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Il tempo:

Dante, intendendo il viaggio come avvenuto realmente, fornisce puntuale indicazioni cronologiche.

Già il primo verso ci offre un ragguaglio importante sull’inizio del viaggio: la primavera del 1300,

anno del Giubileo, cioè di quella speciale e totale remissione dei peccati concessa ai fedeli che si

recando in pellegrinaggio a Roma, indetta per la prima da Bonifacio VIII. Infatti, considerato che al

tempo del poeta la durata della vita media, per tradizione biblica, era di 70 anni, e che Dante è nato

nel 1265, ci troviamo nel 1300. Inoltre, più avanti nella Commedia Dante dirà di aver intrapreso il

viaggio durante il 1266° anno dalla morte di Cristo, che muore nel corso del 34° anno di vita. Poi, un

passo del canto XXI dell’Inf. consente di precisare anche il giorno: probabilmente all’inizio di aprile,

l’8 aprile (giorno della passione di Cristo), o molto più probabilmente il 25 marzo, secondo una

Adamo, l’incarnazione e la morte di Cristo con quel

tradizione che faceva coincidere la creazione di

giorno. Ciò è in linea probabilmente anche con il calendario in uso a Firenze al tempo di Dante, il cui

computo partiva ab incarnazione e non ab nativitas. La seconda indicazione temporale nel I canto si

trova ai versi 37-43: in essi è precisata una congiunzione astrale particolarmente favorevole: il sole si

trova nella costellazione dell’Ariete, è primavera, una stagione propizia che ha contraddistinto grandi

eventi per l’umanità (la creazione del mondo, l’incarnazione e la morte di Criosto) e ha in sé un

implicito significato di rinascita alla vita, dopo la morte spirituale causata dal peccato. Allo stesso

modo l’ora del giorno è favorevole: è l’alba, quando la luce del sole (Dio) comincia a prevalere sulle

tenebre della notte (la perdizione).

Una duplice redenzione:

Il Dante personaggio e pellegrino che comincia in questo canto la sua peregrinazione penitenziale è

un uomo ben diverso dal Dante narratore che ha compiuto il viaggio sino alla meta suprema, la

contemplazione di Dio, che gli ha rivelato il mistero della verità. Nel pellegrino che si accinge al

viaggio è adombrata l’intera umanità (nel mezzo del cammin di nostra vita) in preda alla decadenza,

alla perdizione e al peccato. Occorre tener presente fin da ora, quindi, che tutto il poema è inteso a

rappresentare una duplice redenzione: quella del’uomo Dante dai suoi errori, attraverso la

considerazione delle conseguenze del peccato e la speranza dell’eterna beatitudine; dell’umanità

intera dallo stato di decadenza e di disordine in cui è caduta.

Le tre fiere:

Ciò passando dall’oscurità della selva alla luce che rischiara il “dilettoso monte”, cioè abbandonando

lo stato di peccato per intraprendere il cammino verso la salvezza. Ma ben tre antagonisti si

oppongono al cammino dell’eroe: la lonza, il leone e la lupa. Ciascuno di questi tre animali rimanda

a un significato allegorico, a un vizio, a una disposizione al male. I commentatori antichi rimandano

rispettivamente alla lussuria, alla superbia e all’avarizia (cupidigia), ma vi sono altre interpretazioni.

Sono sufficienti questi tre vizi o peccati capitali a far ripiombare l’uomo-Dante verso verso la selva,

cioè verso il peccato, dove non risplende la luce di Dio. I commentatori più antichi hanno identificato

le tre fiere rispettivamente con la lussuria, la superbia e l’avarizia/cupidigia che rappresenterebbero i

vizi più diffusi tra gli uomini. Dell’allegoria del leone si è sicuri, perché nei bestiari medievali esso è

identificato con la superbia. L’allegoria rappresentata dalla lupa è anch’essa piuttosto chiara, sia per

via della descrizione fatta da Dante (carca di ogni desiderio) in questo primo canto che per altri

riferimenti nel corso dell’opera;mentre l’identificazione della lupa è più problematica. Alcuni

commentatori moderni preferiscono invece identificare le tre fiere con le “tre faville ch’hanno i cuori

accesi” (Inf. VI), cioè superbia, invidia e avarizia, identificate da Ciacco come le tre cause delle lotte

intestine e dei mali che devastano Firenze. Tale interpretazione sarebbe supportata da un passo

dell’Inf. XV, in cui Brunetto Latini, maestro di Dante, accusa i fiorentini di essere “gente avara,

invidiosa e superba” e invita Dante stesso a non seguire le loro abitudini. Inoltre i tre peccati capitali

sarebbero stati i più gravi per l’umanità intera perché, l’episodio biblico che coinvolse Adamo, Eva

e il serpente tentatore. Il serpente avrebbe peccato per superbia, Eva di ingordigia, e Adamo per

le tre fiere con la frode, la violenza e l’incontinenza,

invidia. Altri commentatori moderni identificano

cioè con le “tre disposizioni che il ciel non vuole” (Inf. XI) che sono le tre categorie di peccato

dell’Etica di Aristotele, sulle quali Dante fonda la tripartizione della tipologia dei peccati nell’inferno.

Però in questo caso la peggiore delle bestie, la lupa, rappresenterebbe il peccato meno grave. Altri

studiosi ancora hanno preferito un’interpretazione etico - politica: la lonza rappresenterebbe Firenze,

il leone la reale Casa di Francia, la lupa la Curia romana di Bonifacio VIII.

In ogni caso queste tre fiere rappresentano tre disposizioni al male, tre attitudini al peccato, che

impediscono l’ordinamento morale e religioso in base al quale deve organizzarsi la società umana.

apparivano spesso insieme nei bestiari medievali, e c’è un passo biblico che parla di

Queste tre belve

un leone, un lupo e un leopardo.

Virgilio:

A questo punto Dante necessita di un aiuto: così appare Virgilio, allegoria della ragione umana, che

gli istinti peccaminosi e ricondurre l’uomo alla retta via. Dante sceglie

ha il compito di sopraffare

Virgilio perché per lui il poeta latino è maestro sia dal punto di vista letterario che morale: è come il

simbolo di un’intera civiltà, quella classica, che tuttavia non può avere raggiunto la pienezza, priva

com’è stata del messaggio cristiano. Virgilio è scelto da Dante per vari motivi:

1) Virgilio rappresenta allegoricamente la ragione umana, l’umana filosofia, che era stata irretita,

oscurata dal vizio, dal peccato. È per questo che molto probabilmente alla sua apparizione, Virgilio

viene definito come colui che “nel silenzio parea fioco” (la ragione umana, oscurata dal peccato della

selva, stentava a farsi sentire, ma ci sono altre interpretazioni).;

dell’Impero, della stessa autorità a cui è stato affidato il compito di

2) Virgilio è rappresentante

garantire la felicità e l’ordine sulla terra, e che viene rievocata proprio dalle stesse parole di Virgilio;

3) Virgilio era considerato durante il Medioevo come un profeta, un mago, un saggio, perché, secondo

la cultura e la sensibilità medievali che comportano un’interpretazione in senso cristiano anche dei

testi pagani, Virgilio aveva preannunciato la nascita di Cristo nella quarta egloga, quando annuncia

dato vita all’età dell’oro, anche se nato prima di Cristo e

la nascita di un puer che avrebbe

impossibilitato a recepirne il messaggio;

4) Infine Virgilio è il cantore dell’Eneide, colui cioè che ha narrato la discesa agli inferi di Enea, che

è uno dei modelli tenuti presenti da Dante nella descrizione di questo regno.

A Virgilio Dante chiede esplicitamente aiuto, ma l’ostacolo, la lupa-cupidigia (Dante mostra già in

questo primo canto di considerare la cupidigia come il peccato più grave e pericoloso, che in sé può

gli altri. È a causa della cupidigia infatti, che l’umanità si trovava in uno stato di

forse riunire tutti

caos, disordine e corruzione. La Chiesa, autorità spirituale a cui era affidato il compito di guidare

l’uomo alla salvezza, rincorreva i beni terreni, si era mondanizzata, e interferiva nella sfera temporale

dell’Impero, preposto come garante della felicità dell’uomo sulla terra a causa delle sue pretese

temporalistiche sui territori dell’Impero) che impedisce il cammino verso la salvezza è insuperabile,

per cui, afferma Virgilio, occorre intraprendere un altro viaggio. Virgilio si dilunga sugli aspetti

negativi di questo vizio (l’incontenibile desiderio disordinato di tutte le cose, il facile accompagnarsi

ad altri vizi o il diffondersi tra gli uomini) e ne mette in evidenza la sicura morte spirituale per chi si

lasci in esso irretire.

Il veltro:

La lupa cupidigia, vera peste del genere umano potrà essere definitivamente debellata solo da un

Con l’immagine del

misterioso veltro o cane da caccia (allegoricamente un papa op un imperatore).

veltro e con il motivo della caccia infernale viene annunciata la prima profezia della Commedia, dal

tono oscuro e velato, vagamente apocalittico. A differenza della maggior parte delle profezie presenti

nell’opera, questa non è una profezia post eventum, cioè formulata dopo che gli eventi preannunciati

sono accaduti, e ciò ha dato motivo ai critici di cercare il vero protagonista, il veltro, della profezia

formulata da Dante. Il veltro è propriamente un cane da caccia che si distingue per la velocità. Il suo

significato allegorico è da mettere in correlazione con quello della lupa. Sicuramente sta a indicare

qualcuno che libererà l’umanità dal vizio della cupidigia e ristabilirà l’ordine morale e politico del

che costui non si ciberà né di beni materiali né di denaro ma di “sapienza,

mondo. Dante inoltre ci dice

amore e virtù” cioè delle tre virtù trinitarie (Figlio, Spirito Santo e Padre). A questo punto finiscono

le relative certezze, in quanto viene aggiunta un’espressione ancora più enigmatica: la sua nascita

sarà di umili origini; interpretazione più comune ma non l’unica). Le indicazioni fornite sono quanto

mai vaghe e oscure per permettere di identificare precisamente il personaggio a cui Dante forse ha

Dante conosceva l’identità del protagonista della profezia. Alcuni

voluto alludere. Forse nemmeno

critici ritengono che Dante attribuisca a un imperatore il compito di estirpare la cupidigia e guidare il

genere umano alla felicità terrena. I problemi sorgono quando si tenta di dare un nome al veltro. Le

diverse interpretazioni fornite dai critici si basano proprio sul significato dato al verso 105 del canto:

e sua nazion sarà tra feltro e feltro. Così:

- In senso geografico Feltre, cittadina veneta, e Montefeltro, tra le Marche e la Romagna. In tal

caso si tratt

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Publisher
A.A. 2012-2013
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher minniti.vale di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Onorato Aldo.