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MATERIALE IN ESAME:
I. Allegria in PDF
II. Ossi di seppia, edito Oscar Mondadori
III. Ungaretti, storia dell’autore (Baroncini)
IV. Montale, storia dell’autore (Casadei)
Crepuscolari e Futuristi.
Il Novecento è il secolo delle complessità. Avviene una rapida accelerazione nei cambiamenti sociali,
economici e culturali. È una società sempre meno lineare difficile da comprendere. In circa 100 anni, la
condizione sociale è cambiata radicalmente, e porterà alla Rivoluzione Industriale. Non è una realtà unitaria,
è un insieme di tanti universi e appare come una labirinto; è difficile capire come muoversi. Verso la fine
dell’800, le informazioni sono lente e ridotte. Il ‘900 non porta ad una conoscenza maggiore, ma all’oblio. La
realtà appare più complicata, non c’è una visione generale. Il processo è continuo, e la letteratura riflette il
periodo storico che vivono gli autori: i personaggi rappresentati sono inetti (Svevo, Pirandello), essi sono
incapaci di muoversi nella realtà, che appare difficile e aggressiva. Cercano un loro posto nel mondo, e
l’incapacità di comprendere quello che gli sta attorno, si riflette come senso di stanchezza, senilità precoce e
poca volontà di agire.
Durante il Positivismo, la fiducia incondizionata sulla razionalità era l’elemento centrale, e si rispecchiava
nella scienza, nel progresso e nel miglioramento.
Il Naturalismo francese invece denunciava i mali della società; il Verismo italiano descrive la realtà, che è
immobile.
Il Simbolismo/Decadentismo tratta aspetti più irrazionali, e spiega la realtà dal proprio punto di vista, che
rimanda a qualcosa di trascendentale. Baudelaire (metà ‘800) rappresenta la realtà come foresta di simboli.
All’inizio del ‘900, i vecchi ideali entrano in crisi e non sono più ritenuti adeguati, sono strumenti inadeguati
per la nuova generazione. Vi è l’esigenza di un cambiamento, che deve andare oltre la trazione per trovare
nuovi modi di espressione per raccontare una nuova realtà → si manifesta una completa sfiducia.
Contemporaneamente, si sviluppano le Avanguardie (inizio ‘900). Il termine “Avanguardia” appartiene al
gergo militare “andare avanti per esplorare nuovi territori”. Questo movimento si sviluppa in tutta Europa,
anche se alcune caratteristiche sono diverse. Le caratteristiche n comune sono il voler cambiare qualcosa e la
credenza che la tradizione non sia più idonea.
Le avanguardie storiche si distinguono in:
• Crepuscolari
• Futuristi
• Vociani
La radice del loro pensiero è basata sull’insoddisfazione rispetto alla tradizione. Gli autori sono tutti nati fra
gli anni 1880-’90. Corrado Govoni.
La sua poesia è l’esemplificazione della spiegazione; la lirica viene espressa attraverso immagini, ma è
diversa dal simbolismo.
Nell’ottobre 1903 viene pubblicato il volume di poesia “Armonia in grigio et in silenzio” → impossibilità
di dire.
Nel periodo giovanile c’è un’adesione al crepuscolarismo, ma poi aderisce al Futurismo.
D’Annunzio pubblica
I. Le Laudi (“Laudi del cielo, del are, della terra, degli eroi”) in cui viene sviluppato il concetto di
Superuomo
II. Maia (con sottotitolo “Laus vitae”, ovvero lode alla vita. È un lungo poema autobiografico che
supera gli ottomila versi. Le Avanguardie del Novecento.
Il Novecento è un secolo caratterizzato da cambiamenti radicali, in cui gli autori (in particolare avanguardie
storiche) sono nati attorno al 1880. Generalmente sono poco più che vent’enni
• Analisi “L’altro” – Govoni
Le Avanguardie sono caratterizzate dall’insofferenza verso la tradizione passata, con cui vivono un eterno
conflitto.
Le Avanguardie storiche si dividono in: Futuristi, Vociani e Crepuscolari.
• Futuristi – Movimento coeso con regole precise. È l’unica vera e propria Avanguardia. Vi sono
dei documenti.
• Vociani – Movimento poetico che non prevedeva la rigidità dei futuristi. Il nome deriva dalla
rivista “La voce”, è un fulcro letterario importante nei primi anni del ‘900.
• Crepuscolari – Non è un movimento coeso. Non ci sono regole e non c’è un programma preciso.
Non c’è una dimensione pubblica non si riuniranno in scuole. Aderirono in base ad un gusto
comune. Crepuscolari.
Non si diedero da soli il nome, che deriva da una recensione del 1910 dl critico Giuseppe Antonio Borghese*
sul quotidiano torinese “La Stampa”. Si tratta di una recensione a tre volumi delle poesie di giovani autori di
quel periodo. Borgese parla di giovani poeti che hanno poco da dire, che parlano con “un filo di voce”. Per
contenuti toni e linguaggio, danno l’impressione che la letteratura italiana si stia spegnendo in un lento
crepuscolo. Sono contrapposti al sole/luce, che simboleggia la generazione precedente (D’Annunzio,
Pascoli). È un gruppo di poeti che lavorano tra il 1903 (“Armonia in grigio et in silenzio) fino al 1916 (con la
morte dell’esponente più ‘alto’ dei crepuscolari: Guido Gozzano. I tre volumi riguardavano: Sergio
Corazzini, Marino Moretti e uno i Carlo C, (poeta torinese).
Marino Moretti pubblica un volumetto che si intitola “Poesie scritte con la lapis” (lapis=matita); Corazzini
pubblica un volume intitolato “Piccolo libro inutile”, Gozzano pubblica “La via del rifugio”. Questi titoli
hanno un tono sommesso, descrivono l’inutilità della poesia (=piccolo libro inutile). Gli autori hanno poca
fiducia nella funzione del poeta. I crepuscolari condividono la sensazione che la società contemporanea si sta
evolvendo, la poesia e il poeta hanno un ruolo marginale, la società è impegnata in tutt’altro e non ascolta ciò
che poeti avrebbero da dire, sempre se hanno da dire. È una società che sta andando verso la mercificazione,
il denaro, si preoccupa del successo e del guadagno. Alla caduta della poesia corrisponde la perdita di fiducia
del ruolo del poeta, non è più il poeta vate (D’Annunzio) e neanche il poeta capace di dar voce alle cose
(Pascoli), ma è un poeta che si ritrova davanti a una nuova società. Ha una sensazione di precoce stanchezza
e senilità. I luoghi privilegiati di questa poesia sono i luoghi quotidiani, gli oggetti sono umili; i sentimenti
raccontati sono ‘medi’, i colori descritti sono tenui. Gli autori riflettono sul passare del tempo; per descrivere
la loro percezione, utilizzano un linguaggio diverso rispetto alla tradizione precedente. Il linguaggio adatto è
molto ‘basso’, colloquiale, che però non equivale a sciatto o trascurato. È ugualmente un linguaggio
elaborato, che però utilizza dei toni medi. Ad esempio, Moretti, nella sua lirica “Cesena” scrive “Piove. È
mercoledì. Sono a Cesena.” È un endecasillabo semplice, descrive una situazione quotidiana.
La lirica di questi autori ha spesso un tono polemico, come una sorta di presa in giro delle poesie più note, ad
esempio D’Annunzio, “La pioggia del pineto”.
Ciò che introducono i crepuscolari, è anche un tono ironico, che caratterizza soprattutto Guido Gozzano.
Guido Gozzano è il rappresentante più illustre dei crepuscolari e ha una caratteristica ironica e autoironica.
Gozzano nasce a Torino nel 1883 e muore nel 1916. Nasce da una famiglia borghese, di tradizioni
patriottico-risorgimentale e viene avviato agli studi di giurisprudenza, che però lui non concluderà mai,
perché preferisce frequentare i corsi di letteratura, allora tenuti da Arturo Gral.
Pubblica ” La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911). Oltre a questi volumi di poesia, pubblicò
numerose collaborazioni giornalistiche, raggiungendo un discreto successo. Il 1907, data del primo volume, è
anche l’anno in cui Gozzano si accorge di essere affetto dalla tubercolosi, al cui tempo non vi erano ancora
cure. L’unico modo per poter rallentare a malattia era soggiornare in climi propizi e questo portò al
soggiorno in località di mare, per tentare in qualche modo di rallentare la malattia.
* prof di estetica e critico
La malattia diventa metafora di una situazione esistenziale di debolezza (che diventa tale per tutti i
crepuscolari); la malattia si rifletta nella visione che i poeti hanno della società, affetta da qualche morbo che
la corrodesse. Tra il 1912 e 1913, Gozzano compie un viaggio in India, per la volontà di recarsi in un posto
con un clima favorevole per le proprie condizioni di salute; in realtà non era necessario andare così lontano.
In realtà si recò lì per la profonda attrazione che la spiritualità indiana esercitava su Gozzano. Si imbarcò con
un amico e visitò alcune zone dell’India. In India il poeta trovò il luogo d’origine della civiltà orientale. Di
quell’esperienza, resta un volume che raccoglie articoli scritti dall’autore, e che vennero stampati dopo il suo
ritorno su alcune riviste e quotidiani, nei quali racconta la propria esperienza.
Gli articoli vennero raggruppati in un volume, che verrà poi pubblicato dal fratello l’anno successivo alla
morte dell’autore, ovvero nel 1917 con il titolo “Verso (la) cuna del mondo” (cuna=culla). Vi è un’estrema
apertura mentale con cui Gozzano guarda la società e civiltà indiana, in cui emerge l’interesse e il rispetto
con cui il poeta si avvicina a una cultura così distante, messo a confronto con i sui compagni di viaggio. Era
un viaggio destinato a ricchi, aristocratici, diplomatici e borghesi, che guardavano la civiltà indiana come se
fosse estremamente primitiva rispetto ai canoni occidentali. Gozzano ironizza e prova ammirazione per la
spiritualità della nazione, che è connaturata nell’uomo indiano. Lo attira in particolare il processo della
rinascita, che avviene sotto varie forme, mano a mano diminuisce l’interesse per a vita, fino alla pace
assoluta. Ma per quanto seduttiva, quella teoria non lo convinceva del tutto. Lui è cresciuto in una nazione
cattolica è stato educato di conseguenza, e quindi non riesce a aderire completamente a questo tipo di
spiritualità. L’attrazione verso quella concezione emerge in maniera evidente nella sua poesia, ancor prima
del viaggio. Gozzano è un poeta ammiratissimo da Eugenio Montale, che secondo lui è stato il primo a
superare D’Annunzio, per approdare in un territorio proprio. Sempr