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CANTO XXXIII

Comincia con una citazione scritturale (aumenta il tasso di profeticità) (inizio del

salmo 78, lamento sulla distruzione del tempio di Gerusalemme, come il carro che

è stato devastato). Le sette ninfe piangevano per la scena e Beatrice ascolta le

note del salmo che quasi venne più pietosa di Maria che guardava il figlio morire.

Poi c’è un’altra citazione, parlano del vecchio testamento e Beatrice cita il vangelo,

Giovanni 16. Quando le 7 ninfe cessarono il canto e le consentirono di parlare, si

alzò in piedi accesa dalla passione e pronunciò delle parole in latino (parole di

cristo nell’ultima cena): “tra poco non mi vedrete più ma poi ci sarà comunque la

salvezza (Dio)”. I dieci passi spesso solo i dieci anni in riferimento alla profezia

successiva. Beatrice è più tranquilla dell’altro canto e lo invita ad avvicinarsi

chiedendogli perché dante non le faccia domande. Ultimo squarcio profetico

affidato a beatrice: sappi che il carro devastato dal serpente non esiste più

(apocalisse 17), ma chi ha colpa di questa situazione stia più che sicuro che verrà

punito. Tempe suppe: interpretazione avversa:

-I commentatori antichi parlando di un’usanza fiorentina che però non viene

documentata, secondo la quale gli assassini avrebbero visto condonata la loro

pena se avessero avuto il coraggio di mangiare una zuppa sulla tomba della loro

vittima, e quindi si intende che la vendetta di dio non teme zuppa.

-“se non è zuppa è pan bagnato”, boccone per ammansire qualcuno (inferno VI,

cerbero)

-Invece che seppe è iuppe, corazza, la vendetta di dio rompe qualsiasi corazza.

Secondo il prof la vera interpretazione è un’altra.

Grande pagina profetica che chiude il purgatorio e il cammino terreno di dante,

infatti questa profezia si collega alla prima profezia del veltro, sono collegate anche

topograficamente, la prima apre l’inferno, questa chiude il purgatorio, quindi l’inizio

e la fine del cammino terreno. Quella del veltro era un auspicio da parte di dante,

quindi si potrebbe definire una vera profezia. Il veltro deve essere per forza un

imperatore, il suo compito è quello di sconfigger l’avarizia perché ne è immune

(convivio, IMPORTANTE).

Beatrice dice che l’aquila non sarà sempre senza eredi perché si avvicina una

congiunzione astrale che porterà un tempo in cui un messaggero di dio ucciderà la

prostituta insieme al gigante, ciò indica che, proprio come il veltro, questo 500105

deve essere per forza un imperatore e metterà fine all’impero vacante. Chi è il 500

10 e 5? Varie interpretazioni:

1. Dante sta usando i numeri latini: 500 10 5 in numeri latini è D X V, queste tre

lettere possono essere interpretati o come acronimo o come DUX, capo guida che

in sé non dice nulla, non specifica chi sarà.

2. Forse rappresenta una persona precisa, non è vaga come il veltro. Tecnica

crittografica che assegna un valore numerico a ogni lettera dell’alfabeto 666

(apocalisse 13), numero della bestia, in effetti significava l’imperatore Nerone…

3. Forse una un numero, 515, un numero di anni, alcuni parlano dall’incoronazione

di Carlo magno, 800+515 si ha 1315, battaglia di Montecatini, i fiorentini vengono

sconfitti da Uguccione della Faggiola.

4. 515 numero di pagine della commedia che dante stava preparando

Sicuramente Enrico VII è coinvolto, l’abbiamo incontrato all’inizio del purgatorio

quando si parlava della maledizione del successore di Alberto I d’Asburgo. il

giudizio degli storici su di lui è pessimo perché non ha fatto nulla, ma il giudizio di

dante era ottimo perché per lui contavano le intenzioni e non le azioni, era sceso in

Italia. Era morto in modo misterioso. Quando dante scrive l’ultimo canto del

purgatorio forse Enrico era già morto, e quindi sarebbe strano scrivere questa

speranza dopo la sua morte sapendo che in realtà non aveva fatto nulla, ma

comunque c’entra lo stesso. Nel 2008 è stata fatta un’ipotesi: prescindere dal 500

10 e 5, no cerca di spiegare questo numero, ma si concentra sull’espressione

“messo di dio”, in tutta la bibbia solo una persona era mandata da dio, nel primo

capitolo del vangelo di Giovanni era san Giovanni battista, disse che era stato

mandato da dio appunto. Il nome era Giovanni, e se dante sta alludendo a questo

passo del Vangelo, il nome del messo era Giovanni, e Giovanni era il nome del

figlio di Enrico, Giovanni di Boemia che ha cercato di succedere al padre

(1313-1314), dopodiché Ludovico IV cambia la situazione, però per circa un anno

Giovanni è stato in gioco, e quindi dante forse ha scritto questi versi proprio in

questo periodo. Se fosse così potemmo spiegare anche le “suppe” Enrico morì, e si

disse che era stato avvelenato dai domenicani, con un’ostia bagnata di veleno

(zuppa e pan bagnato) e quindi se fosse così la volontà di dio non teme le zuppe,

ossia avete ucciso il padre ma ora c’è il figlio.

Beatrice sa di aver fatto una profezia oscura (lascia stare i riferimenti mitologici) e

dante le chiede perché parli in modo così difficile. E Beatrice gli dice che parla in

modo difficile, e i suoi studi filosofici non sono in grado di capire questi versi (critica

agli studi giovanili di Dante).

• v.103. si interrompe il cammino, era mezzogiorno, il cerchio meridiano cambia a

seconda di chi lo guarda, quando le 7 ninfe si fermano davanti alla frescura

provocata da un ruscello come si fermano gli esploratori quando incontrano

qualcosa di nuovo. Nella genesi c’è scritto che nell’eden scorrevano 4 fiumi, 2

erano Eufrate e tigri, però secondo dante non sono loro ma sono il lete (provoca

la dimenticanza dei peccati) e l’eunoè (che ravviva le virtù). La prima e l’unica

volta che viene nominata Matelda che risponde dopo l’invito di Beatrice che

aveva già spiegato quali erano i fiumi, a dante la dimenticanza era stata

provocata forse da una forte emozione; Matelda prende per mano dante e invita

Stazio a seguirlo. Dante si paragona alla piata rinnovata, in quanto ora è pronto

per salire al cielo perché purificato. Tutte le cantiche finiscono con la parola stelle

PARADISO

Troveremo le anime raggruppate per categorie, distinte in luoghi, in cieli. In realtà

come viene spiegato nel 4 canto, nel paradiso le anime non sono suddivise, si

trovano tutte nel cielo + alto che è l’empireo, tutte vicino a dio, anche se vengono

mostrate divise nei vari cieli che come nel caso dei cerchi infernali corrisponde ad

una particolare categoria, quindi dante li divide per la narrativa. Si inizia dal cielo

della luna e si arriva a Saturno, man mano che si procede le anime perdono sia la

corporeità che la individualità, all’inizio si intravedono appena i lineamenti, poi man

mano saranno sempre meno visibili e meno individualizzate, saranno sempre più

all’interno della loro categoria e parleranno in modo collettivo.

CANTO III

Saltiamo le prime 3 terzine che riguardano il canto precedete. Ci troviamo nel cielo

della luna.

- vv.10. similitudine di 3 terzine. Come Attraverso vetri terzi o limpidi o attraverso

acque limpide neanche tanto profonde al punto che non si possa vedere il fondo,

percepiamo i lineamenti delle anime, come una perla nella fronte bianca della

fronte si distinguerebbe. Per cui sono caduto nell’errore contrario di quello di

Narciso (vide la sua immagine specchiata e la considerò un’immagine di un’altra

persona, quindi le scambia per immagini riflesse). Mi volto dietro per vedere chi

ci fosse dietro che si rispecchiasse davanti, allora dante guarda Beatrice che

sorride per l’ingenuità. Queste non sono immagini specchiate ma anime, sono

state rilegate (piccola valenza negativa come se fossero esiliate nel cielo più

basso) per essere venuti meno ai loro voti, però parla pure con loro perché

risponderanno. Allora cominciai a parlare all’anima che sembrava volesse più

parlare: tu che conosci l’eterna beatitudine, mi piacerebbe se mi dicessi chi sei e

qual è la vostra condizione. (La prima terzina con cui inizia il discorso questo

personaggio vale per tutte le anime del paradiso): siamo pronti a obbedire alle

giuste richieste, la nostra carità non chiude la porta al giusto desiderio di sapere.

Io sono stata una suora nel mondo, e tu mi hai conosciuto, se la mente tua mi

guardasse bene non ti sarebbe difficile riconoscermi anche se ora sono + bella

(caso opposto a brunetto latini, non l’aveva riconosciuto per le sofferenze

dell’anima, perché era sfigurato), riconoscerai che sono Piccarda Donati (clima

fiorentino, all’inizio dante parla spesso di Firenze perché la suo ossessione è di

tornarci, poi si rassegna al fatto di non riuscire a tornarci, già nel purgatorio

Firenze è solo un caso particolare all’interno di una visione più ampia, anche qua

comincia con una rievocazione di questo episodio della giovinezza, di Piccarda

appunto, ma l’ultima parte del canto viene introdotto un altro personaggio.

Piccarda era una lontana parente di dante, perchè lui aveva sposato una Donati.

Corso, suo fratello, era un guelfo nero, quindi un nemico di dante, mentre Forese

gli era amico. La storia di piccarda è quella che viene raccontata dopo). Sono

beata ma sono rilegata nel cielo + vicino alla terra e che si muove + lentamente. i

nostri desideri e sentimenti sono infiammati dallo spirito santo e quindi godono la

beatitudine. Questa nostra sorte che sembra così poco invidiabile, proprio per

questo motivo c’è stata affidata in quanto i nostri voti furono vuoti, non li

portammo a compimento. E dante: non vi ho riconosciuto perché siete più bella,

ma ora mi aiuta ciò che mi dici (le da del tu). Ora dante gli chiede se loro

desiderano salire + alto in cielo per essere vicini a dio? Piccarda sorride e

rispose in modo che sembrava accesa dallo spirito santo: la virtù della carità

appaga il nostro desiderio, quindi non desideriamo nulla di ciò che non abbiamo.

Se desiderassimo stare + in alto i nostri desideri sarebbero discordanti da quelli

di dio, e ciò non è possibile perché la beatitudine consiste nell’adeguarsi alla

volontà divina, (piccarda è un po' prolissa perché dante vuole spiegare bene

come stanno le cose). Essendoci adeguati alla volontà di dio, il modo in cui

siamo disposti viene approvato da tutte le anime come piace a dio che ci fa

volere ciò che vuole lui.”

- vv.91 adesso dante fa una domanda

Dettagli
A.A. 2015-2016
58 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martasantorelli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Santagata Marco.