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ALCETA
Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno
Di questa notte, che mi torna a mente
In riveder la luna. Io me ne stava
Alla finestra che risponde al prato,
Guardando in alto: ed ecco all’improvviso
Distaccasi la luna; e mi parea
Che quanto nel cader s’approssimava,
Tanto crescesse al guardo; infin che venne
A dar di colpo in mezzo al prato; ed era
Grande quanto una secchia, e di scintille
Vomitava una nebbia, che stridea
Sì forte come quando un carbon vivo
Nell’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
La luna, come ho detto, in mezzo al prato
Si spegneva annerando a poco a poco,
E ne fumavan l’erbe intorno intorno.
Allor mirando in ciel, vidi rimaso
Come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia,
Ond’ella fosse svelta; in cotal guisa,
Ch’io n’agghiacciava; e ancor non m’assicuro.
MELISSO
E ben hai che temer, che agevol cosa
Fora cader la luna in sul tuo campo.
ALCETA
Chi sa? non veggiam noi spesso di state
Cader le stelle?
MELISSO
Egli ci ha tante stelle,
Che picciol danno è cader l’una o l’altra
Di loro, e mille rimaner. Ma sola
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
Cader fu vista mai se non in sogno.
Prima era una poesia dei Canti, poi Leopardi lo toglie dall'edizione del 1831. Composto nel 1819
sogno".
come "Il Alceta racconta a Melisso il sogno che ha fatto: sogna che la luna gli cada dal
cielo nel suo giardino ed è infuocata nonostante tutto. Nel cielo rimane un buco nero dove era
appiccicata.
Alceta: dice di aver fatto un sogno, stava alla finestra, dove stava la luna, quando questa inizia a
cadere di colpo in mezzo al prato. Era grande quanto una secchia e bruciava come un tizzone
ardente, vomitava una nebbia di scintille e strideva come quando si mette il tizzone ardente
nell'acqua. La luna si spegne bruciando tutta l'erba che c'è intorno. Guardando in cielo vede il
buco rimasto.
Melisso: dice che ha ragione a spaventarsi perché è molto probabile che la luna cada nel tuo
prato. Ovviamente è ironico.
Alceta: come cadono le stelle, può capitare che anche la luna cada.
Melisso: le stelle sono miliardi, quindi se ne cade qualcuna non è importante. La luna è una sola
quindi non è molto probabile che cada. Il componimento si chiude con il sogno così come era
iniziato.
Dialogo tra la terra e la luna pag. 31
Fa parte delle Operette morali, in prosa. Vengono pubblicate nel '27, stesso anno della
pubblicazione di Manzoni. Il titolo è ironico e auto ironico, il diminutivo vuole sminuire la portata
del libro, però sono morali, di filosofia morale perché toccano alcuni temi filosofici. Quando nel
'26 Leopardi manda all'editore Stella le Operette, scrive: ti mando una cosa filosofica benché
Odi, Melisso.
scritta con leggerezza apparente. Utilizza l'ironia già utilizzata in Molti dei testi delle
operette sono sotto forma di dialogo. L'ironia entra in vari modi ma, per esempio, soprattutto nei
testi fatti a dialogo, dei due protagonisti, uno fa la parte di Leopardi, l'altro di un interlocutore
qualunque che serve a porre delle domande in modo tale che il primo, l'autore, possa andare
avanti nelle sue considerazioni. E' un genere letterario vero e proprio come i dialoghi di Platone,
come i dialoghi di Galileo. Questa struttura è la struttura classica del dialogo come modalità di
trattare un argomento filosofico in cui la forma dialogica serve per interrompere l'esposizione, se
no il maestro che parla diventa troppo noioso. Nel caso leopardiano sono dialoghi in qualche
misura ironici perché in qualche caso i personaggi che entrano in scena sono personaggi
fantastici, sono dialoghi che non concludono, i due discutono proponendo le proprie idee, però
alla fine il problema non viene risolto, rimane aperto.
La terra è un po' sciocca, lei stessa dice di sé di essere di testa grossa, ottusa, ingenua, alla
buona.
La luna è amante del silenzio, è muta, è la prima volta che vediamo la luna parlare. Solo verso la
fine fa un intervento più lungo ma tendenzialmente parla poco. Prende in giro le credenze che la
terra ha su di lei ma non si viene a sapere cosa ci sia sulla luna, con una eccezione.
Terra. Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere; per essere una persona; secondo che ho inteso molte volte
da' poeti: oltre che i nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi, come ognuno di loro; e che lo
veggono essi cogli occhi propri; che in quell'età ragionevolmente debbono essere acutissimi. Quanto a me, non
dubito che tu non sappi che io sono né più né meno una persona; tanto che, quando era più giovane, feci molti
figliuoli: sicché non ti maraviglierai di sentirmi parlare. Dunque, Luna mia bella, con tutto che io ti sono stata vicina
per tanti secoli, che non mi ricordo il numero, io non ti ho fatto mai parola insino adesso, perché le faccende mi
hanno tenuta occupata in modo, che non mi avanzava tempo da chiacchierare. Ma oggi che i miei negozi sono ridotti
a poca cosa, anzi posso dire che vanno co' loro piedi; io non so che mi fare, e scoppio di noia: però fo conto, in
avvenire, di favellarti spesso, e darmi molto pensiero dei fatti tuoi; quando non abbia a essere con tua molestia.
Io so che tu puoi parlare --> la terra è assiomatica nelle sue frasi. La terra si fida di quanto dicono i poeti e i bambini,
inaffidabili per definizione. La terra scoppia di noia come il pastore errante, nonostante sia un altro tipo di noia. Dice
di non aver mai avuto tempo di chiacchierare a causa degli impegni, come se la luna volesse chiacchierare. la terra è
molto ficcanaso e permette che da qui in avanti si darà pensiero dei fatti della luna.
Luna. Non dubitare di cotesto. Così la fortuna mi salvi da ogni altro incomodo, come io sono sicura che tu non me ne
darai. Se ti pare di favellarmi, favellami a tuo piacere; che quantunque amica del silenzio, come credo che tu sappi, io
t'ascolterò e ti risponderò volentieri, per farti servigio.
La luna è molto educata, dice che la terra non la disturba. La luna mette le cose in chiaro, dice di essere amica del
silenzio.
Terra. Senti tu questo suono piacevolissimo che fanno i corpi celesti coi loro moti?
Luna. A dirti il vero, io non sento nulla.
Terra. Né pur io sento nulla, fuorché lo strepito del vento che va da' miei poli all'equatore, e dall'equatore ai poli, e
non mostra saper niente di musica. Ma Pitagora dice che le sfere celesti fanno un certo suono così dolce ch'è una
maraviglia; e che anche tu vi hai la tua parte, e sei l'ottava corda di questa lira universale: ma che io sono assordata
dal suono stesso, e però non l'odo.
La Terra fa riferimento a Pitagora e alla teoria sulle sfere celesti. Platone ci dice che su ognuna di queste sfere c'è
una sirena che emette una sola nota, quindi, poiché le sfere sono 8, le sirene di Platone sono 8 formando così un
ottavo --> ordine cosmico. Pitagora due che le sfere celati fanno rumore, un rumore che la terra non sente.
Nonostante ciò decide di non fidarsi della realtà a favore di quanto detto dal poeta.
Luna. Anch'io senza fallo sono assordata; e, come ho detto, non l'odo: e non so di essere una corda.
La luna asseconda la terra dicendo di essere assordata e parla sempre per affermazioni in negativo. La terra fa solo
affermazioni, parla sempre per ciò che è nonostante si fondi su false fonti, non attestabili.
Terra. Dunque mutiamo proposito. Dimmi: sei tu popolata veramente, come affermano e giurano mille filosofi antichi
e moderni, da Orfeo sino al De la Lande? Ma io per quanto mi sforzi di allungare queste mie corna, che gli uomini
chiamano monti e picchi; colla punta delle quali ti vengo mirando, a uso di lumacone; non arrivo a scoprire in te
nessun abitante: se bene odo che un cotal Davide Fabricio, che vedeva meglio di Linceo, ne scoperse una volta certi,
che spandevano un bucato al sole.
Corna = monti più alti. Chiede se la luna è abitata, perché nemmeno dalle sue corna vede se è abitata.
Luna. Delle tue corna io non so che dire. Fatto sta che io sono abitata.
Risponde affermativamente all'inizio, poi torna al negativo.
Terra. Di che colore sono cotesti uomini?
Luna. Che uomini?
Terra. Quelli che tu contieni. Non dici tu d'essere abitata?
Luna. Sì, e per questo?
Terra. E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi.
Luna. Né bestie né uomini; che io non so che razze di creature si sieno né gli uni né l'altre. E già di parecchie cose
che tu mi sei venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini, io non ho compreso un'acca.
La luna non sa cosa siano né gli uomini né le beste.
Terra. Ma che sorte di popoli sono coteste?
Luna. Moltissime e diversissime, che tu non conosci, come io non conosco le tue.
Non è la stessa cosa che aveva detto Galileo quando diceva di non sapere e non credere che sulla luna ci fossero
delle entità, ma seppur ci fossero, sarebbero diversissime ed inescogitabili.
Terra. Cotesto mi riesce strano in modo, che se io non l'udissi da te medesima, io non lo crederei per nessuna cosa
del mondo. Fosti tu mai conquistata da niuno de' tuoi?
Luna. No, che io sappia. E come? e perché?
Terra. Per ambizione, per cupidigia dell'altrui, colle arti politiche, colle armi.
Luna. Io non so che voglia dire armi, ambizione, arti politiche, in somma niente di quel che tu dici.
Terra. Ma certo, se tu non conosci le armi, conosci pure la guerra: perché, poco dianzi, un fisico di quaggiù, con certi
cannocchiali, che sono instrumenti fatti per vedere molto lontano, ha scoperto costì una bella fortezza, co' suoi
bastioni diritti; che è segno che le tue genti usano, se non altro, gli assedi e le battaglie murali.
Luna. Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente che forse non converrebbe a una tua suddita
o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque
parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti
puntualmente da per tutto. Io dico di essere abitata, e tu da questo conchiudi che gli abitatori miei debbono essere
uomini. Ti avverto che non sono; e tu consentendo che sieno altre creature, non dubiti che non abbiano le stesse
qualità e gli stessi casi de' tuoi popoli; e mi alleghi i cannocchiali di non so che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non
veggono meglio in altre cose, io crederò che abbiano la buona vista de' tuoi fanciulli; che scuoprono in me gli occhi,
la bocca, il naso, che io non so dov