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WORLD
• Bisogna conoscere e dare credibilità al proprio mondo → l’importante non è l’iperrealismo, ma la
credibilità
• Creare regole
• Lavoro di ricerca (es: come sono le cucine parigine per Ratatouille ecc.)
• Layout → posizionamento della camera (virtuale) nello spazio (virtuale)
• Animation → animazione de personaggio
• Blocking → animazione dei movimenti principali
• Polish → rifinire l’animazione nei suoi dettagli
• Simulation → simulazioni della fisica del personaggio (capelli, vestiti, fluidi…)
• USD (Universal Scene Description) → un sistema che facilita il lavoro di flusso nella produzione di
computer grafica, unendo diversi software (PRESTO, ecc.)
• Lighting → definire la fotografia e le fonti di luce
• Sound Fx → sound effects
• Rendering → unificazione di tutti i livelli e costruzione del file
La colonna sonora viene composta durante la fase di sceneggiatura.
02/05/17
Dispositivo lens-based: dispositivo basato su un obiettivo (es: telefono, videocamera…).
Telecamera → apparato di ripresa (quella che sta per esempio negli studi televisivi) → non registra, ma
riprende e basta. È uno scatolotto dotato di obiettivo che però non registra da solo.
Cam-Corder → è il sistema integrato di camera+recorder → è un’apparecchiatura che da sola può sia
riprendere che fissare/registrare le immagini riprese.
La tecnologia elettronica non affonda le radici negli anni ’50-’60, ma negli anni ’20-’30, anni in cui si
fecero esperimenti sulle immagini televisive. La televisione venne sperimentata già a partire da quasi un
secolo fa, in particolare in Gran Bretagna. Alla metà degli anni ’60 la Sony inventò il sistema Portapak,
ovvero una telecamera collegata a un videoregistratore molto pesante (a tracolla) → la gente poteva usarlo
per strada. Nei primi anni ’70 il film underground Anna (di Alberto Grifi) venne girato con un sistema tipo il
Portapak, ovvero una telecamera elettronica. Un altro esempio è Il mistero di Oberwald (1981, Antonioni),
un film per il cinema girato in elettronica, con degli effetti di luce realizzati con un mixer video. Un altro
esempio ancora è Giulia e Giulia (1987, Peter Del Monte), girato anch’esso con tecnologia elettronica.
Questi film non ebbero un grande successo (né commerciale né di critica).
Negli anni ’90 cominciano a diffondersi le prime videocamere digitali.
Nel 1989, con The Abyss (James Cameron) abbiamo un altro passaggio importante: qui abbiamo il primo
convincente digital character all’interno di un film mainstream in live action; questo personaggio fatto di
acqua venne realizzato dalla Pixar tramite il suo software RenderMan.
Nel 1995, con Toy Story abbiamo il primo lungometraggio interamente realizzato in computer grafica. Non a
caso il film mette in scena dei giocattoli, ovvero oggetti con superficie plastiche; il computer infatti non era
ancora abbastanza sofisticato da rendere superfici morbide, pelose ecc.
Teorici e filosofi cominciarono a chiedersi cosa stessero facendo il cinema e i media in generale con queste
immagini digitali. Tra questi abbiamo il filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard. La sua
preoccupazione per l’arrivo di queste immagini era che la realtà scomparisse, per lasciare il posto al
simulacro, il quale ricrea la realtà in modo sempre più perfetto, ma, parallelamente, sempre più fittizio. Lui
parla di “perfezione inutile”, di immagini “super dotate”, egli parla proprio di immagini pornografiche; la
caratteristica del film pornografico è proprio il fatto che lo spettatore vede tutto, non ha spazio per
l’immaginazione (mentre nel film erotico si lascia immaginare; è un po’ come la differenza tra horror e
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thriller: nel primo si esibisce tutto ciò che provoca paura, mentre nel thriller è lo spettatore a immaginare o
intuire). Baudrillard afferma dunque che le immagini digitali sono troppo perfette, troppo pulite → tolgono
quella che è l’illusione su cui si basa il cinema. Il pensiero di Baudrillard si richiama al mito della caverna
di Platone → gli spettatori del cinema digitale sono come gli uomini nella caverna che credono che le ombre
siano la realtà: credono che le immagini ricreate in digitale siano la realtà. Dietro a tutto questo, c’è un
discorso politico: l’uomo moderno, angosciato da tante paure e dubbi, finisce per rifugiarsi in questa realtà
parallela, virtuale. Baudrillard usa molto il termine “iperreale”, ovvero un reale più reale del reale: qualcosa
che si vuole spacciare per reale, ma che reale non è. Il digitale in realtà altro non è che l’ultimo di una serie
di passaggi atti ad aumentare sempre di più la realisticità del cinema: il 3D, il sonoro, i colori ecc.
Lev Manovich afferma che con il digitale in realtà il cinema torna un po’ alle sue origini: le procedure su
cui si fondano le tecnologie digitali tornano a mettere in primo piano l’importanza della manualità. Questo
pensiero sembra trovare una sua rappresentazione simbolica proprio nella mano di Catmull. La manualità
torna ad avere un ruolo importante perché oggi la manipolazione/alterazione/costruzione delle immagini è il
tema più importante; ovviamente questa è una manipolazione filtrata, in quanto avviene tramite strumenti
come il mouse o la tavoletta grafica ecc. Le immagini digitali partono sempre da uno sketch, un disegno,
uno schizzo, un modellino (come diceva Grandi nella lezione precedente).
Oggi, qualsiasi film (compresi film in live action e documentari) è soggetto a manipolazione; si pensi alla
color correction, ovvero quella fase di post produzione in cui si lavora sull’accentuazione di determinate
tonalità, sul bilanciamento dei colori ecc. Già nel cinema delle origini si aveva una sorta di color correction,
tramite la colorazione delle pellicole.
Oggi tutto il cinema, non solo quello d’animazione, è soggetto a manipolazione. Il cinema d’animazione è,
concettualmente, la pratica del compositing, ovvero quel lavoro sui layers, sui livelli delle immagini che
vediamo sullo schermo. Già il cinema d’animazione delle origini era fondato su dei layers: si disegnava su
più fogli, poi sovrapposti tra di loro. Oggi il compositing si fa con software professionali come Photoshop,
tramite cui si può modificare singolarmente ogni livello. Il compositing è oggi presente in ogni tipo di film,
da quelli di animazione ai documentari. Quando parliamo di animazione, quindi, non ci riferiamo
necessariamente al cinema d’animazione, ma anche ad altri film o a video promozionali, pubblicità, video
musicali ecc.
Manovich sostanzialmente elabora questa equazione: cinema digitale = ripresa dal vivo + pittura +
elaborazione delle immagini + montaggio + animazione computerizzata in 2D + animazione
computerizzata in 3D. Manovich parla di “pennello cinetico”.
Carlo Rambaldi (il padre di E.T.) ha sempre rifiutato le tecnologie digitali; E.T. era infatti un animatronic,
una sorta di pupazzo comandato da un computer. Lo stesso Spielberg con i dinosauri di Jurassic Park usò
(in parte) degli animatronic, soprattutto nelle scene di interazione con gli attori.
La questione fondamentale è: il cinema, oggi, è ancora una traccia della realtà? Oppure, come dice
Baudrillard, tutto è artificio, simulacro, e manipolazione e quindi non ha contatto con la realtà? Lo studioso
Charles S. Peirce (fine ‘800-inizio ‘900) si occupò dei cosiddetti “segni visivi” (→ semiotica); tutte le
immagini sono segni (significati) visivi. Peirce elaborò una tripartizione dei segni visivi:
• simboli: è un segno visivo che risponde a una convenzione, a una decisione arbitraria condivisa da
una determinata comunità di persone (es: cartello stradale del divieto di sosta → uno che non
conosce il codice stradale non saprebbe dare un significato al cartello, in quanto quest’ultimo non ha
un rapporto diretto con la realtà);
• icone: è un segno visivo che ha una dimensione non solo simbolica, ma anche iconica → ha una
rassomiglianza con il concetto a cui si riferisce (es: cartello stradale di attraversamento cervi →
anche un bambino piccolo sarebbe in grado di ricondurre il cartello a un cervo);
• indici: è il segno visivo delle impronte, le quali sono fisicamente determinate da qualcosa di reale
(es: le impronte digitali; le impronte dei piedi sulla spiaggia; il fumo → indice che c’è un incendio o
un fuoco acceso; la manica a vento → indice del movimento del vento); gli indici sono quindi tracce.
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Questa tripartizione, dunque, che può apparire prettamente teorica, è in realtà molto concreta. Come si può
applicare questa tripartizione al cinema? Prendiamo per esempio Blow-Up o anche le vedute dei Lumière o i
cartoni di Topolino: le immagini di questi film hanno, per definizione, una dimensione iconica (in quanto ci
riporta a qualcosa di realmente esistente). Le immagini dei film girati in pellicola hanno anche una
dimensione indessicale, in quanto le immagini che scorrono sulla pellicola sono la traccia di qualcosa di
fisico. Le immagini scattate con un telefonino sono iconiche? Sì. Sono indessicali? Sì. Tutte le immagini
riprese con un dispositivo lans-based sono indessicali. Se invece realizzo un’immagine completamente al
computer, allora abbiamo un’immagine non più indessicale, ma solo iconica e che si fonda sui codici del
digitale (codice binario 0-1).
Anche nel mondo del digitale, quindi, può permanere una dimensione di traccia, anche nel caso delle
immagini realizzate completamente in digitale (→ non è quindi vero ciò che diceva Baudrillard, ovvero che
le immagini digitali sono completamente fittizie). Si pensi al personaggio di Gollum ne Il signore degli
anelli: per la creazione di Gollum venne utilizzata la motion capture, un procedimento che implica una
cospicua dose di indessicalità → anche per arrivare alla cosa più irreale, non si può prescindere dall’attore in
carne e ossa, non si può prescindere da un referente reale, fisico, carnale, concreto. L’attore Andy Serkis
indossò una tuta mocap (motion capture), su cui vennero iscritti dei punti collegati poi a dei laser → il corpo
di Serkis fece da marionetta e i suoi movimenti vennero poi associati all’immagine ricreata in digitale di
Gollum. Quindi il prodotto digitale è sì assolutamente digitale, ma alla sua origine troviamo un attore in
carne e ossa.
Il procedimento della motion capture ha in realtà