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CAPITOLO I
Francesco Ingravallo è uno stimato funzionario della sezione investigativa del commissariato di Santo
Stefano del Cacco, a Roma.
Di tanto in tanto frequenta la casa di Liliana e Remo Balducci, in via Merulana 219. Ha avuto così modo di
conoscere la malinconia di Liliana, il suo vano tentativo di sopperire alla mancanza dei figli con una sorta di
adozione di “nipoti” e domestiche, tutte giovani che Liliana stessa incoraggia e sostiene economicamente per
assicurare loro un futuro di progenie; anche durante l'ultimo pranzo, ospiti don Lorenzo Corpi (padre
spirituale di Liliana) e Giuliano Valdarena (il cugino), Ingravallo non ha potuto fare a meno di notare una
nuova domestica, Assunta Crocchiapani, e una nuova nipote, Gina, il cui aspetto acerbo era ben lontano dalla
procacità della precedente Virginia Troddu.
Il 14 marzo 1927, Ingravallo viene incaricato dal capo della investigativa, il dottor Fumi, di condurre
l'indagine su una rapina ai danni di Teresa Menegazzi,al terzo piano di via Merulana: la Menegazzi, vedova
contessa veneziana è stata aggredita nel proprio appartamento da un giovane, il viso coperto da una sciarpa
verde, che l'ha derubata delle gioie.
Durante il sopralluogo nell'appartamento, Ingravallo trova un biglietto del tram sfuggito al ladro nel corso
della rapina. Il biglietto del tram, per i Castelli, è bucato alla fermata del Torraccio (località della frazione
Due Santi del Comune di San Marino): Ingravallo informa i carabinieri di Marino dell'accaduto e trasmette
loro l'elenco delle gioie rubate.
In seguito alle testimonianze degli inquilini dello stabile, si scopre inoltre che il rapinatore è stato aiutato da
un palo, un ragazzino vestito da garzone. Garzoni, secondo la portiera, che vengono talvonta a consegnare
prodotti di gastronomia al commendator Filippo Angeloni. Anche per le sue reticenze, Angeloni viene
condotto al commissariato.
Nel corso della giornata, i contatti coi confidenti della polizia non portano a nulla.
In serata, Fumi, nell'elenco delle fermate nota il nome di una certa Ines Cionini, del Torraccio, pantalonaia
disoccupata.
Palazzo di via Merulana
“In quer palazzo der ducentodiciannove nun ce
stavano che signori grossi: quarche famija der
generone: ma soprattutto signori novi de commercio,
de quelli che un po' d'anni aventi li chiamaveno
ancora pescicani.
E il palazzo, poi, la gente der popolo lo chiamaveno
er palazzo dell'oro. Perché tutto er casamento insino
ar tetto era come imbottito de quer metallo. Dentro
poi, c'erano du scale, A e B, co sei piani e co dodici
inquilini cadauna, due per piano. Ma il trionfo più
granne era su la scala A, piano terzo, dove che ce
staveno de qua li Balducci ch'ereno signori co li
fiocchi pure loro, e in faccia a li Balducci ce steva na
signora, na contessa, che teneva nu sacco 'e sorde
pure essa, na vedova: la signora Menecacci: che a
cacciaje na mano in quarziasi posto ne veniva fori
oro, perle, diamanti: tutta roba più de valore che ce
sia”.
→ la parola “ori” è in riferimento alla copertina
gialla del libro, ma anche al fatto che fosse abitato da
gente ricca
Personaggio di Liliana Balducci “Un tratto cordiale, un tono così alto, cosi nobilmente
appassionato, così malinconico! Una pelle incantevole.
[…] occhi profondi, una luce di antica gentilezza […] E
lei era ricca: ricchissima
Unione tra bellezza e malinconia (elemento della
psicoanalisi freudiana, che Gadda attribuisce a Liliana)
dalla quale deriva un ostacolo psicofisico a diventare
madre. Per superare questo disagio, Liliana chiamava a
casa sua ragazze molto giovani, delle domestiche (che
chiamava “nipoti”), nelle quali lei vede quello che lei non
è mai riuscita ad essere.
Ciononostante queste ragazze, secondo lo scrittore,
possono risultare oggetti del desiderio per il marito.
Si aggiunge, poi, un altro aspetto: Liliana potrebbe
proiettare in loro una sorta di rapporto lesbico.
Signor Balducci
“Suo marito stava bene, viaggiava tredici mesii all'anno, sempre in un gran da fare con quelli là di
Vicenza”.
“Durante il pranzo Balducci aveva assunto, verso la Gina (la cameriera), un contegno paterno […] la voce
maschia e baritonale, la voce del padre: lei (riferendosi a Liliana), moglie e sposa del papà, era dunque la
mamma. […] quel maritone rubizzo tutto affari e tutto lepri che ora cianciava così fragorosamente, sotto la
lauta inspirazione albana”.
“Si sarebbe detto, a voler fantasticare, ch'egli, il Balducci, non avesse valutato, non avesse penetrato tutta la
bellezza di lei: quanto vi era in lei di nobile e di recondito: e allora... i figli non erano arrivati […] lei però
lo amava: era il padre in imagine, il maschio e padre in virtù se non in facto, in potenza se non in atto. Era
stato il possibile padre di una prole sperata. Della fedeltà di lui, forse, neppure era certa”.
Commissario Francesco Ingravallo – don Ciccio
Francesco Ingravallo è un molisano trentacinquenne, capelli neri e “cresputi”, un po' scorbutico e incline
alla meditazione. È un investigatore anomalo, che segue una filosofia e una logica diversa dalla quella di
causa-effetto (similitudini con Sherlock Holmes, Agatha Christie, Montalbano).
L'aspetto di Ingravallo è quello tipico della sua epoca:
- mozzicone;
- sguardo poco partecipe;
- capelli neri e molto folti (parrucca).
“comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione
investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi. Di statura media, piuttosto rotondo della
persona, o forse un po' tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla metà della fronte
quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d'Italia, aveva un;aria un po' assonnata, un'andatura
greve e dinoccolata, un fare un po' tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito
come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d'olio sul bavero,
quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana”.
→ Gadda si identifica nella figura di Ingravallo.
CAPITOLO II
La mattina di giovedì 17 marzo, il commissario Ingravallo, mentre sta salendo su un tram per recarsi a
Marino, viene informato dell'omicidio di Liliana Balducci. Il marito in viaggio d'affari non è a casa quando
Liliana viene trovata sgozzata in casa. A scoprire l'omicidio per primo fu il cugino Giuliano Valdarena che, in
procinto di trasferirsi a Genova per lavoro, era andato a salutarla.
Ingravallo si reca sul luogo del delitto. Viene appurato che la vittima si trovava sola, nella propria abitazione,
al momento del delitto.
Ingravallo decide per il fermo di Giuliano Valdarena.
Il giorno seguente, il 18 marzo, il fermo di Valdarena si tramuta in arresto provvisorio.
Fascismo Il secondo capitolo si apre con una riflessione
personale di Gadda nei riguardi del fascismo.
Partendo dalle teorie della psicoanalisi freudiana,
l'autore si chiede come un uomo possa giungere al
potere; lo spiega con la teoria dell'adorazione
specialmente da parte del pubblico femminile.
“dell'era dell'egira, l'arti papaveri della fezzeria” →
era dell'egira = abbandono della Mecca da parte di
Maometto; arti papaveri = uomini che comandano;
fezzo = copricapo dei gerarchi durante le riunioni
fasciste.
Mussolini viene chiamato in diversi modi, tra cui Fascismo
“testa di morto” – il teschio è un simbolo del – fascio – bastoni legati insieme da una corda;
fascismo (la paura, lo spavento riescono a creare il simbolo di unione, controllo e autorità.
controllo, ma esiste anche un'altra prospettiva: –
l'unione tra vivi e morti, riuscire a dominare anche il fascino – (capacità d'attrazione che viene
mondo dei morti – culto di una nazione, rapporto con esercitato su un'altra persona) dagli occhi
chi non c'è più).Mussolini è descritto con una escono fasci di luce che legano una persona
caricatura, ma anche attraente verso il popolo per il ad un'altra = capacità d'attrazione.
popolo femminile.
→ ciò è collegato anche con Liliana (probabilmente anche lei sognava, come tutte le altre, una relazione con
il duce).
Ciò che caratterizza il secondo capitolo è la morte di Liliana e come Gadda sceglie di descrivere il corpo. Ci
da tre descrizioni del copro della vittima:
– la prima è il breve resoconto di un agente, Pompeo Porchettini detto lo Sgranfia, al commissario.
“Sor dottó, l'ha trovata suo cugino, il dottor Vallerena...Vadassena […] dice ch'era annato a trovalla.
Pe salutalla, perché ha d'annà a Genova. Salutalla a quell'ora? dico io. Dice che l'ha trovata stesa a
terra, in un lago di sangue, Madonna! Dove l'avremo trovata puro noi, sul parquet, in camera da
pranzo: stesa de traverso co le sottane tirate su, come chi dicesse in mutanne. Il capo rigirato un
tantino... co la gola tutta segata, tutta tajata da una parte. […] Mbè, un orrore: du occhi! Che
gurdaveno fisso fisso la credenza. Una faccia stirata, stirata, bianca da paré un panno risciacquato...
che, era tisica?...come avesse fatto una fran fatica a morì...”
– La seconda segue lo sguardo di Ingravallo, giunto sul luogo del delitto, e ne riferisce le prime
impressioni.
“Entrati appena in camera da pranzo, sul parquet, tra la tavola e la credenza piccola, a terra...quella
cosa orribile.
Il corpo della povera signora giaceva in una posizione infame, supino, con la gonna di lana grigia e
una sottogonna bianca buttate all'indietro, fin quasi al petto: come se qualcuno avesse voluto scoprire
il candore affascinante di quel dessous, o indagarne lo stato di nettezza. […] quelle due cosce un po'
aperte, che i due elastici – in tono di lilla – parevano distinguere in grado, avevano perduto il loro
tepido senso, già si adeguavano al gelo: al gelo del sarcofago, e delle taciturne dimore. L'esatto
officiare del punto a maglia, per lo sguardo di quei frequentatori di domestiche, modellò inutilmente
le stanche proposte d'una voluttà il cui ardore, il cui fremito, pareva essersi appena esalato appena
esalato dalla dolce mollezza del monte, da quella riga, il segno carnale del mistero... quella che
Michelangelo (don Ciccio ne rivide la fatica, a San Lorenzo) aveva creduto opportuno di dover
omettere. Pignolerie! Lassa perde! […] le calze incorticavano di quel velo di lor luce modellato dalle<