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Il declino dell'Africa dopo il 1989
Ambiscono in genere a prendere il controllo di quello che almeno nominalmente resta il governo centrale, ma le strutture istituzionali, il territorio statale e la sovranità internazionale non sono indispensabili al funzionamento delle loro attività paragovernative.
I mutamenti globali seguiti al 1989 hanno portato a un crollo di interesse da parte dei principali attori internazionali per la preservazione dello status quo geopolitico nel continente africano. L'Africa è stata da allora politicamente ed economicamente marginalizzata come mostra il declino corso degli anni '90. Ad esempio gli dei flussi commerciali e degli aiuti internazionali avvenuto nel USA tagliarono il sostegno esterno al regime di Samuel Doe poiché la Liberia non era più considerata un alleato strategico. Il conseguente e drammatico spostamento negli equilibri di potere fu un fattore chiave nel trasformare la rivolta anti-Doe in una vera e propria guerra civile. A posteriori,
L'emergenza liberiana fu l'inizio di un periodo di turbolenza che ha attraversato tutta l'Africa occidentale portando alla guerra in Sierra Leone e Guinea e influenzando la Costa D'Avorio. Il mancato intervento USA in Liberia nel 1990, l'abbandono della Somalia al suo vortice di scontri interni, il ritardo e la modesta scala delle operazioni in Ruanda durante il genocidio, la rinuncia francese a intervenire in Costa D'Avorio nel 1999, sono state tutte manifestazioni di un politico e militare dei grandi paesi dell'emisfero nord. Autocrati che erano stati in precedenza sostenuti dalle alleanze esterne della guerra fredda potevano ora essere attaccati e direttamente o indirettamente rovesciati da movimenti insurrezionisti come accadde a Siad Barre in Somalia, Menghistu in Etiopia, Habya-rimana in Ruanda o Mobutu in Zaire. Gli anni '80 e '90 hanno segnato un incremento dei conflitti interni. Le guerre di liberazione coloniale e
antirazziste hanno esaurito la loro ragion d'essere con l'acquisizione dell'indipendenza da parte della Namibia nel 1990 e con la successiva transizione della democrazia in Sudafrica. I movimenti secessionisti restano invece un fenomeno di grande attualità del quale appare tutt'altro che probabile la scomparsa, quantomeno a medio termine. Dopo il successo dell'Eritrea, la regione della ex Somalia ribattezzata Somaliland, di fatto autogovernata da oltre dieci anni, ma priva di riconoscimenti internazionali di sovranità, è oggi quanto di più vicino si possa avere a un secondo caso di secessione. Comune alle insurrezioni civili riformiste e alle guerre tra i signori della guerra è stata la presenza di movimenti armati emersi in genere in aree rurali, spesso attivi attraverso le frontiere statali che hanno cercato di sfidare il potere degli stati africani e sovente hanno dato vita a proprie forme di dominio in territori nei quali ilcontrollo degli stati riconosciuti è scomparso. Questi movimenti hanno avuto gioco facile nel reperire armi su un mercato nero foraggiato non solo da alcuni paesi africani ma soprattutto dagli stati in transizione dell'ex sfera sovietica in termini di impatto sulle istituzioni statali nelle guerre riformiste; la sfera pubblica è stata riformata e trasformata in Uganda, Etiopia, Eritrea o Ruanda. In Liberia, Somalia e Sierra Leone, la guerra civile ha portato a una temporanea scomparsa o a un completo collasso delle istituzioni statali in ampie regioni del territorio nazionale. Il Congo è un caso intermedio e non ha dato inizio a una sistematica riorganizzazione dello stato. ha anche visto l'emergere di conflitti interstatali in forme precedentemente poco conosciute in Africa. Tra il 1998 e il 2000 gli scontri per il controllo di una piccola area di confine tra Eritrea ed Etiopia si sono rapidamente inaspriti conducendo al dispiegamento di
circa600.000 soldati per parte. Molto delicata era la definizione dei confini comuni.al conflitto nel Corno D'Africa, nell'agosto 1998 scoppiò una secondaQuasi contemporaneamenteguerra internazionale in parte mascherata come conflitto interno nella RDC. Giustificandosi con lanecessità di proteggere la sicurezza nazionale dalle incursioni dei movimenti ribelli facenti base inCongo, Ruanda e Uganda, invasero le regioni orientali del paese spingendo gli stati delloZimbabwe, Angola, Namibia e Ciad a inviare truppe in sostegno di Kabila. Solo nel 2003 si sarebbearrivati alla stipula di accordi di pace.Dall'analisi dei conflitti armati, si possono dedurre motivazioni ideologiche e geopolitiche, etnichee religiose, storico-culturali e conseguenze economiche. Terminato il confronto tra USA e URSS si è indebolita la contrapposizione ideologica tra le due potenze che era considerata una delle causedegli scontri civili. Negli anni '90 si è avutoun temporaneo aumento dei conflitti: la principalivittoria del modello occidentale di democrazia e mercato e la fine delle ideologie non hannocoinciso con la fine delle guerre civili. Per alcune di esse si sono protratte oltre il 1989 come inRuanda o Etiopia; le motivazioni vanno ricercate nel programma politico di riforma dello status quoche ha guidato i ribelli. Per altre, come in Guinea o Liberia, si fa riferimento a interessi privati e dibreve periodo degli insorti. Le diversità etniche non più inibite dallo scontro tra USA e URSSsembravano dover condurre a inevitabili violenze tra gruppi divisi e a una crescente competizione.Conflitti come quelli nel sud del Sudan o del Biafra mostrano che le guerre per la secessione o perl'autonomia regionale sono state costruite attorno al fattore etnico o religioso. Anche quando unmovimento armato è emerso sulla base di motivazioni non etniche, l'eterogeneità delle popolazioniafricane e la manipolazioneLa politica delle differenze hanno fatto sì che la dimensione etnica entrasse Alcuni studi hanno cercato di spiegare la violenza con l'analisi che questa nei conflitti civili. assume in un dato contesto culturale. Ad esempio, nel caso dei conflitti etnici tra hutu e tutsi nella regione dei Grandi Laghi, i processi storici e le manipolazioni politiche erano alla base della fra i due gruppi e della contrapposizione delle loro identità. L'esame radicalizzazione dei rapporti della vicenda liberiana invece, ha negato l'esistenza di una cultura invariabilmente violenta o l'inevitabilità della guerra civile. Nelle regioni settentrionali esiste un costume antico di rendere omaggio alla capacità di leadership dei governi che si dimostrano in grado di imporsi in un contesto precoloniale segnato da guerre locali continue. In altri contesti i ribelli che imbracciavano le armi sibendo vestiti da donna simulavano i più diffusi riti liberiani di
Passaggio all'età adulta. Le agenzie ONU, la BM e le ONG internazionali hanno contribuito all'analisi delle guerre civili, concentrandosi sulle conseguenze degli scontri armati. In particolare, hanno analizzato gli effetti negativi delle distruzioni e degli sconvolgimenti che i conflitti comportano per l'economia e lo sviluppo di un paese. Guerra significa rallentamento, sospensione o distruzione degli sforzi e dei processi di sviluppo economico in atto in un certo paese. L'instabilità politica tra il 1971 e il 1986, ad esempio, è costata agli ugandesi un declino del PIL pari al 13% annuo. Viceversa, gli elevati tassi di crescita registrati a partire dalla fine della guerra civile dei primi anni '80 in Uganda, nonostante il conflitto nel nord del paese e in Mozambico, sono una chiara manifestazione dei potenziali dividendi della pace. La guerra, pur essendo un costo per la collettività, può essere fonte di notevoli vantaggi.
materiali per certi gruppi o individui.
Le guerre civili oltre a comportare costi umanitari, psicologici, sociali ed economici per le società che ne subiscono le lacerazioni, ha anche i suoi beneficiari. Una guerra rappresenta il crollo dell'ordine civile, politico ed economico ma riflette anche l'imporsi di un sistema di relazioni di potere e profitto. La violenza può svolgere vere e proprie funzioni economiche permettendo abusi e illegalità che in un tempo di pace sarebbero puniti. La copertura della violenza può permettere di saccheggiare le risorse naturali di un paese, ottenere il controllo di traffici commerciali leciti o illeciti, organizzare i racket della protezione, sfruttare il lavoro o la terra delle popolazioni locali, manipolare la destinazione degli aiuti umanitari. È proprio la situazione di apparente disordine a permettere ai ribelli di trarre questo genere di vantaggi. La guerra diventa quindi una prosecuzione dell'economia.
Con altri mezzi. Non tutti hanno da perdere da una situazione di pace: le stesse forze possono avere interessi a protrarre la situazione di guerra interna. Garantisce una quantità di risorse che in tempo di pace sarebbero dirette verso settori quali sanità o istruzione. Nella Liberia dei primi anni '90 perfino i peacekeepers inviati dall'Economic Community of West African States (ECOWAS) trovarono il modo di trarre profitti dalla guerra civile vendendo illegalmente armi ai ribelli che erano incaricati di contrastare. Alcune vicende recenti hanno mostrato l'importanza dello sfruttamento delle ricchezze naturali in certi stati da parte dei ribelli per il ruolo che gli interessi economici svolgono nella proliferazione dei conflitti civili. In paesi come Liberia, Sierra Leone, Angola e Congo, gomme, metalli o legnami pregiati (i cosiddetti conflict goods o beni fonte di conflitto) sono stati sistematicamente predati e illegalmente messi in commercio, ne hanno tratto profitto.
sia per l'arricchimento commercio da movimenti armati che privato che per finanziare la loro guerriglia. Il comune denominatore di tali beni è la loro trasferibilità, essenziale per consentire lo sviluppo di reti di smercio clandestino. Inoltre, la possibilità che i ribelli immettano illegalmente questi prodotti sui mercati mondiali sarà tanto maggiore quanto più difficile sarà tracciarne l'origine. A partire dal 1998 è stata adottata una serie di misure d'embargo al commercio delle gomme provenienti da Angola, Sierra Leone e Liberia che fossero prive di un certificato dei rispettivi governi. In seguito, su iniziative di ONG come Oxfam e Amnesty International e con l'appoggio attraverso il World diamond council di grandi compagnie diamantifere che temevano danni di immagine, la strategia della tracciabilità ha dato vita al processo di Kimberley prendendo il nome.alla produzione e al commercio dei diamanti, al fine di garantire che siano estratti e venduti in modo etico e sostenibile. La certificazione dei diamanti è gestita dal Kimberley Process Certification Scheme (KPCS), un sistema internazionale di controllo che verifica l'origine dei diamanti e ne garantisce la legalità. I paesi che aderiscono al KPCS devono implementare misure per prevenire il traffico di diamanti provenienti da zone di conflitto, noti come "diamanti del sangue". Inoltre, devono adottare norme per garantire la tracciabilità dei diamanti lungo la catena di approvvigionamento, dalla miniera al consumatore finale. La certificazione dei diamanti è un importante strumento per combattere il commercio illegale e promuovere una maggiore trasparenza nel settore.