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Voce e conoscenza s’alternano nelle vicende paesane. C’è un livello
diverso tra il conoscere ed il parlare, il pettegolezzo. Nel Paese, la
conoscenza è generalizzata mentre il pettegolezzo avviene soltanto
quando si verificano delle circostanze specifiche per cui un personaggio
più o meno direttamente implicato nel pettegolezzo attira lì
l’attenzione del paese stesso ed incomincia a far sparlare di questa
situazione.
Un’immagine che ritorna nelle vicende del paese è quella della natura,
nello specifico nelle sue due forme del vento e della nebbia. Ad
esempio, il vento impedisce di giocare al pallone elastico, sicché la
gente se ne sta chiusa in casa. Questa non è però una descrizione
naturalistica, perché il vento dell’Alta Langa non è certamente così
forte. Sono forze della natura che si oppongono alla vita degli
individui, a tratti diventano dei personaggi veri e propri.
Il medico Durante reagisce all’ostilità della natura in un modo
particolare, ovvero cercando una compensazione a livello psicologico.
Egli non è affatto apprezzato nella lotta per affermarsi (è scarso a
pallone elastico), allora si inventa una partita mentale, ma la cosa è
caratterizzata in maniera negativa.
Un altro episodio caratterizzante è inerente all’incidente accorso al
mugnaio di San Benedetto, stritolato dalla macina del suo mulino,
rischiando di morire per dissanguamento. Il medico Durante viene
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contattato ed egli stesso ha paura di vedere il moribondo sanguinante.
L’episodio è significativo per il clima che caratterizza il paese, quel
sentimento di essere una comunità: di fronte alla disgrazia si
risveglia l’interesse di tutto il paese, che potrebbe anche sembrare un
interesse cinico da un certo punto di vista. Esiste però un vero rispetto
dei paesani per questo mugnaio che, non andando d’accordo col padre,
volle cercare una propria indipendenza. Per farlo, fece debiti su debiti
per rilevare il mulino, ma nemmeno auguro mai la morte al padre per
ottenere un’indipendenza certamente più sbrigativa.
Il terzo capitolo parla invece di una partita di pallone elastico. In
paese è arrivato il campione italiano di pallone elastico: Augusto Manzo
(personaggio reale ed uno dei più forti giocatori di sempre). Il campione
ha perso il terzino titolare ed ha dunque bisogno di un sostituto per non
dover perdere il campionato. Così va a visionare quell’eccellente
giocatore che era Sergio, avversario del medico Durante. La notizia si
sparge in un baleno e la gente accorse in paese (riappare l’orgogliosa
dimensione comunitaria). Tutti cercano di sponsorizzare Sergio dicendo
che si merita il posto in squadra. La prova va a buon fine e Sergio
andrà a giocare come professionista a tempo pieno, lasciando il suo
noioso lavoro d’impiegato postale. Apparentemente siamo di fronte ad
una promozione sociale, ma l’altro terzino di Manzo gli spiega che la
vita del giocatore non è così dorata: oltre ai soldi che sembrano non
mancare, ci sono gli spifferi degli sferisteri che i giocatori, sudati, sono
costretti a sorbirsi. La maggior parte dei giocatori di pallone elastico
sono malati, in particolare un vecchio compagno di Manzo lì presente
sputa continuamente sangue nel fazzoletto (è ammalato di tisi). I soldi,
in effetti, non sono così tanti: quando vengono divisi, la parte principale
va al battitore (lo stesso Manzo), ed agli altri ne rimangono pochi.
Allora è solo nell’apparenza una vita migliore, ma poi si vengono a
sapere cose che rivelano che la vita fuori dal paese chiuso non è affatto
migliore. Anche fuori è segnata dal dolore e dalla fatica,
indipendentemente da dove ci si trova a vivere.
Vengono organizzate due squadre, fatte dagli abitanti del paese, in cui
Sergio dovrà dimostrare la sua forza. Sergio chiede la
compartecipazione dei suoi compaesani, tant’è che il battitore
avversario garantisce di battere dei palloni “facili”, ma d’altronde i
palloni son tutti rotondi, quindi alcune palle risulteranno sicuramente
più ostiche. Ad un certo punto arriva la ragazza di Sergio, della quale è
innamorato anche Ugo. A quel punto la partita cambia volta e diventa
una partita vera: persino la complicità ed i legami si arrestano di fronte
ad alcuni momenti in cui si manifestano le forze oscure che ci sono
all’interno dell’animo degli individui (forze dell’affermazione di sé come
il denaro, il sesso). L’amicizia viene meno e nascono le rivalità.
Altra contrapposizione è quella tra il mondo del gioco e quello
del lavoro. Il gioco sembra presentato in un’ottica assolutamente
positiva (c’è la fierezza dell’intero paese per un suo figlio, Sergio, che
va a giocare con Manzo in Serie A). Il gioco tuttavia è qualcosa che
distoglie da quell’ottica di lavoro inteso come fatica e dovere
etico-morale. A giocare sono innanzitutto i maschi e, a parte della
fidanzata di Sergio, non vengono introdotte figure femminili. I maschi
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smettono di lavorare per andare a vedere la partita di pallone. Uno
soltanto non smette con il suo lavoro, che è appena arrivato con un
carro pieno di fieno obbligando i giocatori a fermarsi per lasciarlo
passare. Sergio per questo s’arrabbia e si sdegna, mentre l’altro
ostinatamente vuole dedicarsi al suo lavoro.
Un giorno di fuoco
11.
La vicenda è mediata dalla narrazione di un ragazzino in vacanza a San
Benedetto presso gli zii. Il bambino nota che questa giornata è una
particolare, giacché nemmeno lo zio è andato a lavorare. La
mediazione del bambino trasforma l’evento in una dimensione
mitica, assoluta, fintantoché guarda lo zio con occhi d’ammirazione,
perché egli aveva visto Gallesio, il “matto” di Gorzegno che giù a valle
stava tenendo in scacco le forze dell’ordine accorse dopo che egli
stesso aveva freddato diverse persone.
Giù a Gorzegno c’era davvero una battaglia, esagerazione perché in
effetti c’è solamente un poveraccio arroccato in casa contro i
carabinieri. Tuttavia questo fatto fu definito il più eclatante dopo la
guerra d’Abissinia.
Lo ziastro vorrebbe andare giù a Gorzegno a vedere, ma viene
ostacolato da sua moglie, che teme possa prendersi una pallottola
vagante. Nel frattempo Placido, un uomo che ha messo a disposizione
la sua macchina per andare giù a Gorzegno, si rassegna subito perché
conosce il carattere autoritario della donna.
Il racconto è strutturato con pochi commenti e tanti dialoghi, così
come se fossi un atto teatrale. Il fatto è sottolineato anche dalla zia che
dice che per due soldi [lo zio] era in grado di andare a vedere il teatro
di Gallesio. Invece il fatto è visto con ammirazione dal bambino.
Anche se non è andato, lo zio parteggia di gran lunga per Gallesio,
esaltando le sue doti di grande cacciatore. Quando non sente più i colpi
a valle, allo zio dispiace e commenta che non è sceso a valle perché
temeva che la “battaglia” terminasse prima che loro fossero arrivati
giù.
La zia è molto religiosa e prega per il parroco che è stato ucciso da
Gallesio, in netto contrasto con l’atteggiamento anticlericale dello zio,
che in qualche modo affascina il giovane bambino (che è Fenoglio).
L’anticlericalismo è un carattere etico, anche se la zia è madre di un
prete (è il prete giovane di Pioggia e la sposa).
Le vicende disgraziate di Gallesio permettono al bambino Fenoglio,
anche se ancora tale, di capire che in fondo questo Gallesio non era
affatto cattivo. Egli era un miserabile, poveraccio e sconfitto nello
scontro nell’affermare sé stesso nella vita. Sia il fratello che il
prete, entrambi uccisi, sono stati più forti, mentre Gallesio, col suo atto
omicida, è stato più feroce nel reagire nella miseria della vita. Certo è
che Gallesio non sia un eroe perfettamente positivo, Fenoglio ha la
preferenza ad esempio per Agostino, però l’autore si sforza di capirne
almeno le ragioni. Anche in questo caso esiste la presenza del male,
di destinazione verso il male. Anche l’amore pronosticato al giovane
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narratore dalla maestra sarà tremendo: infatti l’amore è una lotta tra
quelli che sono più affascinanti, ricchi e più inseriti socialmente e quelli
che invece hanno meno favori dalla vita. Fenoglio parte sempre dalla
vita concreta (tant’è che per scrivere questo racconto visita i luoghi e
leggi articoli dell’epoca), ma poi inevitabilmente essa diventa mediata
dalla letteratura.
La figura del bambino, che ha capito che non è il giorno giusto per
dialogare con la professoressa torinese, torna dallo zio. Nel mentre che
questi stanno chiacchierando, il bimbo chiede allo zio che cosa sia
questo rumore (il frinire delle cicale) e lo zio risponde sbalordito che un
cittadino non sappia riconoscere nemmeno quel rumore. Il bambino
sottolinea grazie a questo dettaglio la sua dimensione di estraneità
rispetto alla campagna. E’ un cittadino che fa difficoltà ad integrarsi
nell’ambiente campagnolo. L’ammonimento dello zio è segno di un
alterità, che si ripete anche quando arriva la corriera (elemento di
congiunzione tra mondo esterno e quello delle colline). Ogni sera che
essa arriva, il bambino s’appostava sotto l’ippocastano per osservarla
arrivare dal passo della Bossola.
Questo racconto, come si intuisce dalle stesse lettere agli editori,
doveva essere collocato in una posizione iniziale nei Racconti del
parentado. Fin dall’inizio il bambino sottolinea la sua estraneità al
mondo della collina, così come manifesta la nostalgia per Alba e per la
sua casa. Tuttavia in un altro racconto c’è il medesimo bambino che
non vuole abbandonare il paese per far ritorno ad Alba, proprio perché
entrava a far parte di quell’ambiente paesano, che simboleggiava la
vera vita, quella sulla collina.
Verso la fine del racconto, quando Placido fa segno con le mani come
se si chiudesse un sipario, ritorna l’immagine dell’atto teatrale che è
terminato, quando lo zio dice che Gallesio è stato al gioco anche alla
fine.
La morale della vicenda viene espressa dalla zia. E’ una morale legata
alla lezione etica del fatto che lì si sia consumata la vicenda del
racconto. La zia commenta questa storia dicendo che la causa del male
delle langhe è causato dall’ignoranza che tutti hanno. E’ un