di

sottosegretario all’interno, ma la proposta seccamente respinta dal duce.

Anche Giuriati urto contro lo stesso scoglio. La sua opera di epurazione E di sistemazione del

partito fu in varie forme osteggiata da Arpinati. Per Giuriati il dualismo era insostenibile e lo

denunciò prima di dimettersi: il segretario federale dipende da segretario del partito al centro e dal

prefetto in provincia. Ma il prefetto non dipende nessun modo dal segretario del partito. Nella

ferree condizioni in quel posto è evidente che il segretario del partito deve nominare il segretario

provinciale proposto dal prefetto e licenziare il segretario federale quando una bella promozione

del prefetto. Domando soltanto di sapere a chi spetti la responsabilità del partito.” Situazione era

ancora più sostenibile dal punto di vista dell’intransigenza fascista perché il partito era sottoposta

giudizio degli eroi della sesta giornata… In queste condizioni e se non si muta indirizzo nessuno

correggere partito, certo non io. Il suo successore Starace seppe agire subdolamente per minare

le posizioni dei rivali tanto che riuscì a far destituire Arpinati e l’espulso dal partito per

atteggiamenti contrastanti con le direttive del partito. Egli fu sempre fermo nell’esigere il rispetto

delle competenze e delle prerogative del partito, nutrendo forse anche personali ambizioni di

potere e di controllo sulla società e sullo Stato. I rapporti fra prefetti e federali rimasero sempre in

una situazione di precario equilibrio.

Vai inoltre osservato che la subordinazione del segretario federale al prefetto non fu Mai recepita

in nessuno degli statuti del partito che pure su questa delicata materia erano sempre precisi e non

fumai codificata in una forma di dipendenza gerarchica. Il segretario federale dipendeva

direttamente ed esclusivamente dal segretario del partito che in campo nazionale controlla le

organizzazioni del regime e il conferimento ai fascisti delle cariche e mantiene il collegamento con

gli organi periferici dello Stato e con i rappresentanti degli enti pubblici locali e vigila sull’azione

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La via italiana al totalitarismo

delle associazioni sindacali per la stipulazione di contratti collettivi di lavoro. Contro i

provvedimenti adottati dal federale non era prevista alcuna possibilità di ricorso al prefetto.

La politica dei segretari

La subordinazione del partito fascista allo stato non impedì al partito di esercitare un ruolo attivo,

con poteri effettivi, nella vita del regime. Nelle gerarchie superiori del partito il segretario generale

non era un primus Inter paresMa un capo effettivo: aveva piena potestà all’interno ed esercitava

notevoli potere all’esterno del partito. Solo segretario del partito poteva infliggere sanzioni

disciplinari a deputati e senatori. Il segretario del partito nazionale fascista aveva inoltre la

funzione di mantenere il collegamento fra il partito e gli organi dello Stato, ed esercitava il

controllo politico sulle organizzazioni del regime e sul conferimento ai fascisti di cariche ed

incarichi di carattere politico. Lo Staracismo non fu altro che le traspirazione del carattere, della

funzione dei compiti che il partito aveva assunto a partire dal 1926, ad opera dei segretari che

avevano preceduto Starace.

Turati, Giuriati e Starace rafforzare, ampliarono e perfezionare la macchina del partito e

consolidarono la sua presenz

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Publisher
A.A. 2017-2018
67 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher El-diez di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Cammarano Fulvio.