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LA TEORIA CRITICA
Nasce negli anni ‘90. Ha una funzione diversa. Vuole criticare, è metateoria.
Assunti:
- importanza dei fattori immateriali. I fattori immateriali sono tanto importanti quanto
quelli materiali. La potenza militare è importante ma le indennità sono altrettanto
importanti. Le norme contano. Fattore importante le identità: come ci si percepisce?
Qual è il ruolo che ci si attribuisce? Tutti i fenomeni sociali sono sociali e quindi
hanno componenti materiali e una componente socialmente costruita. Lo stesso
comportamento può essere interpretato in modi diversi.
- critica alla centralità ontologica dello Stato. La visione dello stato è hobbesiano,
ma ci sono delle alternative. Si può anche pensare ad altre forme di convivenza
politica. Perchè centralità ontologica? Dobbiamo mettere da parte lo stato.
- epistemologia post-positivista. Per liberalisti e realisti si ha una differenza tra
studioso e oggetto di studio, come medico che studia la malattia. La teoria critica
dice invece che il sapere che noi produciamo non è separato dall’oggetto. Chi studia
è parte del problema che vuole studiare. Il sapere non è neutrale, non si studia la
guerra perchè si vuole capirla ma perché a qualcuno conviene sapere come si fa. La
guerra è un fenomeno contingente.
Lo studio corretto dei problemi politici e sociali non deve essere di risoluzione problemi ma di
demistificare i problemi precedenti. E’ una metateoria. Il fine non spiegare perchè c’è la
guerra ma mostrare la falsità della guerra. Cambia visione dell’oggetto si studio e cambia il
rapporto coi valori.
LEZIONE 5
LA TEORIA CRITICA
Abbiamo visto gli assunti di partenza, cosa contraddistingue la teoria critica dalle altre due.
Differenze rilevanti: gli autori si interessano sia agli studi che agli oggetti di studi. Si vuole
minare al paradigma positivista che ha esaurito quello che si poteva dire durante la guerra
fredda.
Contributi: L'idea viene proposta da autori danesi (Waever), scuola
- securitizzazione.
di Copenaghen, questa scuola è la prima ad aver posto l’attenzione sul
bisogno di andare oltre lo stato-centrismo della visione tradizionale,
proponendo una visione olistica della sicurezza, in cui i livelli di analisi
individuale, statale e del sistema internazionale risultino legate. Ed oltre i
tradizionali settori di definizione del problema della sicurezza nazionale,
per includere, accanto al tradizionale settore militare, anche quelli
societal
economico, politico, ambientale e ‘societario’ ( ). La scuola di
Copenaghen analizza il problema della sicurezza di un approccio
costruttivista e rifiuta l’oggettività delle minacce, preferendo concentrarsi
del processo che porta una
sull’analisi della securitizzazione, ossia
problematica ad essere percepita come problema di – o minaccia alla –
sicurezza. Perché un problema sia problema di sicurezza non è sufficiente
che esso esista oggettivamente, ma occorre che sia anche percepito
soggettivamente . Una problematica diventa di sicurezza quando viene
presentata come una minaccia esistenziale all’”oggetto di riferimento”
proprio di ogni settore della sicurezza ed è tale da giustificare l’adozione di
misure di emergenza e di azioni non inquadrabili nei normali limiti dei
processi politici. La securitizzazione è, dunque, una forma estrema di
politcizzazione, avviata da “attori securitizzanti” quali leader politici,
burocrazie ecc. che percepiscono e presentano la minaccia come
totalmente vitale e urgente da legittimare anche un’eventuale infrazione
delle regole. Si pongono una domanda semplice: come riconosciamo una
questione di sicurezza? Se si parla di bombe ok, se si parla di malattie per
esempio? La sicurezza diventa una questione di sicurezza ma anche di
sanità. La risposta è molto semplice varia, dipende, quello che possiamo
considerare sicurezza è il risultato di un'azione. Le questioni vengono
definite dai leader politici, non c'è niente necessariamente di sicurezza
però ci sono delle questioni che vengono securitizzate. Waever si aggancia
parlare non è solo attribuire dei
alla strategia dello speech act →
significati e scambiarsi informazioni ma parlare è un'azione vera e propria
con le conseguenze. Parlare stabilisce dei significati e delle conseguenze.
Wever dice che più o meno avviene la stessa cosa in ambito di sicurezza, i
leader politici quando parlando di questioni sicurezza non stanno solo
definendo dei significati, ma attribuiscono alle questioni uno status
diverso. Il punto è che nulla è sicurezza e tutto può essere sicurezza.
Perchè se io dico che l'inquinamento o una minaccia alla sicurezza, se lo
dice Obama invece è importante? Perchè osserva Weer è importante
l'autorità della fonte, perché un discorso venga securizzato lo speech act deve
provenire da una fonte di autorità, quindi dovremmo osservare i discorsi dei leader
politici. Quindi si va a vedere come un parlamento definisce una certa questione.
Quindi una questione deve essere portata nell'agenda di sicurezza da un'autorità
politica. Una volta che questo succede il semplice fatto che si parli di immigrazione, i
flussi migratori sono un tema di sicurezza? Non è questione di sicurezza in sé ma
piuttosto di politica sociale. Il dato empirico non ci mostra nessuna correlazione tra
flussi migratori e forma di minaccia all'incolumità. Il punto è che la stessa
argomentazione può essere vana, quello che importa è ciò che viene detto. Abbiamo
la securitizzazione di un problema quando autorità plastica stabilisce che la
categoria della issue è di sicurezza. Questo comporta in primo luogo che la
definizione della questione sia vista come minaccia a qualcosa che mina l'integrità. Il
primo requisito perchè la securitizzazione abbia successo è che deve essere
convincente sul fatto che la questione mina la gravità. Poi se è una questione di
sicurezza sono previste delle misure eccezionali. Leggi italiane contro terrorismo
anni '70. O dopo 2001, per combattere terrorismo ci vogliono delle misure che
limitano le libertà dei civili americani, sono misure eccezionali, una guerra è una
misura eccezionale. Il discorso sulla securitizzazione ci dice che d'ora in poi
dobbiamo uscire dal solito paradigma per osservare sicurezza dei beni culturali. Nel
2003 talebani distruggono statue del Buddha in Afghanistan, ma sono patrimonio
dell'umanità. Stessa cosa accade a Palmira. Putin ha securitizzato una questione
che normalmente non è messa come questione di sicurezza e ha mandato soldati
russi in Siria a combattere.
- emancipazione. L'autore che ne parla Ken Both nel Galles a Brit Bit. Dice una cosa
vecchia, da cosa dipende la sicurezza? La sicurezza non deve essere riferita in
termini di pace, la pace presuppone che non ci sia violenza tra stati. La violenza è
qualcosa di molto più diffuso, sicurezza in alcuni territori è sicurezza dalla droga.
L'origine dell'insicurezza sta nelle disuguaglianze e nell'oppressione. Both dice che si
può parlare di gruppi sistematicamente discriminati, minoranze come genere (in
questo caso si ricollega a Marx sostituendo alle classi i gruppi), ma anche tra paesi
ricchi e poveri. Mutuati dal materialismo marxista, aggiunge poi la questione della
violenza strutturale. Il fatto è che per esercitare violenza non è necessario avere un
agente che nuoce a qualcuno, la violenza può essere strutturale. Cioè c'è una
struttura economica, politica, sociale che impedisce ad alcuni gruppi di realizzarsi.
Rispetto al discorso geometrico rispetto a sicurezza e ambito militare qui sicurezza
tocca tutto. L'unica soluzione per avere sicurezza secondo Both è che tutti devono
essere emancipati. Ci vuole una rivoluzione, evoluzione, chi deve intervenire?
Rivoluzione dall'alto o dal basso? Fintanto che questa emancipazione non sarà
realizzata come si fa a ottenere la pace. C'è una chiara distinzione tra buoni e cattivi,
la violenza è del più forte sul più debole. La violenza da parte dei più deboli può
essere invece accettata come una forma di emancipazione.
Critiche
- securitizzazione e contatto con realtà. Se seguiamo la logica dell'argomentazione
della teoria critica, noi possiamo definire minaccia alla sicurezza qualsiasi cosa e
quindi focalizzarci sui problemi marginali e fregarcene di problemi 'più seri'. La
credibilità del discorso dipende da un confronto con la realtà. Se io dico che una
questione è un problema prima o poi qualche dato pratico lo deve portare.
- ambiguo significato di emancipazione. Il problema di dare una prescrizione in
seguito a un concetto viene meno.
- lo Stato conta ancora. Competizione geopolitica, la minaccia è lo stato e quindi
bisogna dare importanza allo stato.
LO STUDIO DELLA GUERRA
Introduzione
Il tema della guerra è un tema complesso perchè non ha mai una stessa risposta, la guerra
si presenta in modi diversi quindi il fatto che sia un fenomeno complesso ci mette in guardia
dalle soluzioni facili.
La guerra è un fenomeno ricorrente e non intenzionale.
La guerra è una delle attività politiche più vecchie del mondo. La prima guerra registrata è
del 3000 a.C., ma ancora più indietro la città di Gerico attorno a 8000 aveva una cinta
muraria.
1. La guerra è un fenomeno ricorrente per cui non possiamo accontentarci del primo
livello di analisi, a volte poi è un fenomeno non intenzionale. Gli stati fanno la
guerra ma i leader ne farebbero a meno. A volte alcuni fanno la guerra perchè
pensano che sia un'azione obbligata, l'unico modo per ottenere un obiettivo. Ne
discende che la guerra è un puzzle, un interrogativo, qualcosa che dobbiamo
sforzarci di spiegare.
2. Secondo aspetto, la guerra è un fenomeno mutevole perchè può prevedere un
maggior o minor coinvolgimento di persone, una cosa è la guerra di popolo o la
guerra del minuetto in cui abbiamo nobili che si combattono secondo regole decise a
tavolino. Alcune guerre coinvolgono tutti, altre guerre (Kosovo) hanno comportato per
noi minimo coinvolgimento. E' difficile elaborare una teoria, trovare quegli elementi
che in tanta varianza rimangono costanti.
3. Terza considerazione: la guerra nasce come fenomeno politico, da comunità che
si scontrano. La guerra ha un rapporto simbiotico con la politica. La politica stabili