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Estratto del documento

NŌN/ VER/

AE/GŌ/NĪS → Gli accenti sui nomi non siamo mai sicuri, tranne quelli tradotti dal greco.

Dattilo

Il dattilo (dal greco daktylos, "dito", a causa della somiglianza dello schema — alla

∪ ∪

forma del dito), è un piede della poesia greca e latina. Il dattilo ha quindi questo schema:

9

— ∪∪

Il metro dattico è formato dal piede dattonico. In alcuni versi può essere formato da due

piedi. Si compone di un'arsi di una sillaba lunga e di una tesi di due sillabe brevi.

Arsi-tesi l'elevamento e l'abbassamento della mano. Ripetendosi sei volte dà il ritmo

all'esametro.

Il dattilo si ripete sei volte.

La prima parte del dattilo è costituito dalla lunghezza che è fisso.

La seconda parte del piede è costituita dalla tesi. Essi in origine designavano

l'accompagnamento con la mano. La lunga dell'arsi è sempre immutabile, le brevi invece

possono cambiare. Nel verso dovremmo avere un massimo di 18 sillabe, ma questo non

avviene sempre, perché la tesi può ridursi da sillabica a monosillabica. L'altra caratteristica

è che l'ultimo piede è sempre una battuta libera, cioè l'ultima tesi dell'esametro è sempre

monosillabica e può essere o breve o lunga. L'esametro può avere un minimo di 12 sillabe e

un massimo di 18.

Lo spondeo è quando l'ultima della tesi è lunga. Gli altri cinque piedi possono essere dattili

o spondei, ma nella maggior parte dei casi nel quinto piede troviamo un dattilo puro. La tesi

è dato da un monosillabo. La cadenza finale dell'esametro è abbastanza fissa.

Versi 3-6

Traduzione sul libro

In questi versi Virgilio vuole essere comico

Menalca sottindente che il gregge si trova nelle mani di un ladro che lo sfrutta in un modo

incredibile; munge le pecore due volte all'ora e così facendo sottrae la forza vitale agli

agnelli e alle pecore. Qui Virgilio riprende il IV idillo di Teocrito verso 13. Qui inoltre

avviene un cambio di stile linguistico; Virgilio passa da un linguaggio rustico a un

linguaggio di tipo poetico.

Nel terzo verso l'ordine delle parole è diverso dal naturale. I commentatori rinviano a un

passo simile delle georgiche (v 148; VI libro), dove il nome è inserito allo stesso modo tra

aggettivo e sostantivo.

L'aggettivo è sempre anteposto al nome, perché un oggetto viene illustrato prima di essere

denominato (un tratto abbastanza frequente).

Un altro esempio lo troviamo al verso 39 (III eg.) dove abbiamo una caratteristica del verso,

un esametro in cui è incorniciato da un aggettivo e da un sostantivo all'estremità del verso.

Si nota come “pecus!” si ripete anche nella stessa posizione del verso (v 6).

Ipse → padrone

Neaeram → è un nome che non appartiene al genere bucolico, e non è un nome positivo. É

un nome che richiama la giovinezza e l'amante femminile.

10

Favet ac → Virgilio non mette “et” al posto di “ac”. Ac nelle egloghe compare soltanto in

un altro verso, il nono dell'egloga IV. In questo caso abbiamo l'omoteleuto (troppe “T”). Nel

quarto verso dell'egloga III non c'è l'omoteleuto, c'è quello che i grammatici chiamano “un

suono cattivo” che si ha quando la parola successiva si incontra con la parola precedente

Veretur → vereo + ut congiuntivo (paratassi/potassi → vedi propedeutica)

Tutta la preposizione è costruita sul principio dell'anastrofe (anastrofe → inversione

dell'ordine abituale di due parole di un gruppo: tecum, mecum anziché cum te, cum me)

Hic → con ogni probabilità è un avverbio di luogo

Sucus → forza vitale; succo vitale. Rovina il bestiame e gli agnelli.

Analisi metrica verso 3 Ǣ

ĪN/FĒLĪ/X Ō SĒM/PĔ/R Ŏ/VĒS/ PĔ/CŬ/S ĪP/SĔ/ NĔ/ /RĀM

Quando si trova la X è come se ci fosse CS, e quindi sopra la X si scrive: C/S

Le sillabe chiuse finiscono per consonante e sono sempre lunghe

Le sillabe aperte finiscono per vocale e non si sa se sono lunghe o brevi

I dittonghi sono sempre sillabe lunghe

Perché la legge della penultima funzioni la parola deve avere più di due sillabe.

Il cretico è un piede della metrica greca. Si compone di una sequenza di una sillaba lunga,

una sillaba breve e una sillaba lunga (— —); non è possibile definirne il ritmo come

ascendente o discendente, dal momento che l'arsi è incastonata in mezzo alla tesi. Non

esiste nell'esametro.

Una vocale lunga che venga a trovarsi davanti a consonante lunga diversa da -S si abbrevia,

quindi → SĒM/PĔ/R

Se una tesi inizia con una breve, necessariamente ci sarà una breve prima o una breve dopo.

Una vocale che si trova di fronte ad un'altra vocale si abbrevia.

Nella terza declinazione con l'ablativo in -e la sillaba è breve.

La sinèresi (dal greco syn aireo = prendo insieme), nella pronuncia di una parola, è la

realizzazione in un'unica unità sillabica di un nesso vocalico in iato. Si tratta dunque, nella

pronuncia corrente, di una certa oscillazione tra iato e dittongo.

Tale fenomeno, oltre che nella pronuncia corrente, si presenta per ragioni metriche anche

in poesia. Ad esempio: 11

Questi parea che contra me venisse (Dante, Inferno I, 46)

Parea, secondo la grammatica, ha tre sillabe, in questo verso ne ha due soltanto. Un altro

esempio:

e fuggiano e pareano un corteo nero (Giosuè Carducci, Davanti San Guido, 75)

All'interno di un verso, due vocali di solito sono considerate parti di una stessa sillaba: sono

quindi dittonghi oppure iati (nel senso di due "vocali forti", non nel senso di due vocali

separate da un accento) che formano sineresi; se c'è un caso di dieresi (che è il fenomeno

opposto alla sineresi), si può segnalare con l'apposito segno diacritico. Viceversa, in fine di

verso, due vocali formano sempre due sillabe metriche.

In metrica classica, la sineresi viene detta sinizesi, indicando la contrazione in unica sillaba

di due vocali adiacenti. Le sequenze di fonemi che possono dare luogo a sinizesi

sono ea, eo, ei, eu, ie, ua, ue, ui, uo etc.

Quando l'accento cade sulla penultima sillaba è lunga.

-S caduca

In latino la -S è instabile; in fine di parola essa veniva a cadere, non veniva pronunciata.

Nella metrica però il fenomeno non è costante e nello stesso verso si possono trovare due

comportamenti diversi:

Con la caduta della -s la sillaba chiusa diventa aperta

• Con la caduta della -s se la vocale è breve diventa breve, se no resta lunga

Virgilio III eg.

Analisi metrica verso 4 Ǣ Ǎ Ǎ

DŪM/ FŎ/VĔ/T¯AC/NĒ/MĒ/ SĬ/BĬ/ PR /FĔ/R /T¯IL/L / VĔ/RĒ/TŪR/

Sibi, tibi ecc. → sono parole in cui di solito presentano una struttura giambica — che

tendenzialmente tendono, per abbreviamento giambico, a passare a — — (breve, breve)

Analisi metrica verso 5

HĪ/C Ă/LĬ/Ē/NŬ/S Ŏ/VĪS/ CŪS/ TŌS/ BĪS/ MŪL/GĔ/TˇI/N HŌ/RĀ

Dopo una breve non ci può essere una lunga

Analisi metrica verso 6

ĒT/ SŪ/CŪS/ PĔ/CŎ/RĪ/ ĒT/ LĀC/ SŪB/DŪ/CĬ/TŬ/R ĀG/NĪS/

12

PĔ/CŎ/RI¯ET → è una sinalefe, però il verso torna soltanto con lo iato. Lo iato si ha

quando due vocali appartengono a due sillabe diverse, oppure quando le due vocali vicine

non sono né “i” né “u”.

Spiegazione verso 7

Guardare traduzione sul libro

Dameta risponde a Menalca mettendo in dubbio la verità del suo interlocutore. Virgilio

accenna a un episodio erotico di stampo omosessuale in cui Menalca avrebbe avuto il ruolo

passivo. Da questo punto Virgilio abbandona l'idillo IV di Teocrito e riprende i temi

dell'idillo V (versi 49- …). Lo stile di Virgilio è meno erotico.

Dameta dice: “veri uomini” → forse Virgilio vuole parlare in generale.

L'aposiopesi (dal greco «io taccio»), chiamata anche reticenza (dal latino reticere, «tacere»)

o sospensione, è una figura retorica. Consiste in un'interruzione improvvisa del discorso, per

dare l'impressione di non poter o non voler proseguire, ma lasciando intuire al lettore o

all'ascoltatore la conclusione, che viene taciuta deliberatamente per creare una particolare

impressione. (verso 9 III egloga)

Versi 7-9

et qui … et quo → interrogativa indiretta

Da qui il modello non è più il IV idillo, ma il V. In questo verso il verbo è lasciato sospeso.

Alcuni ritengono che questa sia una aposiopesi. Il discorso viene lasciato, o non si sa, o

dovrebbe essere spiegato con un discorso abbastanza lungo. In casi come questi si sente la

mancanza di una parola. Per Quintiliano non si tratta di aposiopesi. Secondo lui manca una

parola oscena ma che è facilmente intuibile. Manca un verbo che Virgilio ha soppresso per

pudore. Quindi c'è la soppressione del termine “sconcio”. Quando scrive questi versi,

Virgilio tiene presente una scena erotica in cui Teocrito la descrive apertamente.

Transuersa tuentibus hircis → ablativo assoluto (l'ablativo assoluto è un

costrutto latino formato da: un sostantivo, o un pronome in funzione di soggetto e in

caso ablativo; un participio presente o perfetto, nello stesso caso e con funzione di

predicato. Qui abbiamo un parallelismo con i versi dell'idillo V. Qui c'è solo lo sguardo del

montone e si sostituisce con lo sguardo obliquo degli animali maschi. Virgilio dice che si

svolge sotto lo sguardo dei capri che guardano di traverso. I capri guardano di traverso

perché si sarebbero scandalizzati per questi atti osceni.

Sacello → diminutivo di sacrum. Letteralmente significa “il luogo adatto per i sacrifici”. La

scena infatti si svolge in un tempietto che era dedicato alle ninfe.

Versi 10-11

Traduzione sul libro 13

Menalca immagina che le ninfe hanno assistito ad un'altra malefatta. Il danno riguardano le

piante e le viti. Ricordiamo che tra i reati antichi c'era il danneggiamento delle viti.

Arbustum → era un collettivo. In poesia veniva usato per indicare gli “arbores”. Virgilio

non dice arbores per questioni di metrica, perché sarebbe una parola cretica (lunga, breve,

lunga). Il cretico è un piede della metrica greca. Si compone di una sequenza di una sillaba

lunga, una sillaba breve e una sillaba lunga (— —) ed è di conseguenza un piede di

cinque more. Queste parole nell'esametro non ci possono entrare.

Videre → è la terza persona del perfetto indicativo video.

In lat. ci

Dettagli
A.A. 2016-2017
21 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dario.l.padalino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Latino e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Cavarzere Alberto.