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Formattazione del testo
X Xn−1 n−1(−1) a = (−1) λ ,ii ii=1 i=1nXda cui si ricava la tesi, essendo a = TrM . ¥iii=1Osservazioni ed esempi.1. Il Teorema 2.3 non è invertibile, cioè, non è detto che due matrici aventi lo stessopolinomio caratteristico siano simili tra loro.2. Determiniamo χ (λ) e SpecM per la matriceM 1 0 0 1 2 0M = .1 −1 0Sappiamo che χ (λ) = det(M − λI ). Quindi3M 1 0 0 1 0 0 1 2 0 0 1 0χ (λ) = det(M − λI ) = det − λ3M 1 −1 0 0 0 1¯ ¯¯ ¯1 − λ 0 0¯ ¯¯¯ ¯¯1 2 − λ 0= = −λ(1 − λ)(2 − λ).¯ ¯1 −1 −λχ (λ) = 0 ⇒ λ = 0, 1, 2 ⇒ SpecM = {0, 1, 2}M3. In base al Teorema 2.5, una matrice singolare ammette sempre almeno un autovalorenullo.4. Il Teorema 2.6
mette in evidenza che la somma degli autovalori di una matrice coincide con la sua traccia. Questo non implica che i singoli autovalori coincidano con gli elementi della diagonale principale.
2.3 AUTOVALORI ED AUTOVETTORI
In un numero λ ∈ R si dice autovalore di un endomorfismo f : R → R se esiste un vettore v ∈ R non nullo tale che f (v) = λv. Il vettore v si chiama autovettore e λ è l’autovalore ad esso associato. L’insieme di tutti gli autovettori associati a λ, assieme al vettore nullo, si indica con E (f ) e viene chiamato autospazio di f associato all’autovalore λ. Il concetto di autovettore si rivela fondamentale per il problema della diagonalizzazione. Vale infatti il seguente teorema.
2.3 AUTOVALORI ED AUTOVETTORI 35
Teorema 2.7. Un endomorfismo f : R → R è diagonalizzabile se e solo se esiste una base di autovettori.
-Dimostrazione. Supponiamo innanzitutto che f sia diagonalizzabile. Allora
Esiste una base B rispetto alla quale A (f) è diagonale. Sia B = {v , ..., v }, e siano λ , ..., λ gli elementi sulla diagonale di A (f), cioè
λ | 0 | ... | 0 | 1 |
0 | λ | ... | 0 | 0 |
... | ... | ... | ... | ... |
0 | 0 | ... | 0 | λ |
Poiché le colonne di A (f) sono i coefficienti che consentono di scrivere le immagini dei vettori di B in funzione della stessa base B, abbiamo f(v ) = λ v, f(v ) = λ v, ..., f(v ) = λ v, che implica che B è una base di autovettori.
Supponiamo ora che esista una base B = {v , ..., v } in cui ogni elemento è un autovettore di f. Allora esistono λ , ..., λ ∈ R tali che f(v ) = λ v per ogni i ∈ {1, ..., n}, e quindi
λ | 0 | ... | 0 | 1 |
0 | λ | ... | 0 | 0 |
... | ... | ... | ... | ... |
0 | 0 | ... | 0 | λ |
.0 0 ··· λnPertanto f è diagonalizzabile. ¥Ricaviamo in particolare che la matrice rappresentativa di un endomorfismo diagona-lizzabile rispetto ad una base di autovettori è una matrice diagonale, avente come elementiprincipali gli autovalori.
Osservazioni ed esempi.
- Consideriamo una matrice generica A ∈ M (R). Questa si può sempre vedere comen nla matrice associata ad un endomorfismo f ∈ End(R ) rispetto ad una base fissata.Allora autovalori ed autovettori di A sono gli autovalori e gli autovettori di f .
- È importante notare che, quando si parla di autovettori, si fa riferimento a vettoridistinti dal vettore nullo.
2.3.1 Calcolo degli autovalori
Dalla definizione di autovalore non appare immediatamente evidente il metodo con cui sipossono effettivamente calcolare questi numeri. Esso viene fornito nel teorema seguente.
Teorema 2.8. Gli autovalori di una matrice A ∈ M (R) si calcolano come
radici del polinomio caratteristico della matrice stessa: χ(t) = det(A - tI). Dimostrazione. Se λ è un autovalore di A, esiste un vettore non nullo (un autovettore) v ∈ R tale che Av = λv. Portando tutto al primo membro nella precedente uguaglianza, abbiamo Av - λv = 0, ovvero (A - λI)v = 0. La (2.3.1) si può rivedere come un sistema lineare omogeneo di n equazioni in n incognite. La matrice dei coefficienti è A - λI, ovvero la matrice caratteristica di A. Lo scalare λ è un autovalore se e solo se esiste un (auto)vettore non nullo v ≠ 0, soluzione di (2.3.1), cioè se e solo se il sistema ammette autosoluzioni. Condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema del tipo (2.3.1) abbia autosoluzioni è che la matrice dei coefficienti abbia rango inferiore al numero delle incognite. Questo, nel caso considerato, avviene se det(A - λI) = 0. Quindi lo scalare λ èautovalore di A se e solo se è soluzione e solo se nell'equazione χ(t) = det(A - tI) = 0, anche è l'equazione caratteristica di A.
Osservazioni ed esempi.
1. Essendo gli autovalori di una matrice ottenibili come radici del suo polinomio caratteristico, matrici simili hanno gli stessi autovalori, ovvero lo stesso spettro: SpecA = SpecB. (2.3.2)
Dai teoremi 2.5 e 2.6 ricaviamo pertanto che matrici simili hanno stesso determinante (questa proprietà è già stata ottenuta per altra via nell'Osservazione (2.2) a pagina 30) e medesima traccia, ossia: TrA = TrB, det A = det B. (2.3.3)
È bene insistere sul fatto che le condizioni (2.3.2) e (2.3.3) sono condizioni solo necessarie, non sufficienti, per la similitudine, così come già osservato per il Teorema 2.3 (cfr. Osservazione 1 a pag. 34). Cioè, se A è simile a B, allora le (2.3.2) e (2.3.3) sono vere. Se sono vere nulla si può dire sulla similitudine di A e B.
2. Autovalori di una matrice diagonale.
Consideriamo una matrice diagonale A =diag(a , . . . , a ). In questo caso, essendo A−tI = diag(a , . . . , a )−diag(t, . . . , t) =1 n n 1 ndiag(a − t, . . . , a − t), e ricordando che il determinante di una matrice diagonale1 n2.3 AUTOVALORI ED AUTOVETTORI 37è il prodotto degli elementi principali, abbiamo χ (t) = (a − t)(a − t) · · · (a − t).1 2 nALe radici del polinomio caratteristico sono allora proprio gli elementi principali di A.Quanto detto vale anche per le matrici triangolari, arrivando alle stesse conclusioni:gli autovalori di una matrice triangolare sono i suoi elementi principali.3 23. Determiniamo una matrice avente il polinomio p(t) = t − 3t − t + 3 come polinomiocaratteristico. Notiamo, innanzitutto, che p(t) è scomponibile nel prodotto di fattorilineari: p(t) = (t − 3)(t + 1)(t − 1).Quindi ha tre radici reali distinte λ = 3, λ = 1 e λ = −1. QuestiSono autovalori 1, 2, 3 di una matrice che ammette p(t) come polinomio caratteristico. Per esempio, possiamo considerare una qualsiasi matrice triangolare avente λ, λ, λ come elementi principali, cioè:
1 a b 0 -1 c 0 0 3
per ogni a, b, c ∈ R. Ma avremmo anche potuto scegliere una matrice triangolare inferiore con gli stessi elementi principali, o ancora più semplicemente la matrice diag(1, -1, 3).
4. Determiniamo tutti gli autovalori della matrice A ∈ M (R) sapendo che valgono le seguenti uguaglianze: det(A - 5I) = 0, det(A + I) = 0.
Non sappiamo come è fatta A, ma le due uguaglianze precedenti ci permettono di individuare comunque i suoi autovalori. Questi sono le soluzioni dell'equazione caratteristica, ovvero sono gli scalari λ che soddisfano l'uguaglianza det(A - tI) = 0.
Ponendo nella precedente t = 5 e t = -1 otteniamo proprio le (2.3.4), quindi 5 e -1 sono due autovalori.
Però il polinomio caratteristico di A ha grado due, perché A ∈ M (R) e non può avere più di due radici. Allora 5, −1 sono tutti gli autovalori di A e SpecA = {5, −1}. Determiniamo χ (t) per la matrice A: A = [ 1 0 0 ] [ 1 2 0 ] [ 1 −1 0 ] Sappiamo che χ (t) = det(A − tI ). Quindi: A − tI = [ 1 − t 0 ] [ 1 2 − t ] [ 1 −1 − t ] =χ (t) = det(A − tI ) = det [ 1 − t 0 ] [ 1 2 − t ] [ 1 −1 − t ] =−t(1 − t)(2 − t). Alla stessa conclusione si poteva giungere osservando che A è una matrice triangolare, quindi i suoi autovalori sono gli elementi principali. Conoscendo gli autovalori conosciamo le radici del polinomio caratteristico, e quindi una sua scomposizione in fattori: χ (t) = −t(1 − t)(2 − t). A2.3.2 Autospazi di unendomorfismo f: R → R, e sia λ ∈ Spec(f) un suo autovalore. L'insieme di tutti gli autovettori associati a λ, assieme al vettore nullo, si indica con E(f) (o λ semplicemente E se non ci sono pericoli di fraintendimenti) e viene chiamato autospazio λf associato all'autovalore λ, ossia: E(f) = {v ∈ R | f(v) = λv}. A livello di matrici associate, la definizione di autospazio si traduce come segue. Se A è una matrice di M(R), e λ un suo autovalore, chiamiamo autospazio relativo a λ l'insieme: E = {v ∈ R | Av = λv}. Il nome autospazio è giustificato dal seguente risultato. Teorema 2.9. Sia λ un autovalore di un endomorfismo f: R → R, e sia E = {v ∈ E(f) | f(v) = λv}. Allora E è un sottospazio di R. Dimostrazione. Possiamo dimostrare il teorema in due maniere distinte. • Primo metodo. Per ognif(a*v + b*w) = a*f(v) + b*f(w)