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Replica di Osmano: allude ad una mano per indicare prudenza, tocca la fermana e suscita

una sua reazione, lei gli dà un colpo e gli dice di comportarsi male, con una imprecazione

blasfema, per il volto di Dio. L’imprecazione è una formuletta ricorrente in queste prime

manifestazione di testi dialettali. Per le plaghe de Dio, vediamo in Dante, per le chiabelle

de Dio (Cecco Angiolieri); esse servono a connotare popolarescamente gli interlocutori.

Cretto: Camilli lo riconduce al latino crepitum, colpo secco che dipende da una spaccatura

del legno, che con metonimia vorrebbe dire fesso nell’accezione del napoletano moderno.

Poi è dogliuto, malaticcio, crepato, ernioso, cioè colpito da ernia perineale, che allude

ancora a una metafora sessuale di impotenza. Novella di Franco Sacchetti raffigura un

personaggio afflitto da un’ernia perineale che lo costringe a deambulare in modo goffo.

Questo cretto è interpretato invece da Baldoncini, 1984, come gonfio, quindi participio da

cresco. Quindi sarebbe gonfio, grasso e interessato al cibo (un crapulone). Baldoncini poi

interpreta il crepato successivo come morto (con sfumatura erotica sempre).

43

La fantilla dice che “di lei non avrà neppure una briciola”, cica, tipico dei dialetti

marchigiani. Nella cronaca dell’Anonimo romano, scritta negli anni Sessanta del Trecento,

in cui ricorda la fine di Cola di Rienzo, che viene ammazzato, squartato e infine bruciato, e

conclude lapidariamente dicendo che di lui non remanse cica, non rimase nemmeno una

briciola.

Se già non mi prendessi a noscella. Per Contini: “avrai di me qualcosa se riesci a

mettermi il sale sulla coda”, qualcosa di impossibile. Invece il Camilli interpreta come una

continuazione di noxia, quindi “non mi avrai se non mi prendi con l’inganno”. Secondo

l’Egidi, ripreso dal Crocioni, verrebbe da nuptiae, quindi la donna direbbe “verrò nella

cappa a condizione che mi prometti di sposarti”. Più probabile il noxia, quindi “non mi

prendi a tradimento”. Baldoncini propone nescella come tradimento ma da nescienza,

volgare, cioè inconsapevolezza, dunque “mi ti concederò se fossi svenuta”, quindi di fatto

si nega.

Escionna dà difficoltà. Chi parla? Apparentemente è una continuazione del discorso

femminile: stupido, escione, con una difettosa uscita femminile, per un esciono, che

ricondurrebbe a scimunito, scionito, che ha qualche attestazione, iscionire, dunque

stupido, o iscioniti, svegliati! Exscionito, vieni fuori dal torpore.

Non gire per la spica, non andare a cercare troppo per il sottile, non andare a spigolare

grano per grano, quindi non pretendere troppo da me ancorché si veda che sei tutto

desideroso.

sì ti veio arlucare la mascella!. Re-lucere con un prefisso soggetto a metatesi, ar per ra

o re, è tipico del marchigiano, la mascella è sineddoche per il volto. Rilucere per il

desiderio per gli occhi? Il Camilli, sempre fedele all’interpretazione che messer Osmano è

grasso e voglioso di cibo, riferirebbe arlucare la mascella al gonfiore delle gote che

riflettono la luce. Gli altri intendono rilucere come vedere brillare lo sguardo di desiderio. Il

Crocioni riconduce le battute finali a messer Osmano: una sorta di “ehi stupida, svegliati!

Non star lì a guardare tanto per il sottile che vedo che anche tu bruci di desiderio”.

[O] fermana, se mi t'aconsenchi,

duròti panari di profici

e morici per fare bianchi denchi:

tu lli à tôrte, se quisso no'rdici.

Se Dio mi lasci passare a lo Clenchi,

giungeròtti colori in tralici.

E io più non ti faccio rubusto,

poi cotanto m'ài [a]sucotata:

vienci ancoi, né sia Pirino rusto,

ed adoc[c]hia non sia stimulata. 44

Anche messer Osmano indulge a una terminologia e fonetica marchigiana. “Fermana, se

acconsenti a me ti darò panieri di profici (fichi tardivi da caprificus, gli ultimi che

rimangono e per questo dolcissimi) e more di rovo per fare bianchi i denti”. Qui Camilli e

Crocioni ricordano la consuetudine di usare le more di rovo, non quelle di gelso, dai

contadini come dentifricio. La fonetica: (denchi, clenchi) chi per ti rappresenta un esito

centro italiano soprattutto della Marca d’Ancona di un originario nt. Clenchi è il fiume

Chienti che nel tardo Duecento segnava il confine tra il comitato di Fermo e quello di

Osimo. Quindi: “Fermana, se cedi alle mie proferte, […] fichi, more, li devi prendere se

non rivedi”, non ridici, da un originario ardici, profilo metatetico marchigiano, oppure “se

non replichi al mio desiderio”.

Tôrte è indicato dagli studiosi come uno dei fiorentinismi che sono le spie dell’origine vera

dell’autore di questi versi. Toglierti, crasi, indicata con accento circonflesso, tôrte, è una

spia. Altre spie, riconducibili a basi fiorentine sono profici e morici dove il marchigiano

dovrebbe avere profice e morice, che indicherebbe l’indebolimento della vocale finale.

Quindi: “Se Dio mi concede di raggiungere il Chienti, ti porterei anche queste cose e ci

aggiungerei colori in tralicci”, cioè panni di tre licci, panni colorati per fare abiti di

particolare robustezza e resistenza. Crocioni interpreta come sostanze coloranti ricavate

da vegetali reperibili lungo il corso del Chienti, cioè tra i licci. Questa ambizione di ritornare

a Osimo si può interpretare come una scappatoia di Osmano. Per procurarsi i panni

(ipotesi giusta per Drusi) dovrebbe tornare nella natia Osimo e abbandonare la fermana al

suo destino.

La fermana non gli oppone più resistenza, dal momento che l’ha tanto sollecitata

(sucotata), dice di andare subito (ancoi), immediatamente. Nota il Crocioni che anche nel

Contrasto di Rambaldo, tra le risposte della donna c’è un uguanno, hoc anno, che vuol

dire nel corso di quest’anno, nel senso pieno, ma nel contesto, la risposta della donna

genovese significa subito, immediatamente.

Compare un altro personaggio, probabilmente il fidanzato, Pirino rusto, Pietrino, rusticus

nel senso di villano o di spinoso come un rovo (come dice Camilli).

“Facciamo in modo che non lo sappia e che non sia punzecchiata”, nel senso di sollecitata

eccessivamente dall’amplesso, se no farebbe rumore e richiamerebbe l’attenzione. Dice di

farlo con discrezione.

A bor[r]ito ne gìo a I'ater[r]ato,

ch'era alvato senza follena

lo battisac[c]o trovai be llavato,

e da capo mi pose la scena;

e tut[t]o quanto mi foi consolato,

ca sopra mi git[t]ò buona lena;

e conesso mi fui apat[t]ovito

e unqua me' non vi' [quando] altr'ei.

Mai [lo] fai [tu] com’omo iscionito 45

Be’ mi pare che tu mastro èi.

Ultima stanza: torna l’autodiegesi di messer Osmano. Torna la narrazione che poi si

concluderà con una battuta della fermana. Andai aborrito, per Camilli al buio da burrus, al

buio, fora oscura, in una stanza oscura dove non si vede. Altra interpretazione è di Guido

Vitaletti, dice che nelle Marche, nel lessico venatorio, sparare alla borrita significa sparare

nelle ore anti lucane, quindi vuol dire all’improvviso, buio sì, ma con senso traslato.

Gli atterrati erano delle casupole fatte di mattoni di terra cruda, non cotti. Recentemente

son stati restaurati, in piccoli centri montani, interi quartieri costruiti secondo questa

tecnica (mattoni crudi coperti di intonaco poi). Sistema che permetteva di elevare gli

edifici anche di un piano. Avremmo una continuazione lessicale e storica della

consuetudine dell’uso. Per Contini l’atterrato è una capanna costruita con terra cruda e

paglia, in realtà è una cosa più specifica. Aborrito è interpretabile anche come alabrito,

provenzale abrit o abric, al coperto, al riparo. Messer Osmano aveva proposto di andare in

una caba, qui la fermana lo porta al coperto secondo questa interpretazione, che era

alvato, ricoperto di intonaco bianco senza folliena, fuliggine. Posto inaspettatamente

pulito, ben lavato, come lo battisacco, lenzuolo. Il letto medioevale era un composto da

un cassone su cui si posava un materasso fatto di crine e foglie secche. Il battisacco era

ben lavato e da capo gli pose la scena. Forse viene da axis, cilindro, cuscino di forma

cilindrica che veniva messo in capo al letto. Crocioni dice che scena va con il corso e con

il sardo che indica il vaso di terracotta. Crocioni pensava al convegno amoroso in una

grotta, quindi tutti i riferimenti a mancanza fuliggine, biancore delle pareti, e la presenza

del battisacco, sarebbero sarcastici per il Crocioni. La fermana si liberebbe di tutti i

contenitori che ha con sé e ne userebbe uno per appoggiarlo dietro la testa di Osmano.

Contini dice che Crocioni attribuisca un significato osceno a creta, vaso di terracotta usato

per ungere, ma come l’organo sessuale femminile vada a finire dietro la testa del messere

non ce lo si può spiegare. Drusi è più propenso a pensare che dalla caba si finisca in una

casa.

Osmano è ben soddisfatto, buona lena. Leina è la coperta di lana, qui potrebbe essere

una metafora erotica, potrebbe essere la fermana a giacere con il messere. E con lei si

accordò quindi, in quel momento.

“E non conobbi mai o donna o situazione più favorevole di quella”. Fu pienamente

soddisfatto. Le ultime battute sono di lei: “non ti comporti da stupido, mi pare che tu sia

ben maestro di quest’arte”. Finiremo parlando della funzione del marchigiano. Tutta la

struttura della vicenda corrisponde a quella delle pastorelle in lingua d’oil. Nel caso

particolare, come osserva Crocioni, una spia significativa è quello dell’amante tradito,

Pirino, perché Pietrino, Perrein è l’antroponimo più ricorrente nelle pastorelle francesi ad

indicare il rivale d’amore che si propone alla pastorella. Indica spesso il tradito. 28/11/2016

La sostanza della canzone, al netto delle difficoltà dovute al lessico, è chiara: un episodio

di seduzione campestre che avvicina alle pastorelle provenzali e francesi, che trova anche

in ambito italiano terreno; i casi più evidenti coincidono con la scuola siciliana e con una

continuità evidente arriviamo alla Ballata pastorella di Guido Cavalcanti. Una lunga

tradizione che, nel caso di questa canzone, aveva già trovato sue realizzazioni nella forma

della parodia. Il contrasto d’Alcamo ne è il contrasto più evidente (1240); situazione che

46

rispetto al canone, incontro in area agreste e boschiva, e spazio naturale che si addice alla

manifestazione degli istinti primordiali. Nel caso di Cielo d’Alcamo la contestualizzazione

non è così rimarcata, si deve pensare ad u

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
85 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Erichto di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e dialettale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Drusi Riccardo.