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Le origini risalgono ai primi decenni del Novecento con la nascita del movimento per l’istruzione
visuale. Dai primi film educativi ai contenuti audiovisivi, nei primi cinquant’anni del Novecento il
focus è sui media per insegnare ad apprendere. Domina d’approccio strumentale ai media e alle
tecnologie. L’educazione tecnica è intesa come scienza dei mezzi.
La svolta sistemica si ha a partire dagli anni Sessanta, quando il focus si sposta dall’impiego dei
media per apprendere alla progettazione, gestione e valutazione di sistemi di istruzione/
apprendimento. «Un modo sistematico di progettare, sviluppare e valutare l’intero processo di
insegnamento/apprendimento in termini di specifici obiettivi, basandosi sulla ricerca relativa
all’apprendimento e alla comunicazione umana, e utilizzando una combinazione di risorse umane
e non umane per rendere più efficace l’istruzione». Così “debutta” l’approccio sistemico.
L’educazione tecnica è intesa come scienza dell’istruzione.
I due filoni riguardano:
1. la ricerca sugli impieghi educativi dei media e delle ICT;
2. la ricerca sulla progettazione, gestione e valutazione dei sistemi istruttivi (Instructional design).
Il focus in chiave storica sul primo filone consiste nel comparare interventi formativi in cui si faceva
uso di tecnologie con interventi formativi in cui non si faceva uso di tecnologie e valutare quale
fosse l’intervento migliore. Il primo media posto in analisi fu il cinema. L’immagine in movimento
porta il mondo in aula. L’utilizzo di questi media allarga l’accesso perché porta informazioni anche
laddove non ci sono le scuole. Negli anni Venti e Trenta, la radio permette l’ascolto, anche a
chilometri di distanza, della voce di un professore che vuole far lezione. Negli anni Cinquanta è
stata la volta della televisione, anche grazie al maestro Manzi che istruiva tantissime persone
grazie a trasmissioni televisive. Negli anni Settanta i computer vengono introdotti nelle scuole dei
paesi industrializzati. Dagli anni Settanta ad oggi, si è accompagnata una particolare visione dei
computer nell’aula scolastica: in principio si è visto il computer come uno strumento per veicolare
contenuti e proporre esercitazioni con feedback automatico. A partire dagli anni Ottanta, l’accento
si è spostato sulle opportunità che il computer forniva di amplificare alcune funzioni cognitive. Lo
studente poteva così ampliare e sviluppare alcune facoltà cognitive. Il computer è stato visto come
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uno strumento che ampliava le funzioni comunicative ed espressive. Oggi internet abilita la
collaborazione a distanza tra persone.
Larry Cuban ha ricostruito la storia cercando di fare un bilancio riguardo le tecnologie in
educazione. Una prima importante osservazione che deriva dall’analisi di Cuban è che lo sviluppo
delle tecnologie educative è paragonato ad uno sviluppo ciclico fatto di corsi e ricorsi. La storia
delle tecnologie in educazione, infatti, si ripete e in particolare si ripete lo schema che vede
l’alternanza di entusiasmo, speranza e delusione. Secondo Cuban, ogni volta che una nuova
tecnologia fa la comparsa sulla scena educativa, per un effetto di novità e sorpresa e per uno
sguardo volto al futuro più che al passato, si genera un effetto di grande entusiasmo e attrazione
verso di essa. La ricerca si sofferma soprattutto sui benefici e sulle opportunità delle tecnologie.
Molto spesso, però, l’adozione delle tecnologie non è mai passata da una fase di sperimentazione
ad una fase di messa a regime. Molto spesso arriva una nuova tecnologia e il processo di
entusiasmo per quest’ultima si ripete. La fase del declino è caratterizzata principalmente dalla
delusione e la ricerca si sofferma sulle motivazione delle criticità di una determinata tecnologia. La
ciclicità della storia ci fa pensare al fatto che sembrerebbe che chi si occupa di questi temi soffra di
amnesia della storia, al punto di dimenticarsela. La storia ci dice anche che non basta introdurre le
tecnologie per produrre una trasformazione delle istituzioni educative: la tecnologia non è una
magia che basta per cambiare il mondo delle istituzioni educative. Una visione deterministica
attribuisce alla tecnologia il potere univoco di cambiamento. Il determinismo tecnologico duro
attribuisce alla tecnologia la capacità autonoma di modificare la società e le organizzazioni.
Secondo Buckingham, nelle visioni deterministiche si ritiene che le tecnologie siano il risultato di
un processo neutrale su cui non incidono forze sociali politiche ed economiche. Queste forze
giocano un ruolo cruciale nel determinare quali tecnologie verrano sviluppate e vendute. Ne
consegue che alla tecnologia viene imputata la capacità di avere effetti, produrre cambiamenti
psicologici e sociali, indipendentemente dal modo in cui viene usata e i processi sociali in cui
interviene. La tecnologia non è una forza autonoma, ma è influenzata dalla società che ne fa uso e
che la produce. La tecnologia condiziona però i modi in cui la società ne fa uso.
L’oggetto ha delle proprietà che ne condizionano l’uso. Un’affordance implica la complementarietà
dell’animale e dell’ambiente. Secondo Gibson, le potenzialità degli oggetti tecnologici emergono
nell’interazione con gli esseri umani.
Esistono una varietà di fattori per cui i processi di innovazione tecnologico-educativa possono
essere ostacolati:
- la dimensione tecnico-pratica, che riguarda le strumentazioni;
- la dimensione organizzativa, che riguarda la modalità di implementazione dell’innovazione;
- la dimensione socio-culturale, che riguarda la grammatica della scuola in quanto istituzione, cioè
il fatto che la scuola, poiché è un’istituzione che deve sopravvivere, ha delle regole di
funzionamento che ne garantiscono l’esistenza, e la natura del ruolo professionale
dell’insegnante. I 2 aspetti della grammatica sono la finalità della scuola, cioè il raggiungimento
degli obiettivi minimi di apprendimento, e l’organizzazione di tempi, spazi e programmi. Quando
l’insegnante vede minacciata questa novità da una pratica innovativa, l’insegnante scarta le
tecnologie che gli rubano tempo e opta per quelle che sono più funzionali alla grammatica
scolastica. La natura del ruolo professionale dell’insegnante consiste nel fatto che tutti colo che
sono diventati insegnanti hanno avuto un lungo apprendistato nel ruolo di studenti.
Cuban conclude che la visione della tecnologia come una medicina capace di risolvere i problemi
della scuola è da considerarsi definitivamente chiusa.
Educazione e tecnologie: la tecnologia trasforma le nuove generazioni di studenti?
Coloro che sostengono la tesi secondo cui genererebbe una nuova generazione di studenti
caratterizzata da pratiche cognitive diverse dalle generazioni precedenti, muovono dall’assunto
che le nuove generazioni vivono immerse nelle tecnologie. Il vivere immersi nelle tecnologie
produce delle conseguenze: Prensky sostiene che l’inversione tecnologica sarebbe all’origine della
nascita di una nuova generazione dotata di nuove capacità cognitive. La prima tesi sostiene che
sta nascendo una generazione dotata di nuove capacità cognitive legate all’uso intensivo delle
tecnologie. La seconda tesi sostiene che questa trasformazione radicale sta producendo un
sostanziale scollamento tra i giovani e le istituzioni educative. Queste ultime dovrebbero
riconfigurarsi per rispondere ai nuovi stili cognitivi e soddisfare le nuove esigenze emergenti. 2
Secondo Paolo Ferri lo spartiacque va spostato in avanti perché l’inserimento delle tecnologie è
più tardiva rispetto agli Stati Uniti e va collocato a metà degli anni Novanta.
I dati relativi all’accesso tecnologico riferiscono che la distribuzione delle tecnologie a livello
planetario è caratterizzato da forti disuguaglianze. Assumere l’età anagrafica come criterio per
delineare uno spartiacque non è sensato perché bisogna riferirsi anche al contesto sociale e
geografico in cui una persona è nata. Dalle ricerche emerge anche che tendenzialmente gli
adolescenti prediligono e si dedicano ad attività abbastanza banali nell’uso delle tecnologie. La
nuova generazione dell’Homo zappens può organizzare una grande quantità di informazioni. La
tendenza prevalente è quella di fidarsi di ciò che si trova su Internet.
Dalle ricerche emerge un quadro molto più articolato rispetto a quello prospettato dai sostenitori
delle tesi sui nativi digitali:
- un atteggiamento pragmatico di accettazione consapevole legata al ruolo della scuola;
- l’uso del computer portatile in classe come una pratica “antisociale”;
- visioni influenzate più dalle precedenti esperienze di apprendimento in situazioni formali che
dall’uso delle tecnologie al di fuori della scuola.
Internet: quali rischi e quali opportunità?
Un gruppo di ricerca ha provato a creare una mappa dei rischi e delle opportunità di Internet. Il
gruppo ha considerato i diversi ruoli che i bambini possono avere in rete. Il bambino può essere
visto come il ricevente di un contenuto, come qualcuno che partecipa ad un’interazione o a uno
scambio e come qualcuno che produce un contenuto. In base al ruolo del bambino, il gruppo di
ricerca ha creato una tabella che elenca i rischi e una che elenca le opportunità.
La competenza digitale è formata da 3 ambiti:
1. tecnologico;
2. etico;
3. competitivo.
Tecnologie e apprendimento: paradigmi teorici e modelli applicativi
Storicamente si sono delineati due filoni: il primo poneva l’attenzione sui mezzi e il secondo
guardava i mezzi in un’ottica sistemica. L’ottica sistemica si caratterizza per una visione che fa leva
sugli apporti e i contributi teorici forniti della ricerca relativa all’apprendimento e alla comunicazione
umana. La ricerca su questi due ambiti non era stata sufficiente da fornire una base teorica per
altre discipline.
I paradigmi teorici che hanno influito sullo sviluppo delle tecnologie dell’istruzione come scienza
dell’istruzione sono:
1. il comportamentismo, negli anni Cinquanta e Sessanta. I lavori di Skinner gli permisero di
scrivere The sciente of learning and the art of theaching. Uno dei concetti fondamentali del
comportamentismo è che non possiamo conoscere ciò che accade nella mente, detta black
box, perché i processi cogniti non sono osservabili, ma possiamo conoscere solo i
comportamenti. Si afferma quindi l’idea di una pedagogia come scienza di ciò che è
direttamente osservabile. A partire da questa prem