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PARAFRASI
Dante si rivolge ai lettori con poca conoscenza desiderosi di ascoltare
barca= metafora poca conoscenza)
(piccoletto che stanno seguendo la
parte per il
nave di Dante che avanza con la sua poesia (legno=sineddoche
tutto), invita questi lettori a tornare da dove sono venuti e dice di non
inoltrarsi in mare aperto perché non riuscendo a seguirlo si perderebbero. La
strada che Dante sta intraprendendo non è mai stata presa, Minerva spinge
le vele con il suo so o, Apollo lo conduce e nove Muse lo guidano
indicandogli l’orsa maggiore e minore.
La prime terzine sono una metafora in cui la nave è la cantica del Paradiso e
Dante avverte i lettori che sarà un racconto molto complesso e chiede a chi
ha poca conoscenza di abbandonare. A guidare la nave di Dante sono la
ffi fi
sapienza e la poesia, perché Minerva è la dea della sapienza mentre Apollo è
il Dio delle arti.
Poi si rivolge ai pochi lettori con conoscenza che sin da giovani elevarono la
propria mente e il proprio spirito con la sapienza, di cui l’uomo non è mai
sazio, loro possono invece a rontare la complessità del Paradiso con le loro
barche osservando il solco lasciato da Dante prima che l’acqua lo cancelli.
argonauti)
Quei gloriosi argonauti che raggiunsero la Colchide (perifrasi non
si meravigliarono vedendo Giasone trasformato in contadino quanto invece i
gloriosi che passaro al Colco
lettori per quanto Dante racconterà. (Que’
non s’ammiraron come voi farete, quando Iasón vider fatto bifolco-
SIMILITUDINE ).
Nella mitologia greca Giasone partì per raggiungere Colchide, non è chiaro
se Dante volesse fare un paragone tra il proprio viaggio e quello di Giasone
oppure con l’eroe che si trasforma in contadino.
L’innata e perenne attrazione verso l’Empireo portava Dante e Beatrice veloci
come i movimenti dei cieli. Beatrice aveva lo sguardo rivolto verso l’alto e
Dante la guardava e nello stesso tempo che occorre ad una freccia per
raggiungere un bersaglio (similitudine) , Dante si ritrovò in un luogo
meraviglioso e Beatrice, a cui Dante non può nascondere nulla in quanto può
si lieta come bella= similitudine)
leggere nella mente, si rivolse verso di lui (
e gli disse di elevare la sua mente riconoscente a Dio che li ha portati sulla
prima stella. A Dante sembrava che fossero avvolti in una nuvola lucente,
densa, solida e liscia quasi un diamante colpito dal sole. (Similitudine)
Questa perla li accolse come l’acqua che attraversata da un raggio di luce
rimane compatta senza dividersi (SIMILITUDINE).
Dante essendo un corpo e visto che sulla terra una dimensione non può
compenetrarne un altra cosa che avviene quando un corpo penetra in un
altro, questo dovrebbe aumentare il desiderio si salire i cieli e raggiungere
Cristo in cui si compenetrano natura umana e divina.
Lì si vedranno i misteri, a cui l’uomo crede per fede e non perché saranno
dimostrati razionalmente, ma saranno evidenti come i principi fondamentali a
cui l’uomo crede. ff
III CANTO (1-130)
Questo canto si apre con Dante che alza il viso verso Beatrice. Nel momento
in cui la guarda vede dei volti simili ad immagini ri esse che si mostrano
desiderosi di parlare con lui. Beatrice gli spiega che non sono immagini
ri esse ma anime del cielo della luna (anime che non hanno mantenuto i voti
religiosi non per loro volontà). Dante si rivolge a un anime che si rivela essere
Piccarda Donati che gli racconta la sua storia da monaca tolta a forza dal
convento. Piccarda spiega che tutti i beati sono consapevoli di quanto si
sono meritati e sono completamente appagati dal grado di beatitudine
concesso da Dio e non desiderano nient’altro in quanto i loro desideri
coincidono con la volontà di Dio. Piccarda indica poi un altro spirito,
Costanza D’Altavilla tolta dal convento per diventare moglie di Enrico VI di
Svevia, Piccarda si allontana cantando l’Ave Maria
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
di bella verità m’avea scoverto,
provando e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
leva’ il capo a proferer più erto;
ma visïone apparve che ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid’io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
Sùbito sì com’io di lor m’accorsi,
quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
fl fl
"Non ti maravigliar perch’io sorrida",
mi disse, "appresso il tuo püeril coto,
poi sopra ’l vero ancor lo piè non da,
ma te rivolve, come suole, a vòto:
vere sustanze son ciò che tu vedi,
qui rilegate per manco di voto.
Però parla con esse e odi e credi;
ché la verace luce che le appaga
da sé non lascia lor torcer li piedi".
E io a l’ombra che parea più vaga
di ragionar, drizza’ mi, e cominciai,
quasi com’uom cui troppa voglia smaga:
"O ben creato spirito, che a’ rai
di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non s’intende mai,
grazïoso mi a se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte".
Ond’ella, pronta e con occhi ridenti:
"La nostra carità non serra porte
a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a sé tutta sua corte.
I’ fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà l’esser più bella,
ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda.
Li nostri a etti, che solo in ammati
son nel piacer de lo Spirito Santo,
letizian del suo ordine formati.
E questa sorte che par giù cotanto,
però n’è data, perché fuor negletti
li nostri voti, e vòti in alcun canto".
ff fi fi fi
Ond’io a lei: "Ne’ mirabili aspetti
vostri risplende non so che divino
che vi trasmuta da’ primi concetti:
però non fui a rimembrar festino;
ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
sì che ra gurar m'è più latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici,
disiderate voi più alto loco
per più vedere e per più farvi amici?".
Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco;
da indi mi rispuose tanto lieta,
ch’arder parea d’amor nel primo foco:
"Frate, la nostra volontà quïeta
virtù di carità, che fa volerne
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
Se disïassimo esser più superne,
foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;
che vedrai non capere in questi giri,
s’essere in carità è qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.
Anzi è formale ad esto beato esse
tenersi dentro a la divina voglia,
per ch’una fansi nostre voglie stesse;
sì che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace
com’a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
E ’n la sua volontade è nostra pace:
ell’è quel mare al qual tutto si move
ciò ch’ella crïa o che natura face".
Chiaro mi fu allor come ogne dove
in cielo è paradiso, etsi la grazia
del sommo ben d’un modo non vi piove.
ffi Ma sì com’elli avvien, s’un cibo sazia
e d’un altro rimane ancor la gola,
che quel si chere e di quel si ringrazia,
così fec’io con atto e con parola,
per apprender da lei qual fu la tela
onde non trasse in no a co la spuola.
"Perfetta vita e alto merto inciela
donna più sù", mi disse, "a la cui norma
nel vostro mondo giù si veste e vela,
perché no al morir si vegghi e dorma
con quello sposo ch’ogne voto accetta
che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggi’ mi, e nel suo abito mi chiusi
e promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
E quest’altro splendor che ti si mostra
da la mia destra parte e che s’accende
di tutto il lume de la spera nostra,
ciò ch’io dico di me, di sé intende;
sorella fu, e così le fu tolta
di capo l’ombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
contra suo grado e contra buona usanza,
non fu dal vel del cor già mai disciolta.
Quest’è la luce de la gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò ’l terzo e l’ultima possanza".
Così parlommi, e poi cominciò ’Ave,
Maria’ cantando, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.
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fi fi
La vista mia, che tanto lei seguio
quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgorò nel mïo sguardo
sì che da prima il viso non so erse;
e ciò mi fece a dimandar più tardo.
PARAFRASI
Beatrice aveva rivelato a Dante la bellezza della verità e lui per farle capire
che era convinto alzò il capo, ma ebbe una visione che gli fece dimenticare
cosa voleva dirle, come attraverso vetri puliti o attraverso acque chiare non
tanto profonde da non vedere il fondo, vede i ri essi di visi, ma con molta
di colta come quando si cerca di vedere la perla sulla fronte di una donna
SIMILITUDINE(vv10-15). Dante vide molte facce pronte a parlare e quindi
fece l’errore opposto a quello di Narciso ( secondo il mito greco Narciso si
quel ch’accese
innamorò della propria immagine ri essa nell’acqua) (a
amor tra l’uomo e 'l fonte- PERIFRASI per indicare Narciso), quindi Dante
appena si accorse delle facce pensando fossero ri esse in uno specchio si
girò per vederle, ma non vide nulla quindi rivolse nuovamente lo sguardo a
Beatrice la quale stava sorridendo. Beatric