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Tutto si giocava sulla storia, e se i film erano ripresi o ispirati da romanzi veniva indicato.
Nel 1914 Griffith gira un’epopea sulla guerra civile americana “The birth of a nation”, nel quale le
inquadrature sono fatte sulle fotografie di repertorio. Il film ha un grandissimo successo e Griffith
trionfa, trionfa il suo nome. Nonostante questo il film fu ampiamente criticato per il sottotesto
politico reazionario e l’esaltazione del Ku Klux Klan, che nel film vengono visti quasi come
salvatori.
Del 1916 è “Intolerance”, un film a episodi, costruito con il montaggio alternato: le quattro storie
sono intrecciate tra loro a seconda dei tempi e dei ritmi. Il film fu un flop e costrinse Griffith a
pagarne i debiti fino al 1923, mettendo a rischio la sua carriera. I debiti erano dovuti soprattutto alle
sontuose scenografie, tra le quali la ricostruzione del mondo antico di Babilonia.
Tuttavia il film successivo “Cuori del mondo” con protagonista Lillian Gish fu un successo.
Nel 1919, precisamente il 5 febbraio, fondò insieme a Charlie Chaplin, Mary Pickford e Douglas
Fairbanks la United Artists, una casa di produzione indipendente che difendesse l’autonomia degli
artisti rispetto al potere sempre più incombente dei produttori. Il loro primo film fu “Broken
Blossoms”. Broken Blossoms (1919)
Il film, basato su un racconto di Thomas Burke, racconta la storia, ambientata nel quartiere cinese di
Londra, racconta di due anime gentili ma reiette, che stringono una delicata amicizia: la ragazzina
Lucy Burrows (Lillian Gish, in una delle sue interpretazioni più notevoli), figlia di un ex-pugile
alcolizzato, e il cinese Cheng Huan, venuto in Occidente per diffondere la dottrina buddista, ma
scontratosi con la durezza della vita locale. Quando la ragazzina fugge dal padre l'uomo si offre di
ospitarla casa sua, ma il padre riesce a ritrovarla, riportandola brutalmente a casa dove la percuote
fino alla morte. Sconvolto, Cheng lo uccide, per poi tornare alla sua piccola stanza, dove si toglie la
vita.
Questo film affrontava un tema caro a Griffith, quello della violenza sui deboli. Il regista ci racconta
una storia alla Dickens, un puro melodramma, con una netta separazione tra buoni e cattivi, secondo
lo schema più classico della narrativa popolare, ma dal quale, proprio in virtù dei contrasti
elementari, scaturisce un forte senso drammatico. L’amore tra Lucy e Chen è utopico, oltre che
assolutamente platonico, è reso impossibile dalla differenza di età tra i due (Lucy ha tredici anni) e
dall’intolleranza e il razzismo del padre di Lucy. D’altra parte una delle caratteristiche salienti del
melodramma è l’impossibilità dell’amore.
Il film non risparmia nessun estremo, dalla povertà del quartiere londinese alla purezza dell'affetto
del cinese verso la bambina, dalla depravazione del padre fallito, al sacrificio finale.
Le star, in questo caso del cinema muto, erano legate a una specifica tipologia di personaggio, la
Gish faceva sempre la parte della vittima. Il pubblico, a seconda degli attori che prendono parte a un
film, sa già che tipo di storia verrà raccontata, ma si diverte a vedere come, conosce la fabula ma
non l’intreccio. Al contrario i personaggi secondari hanno la libertà di spaziare in più ruoli. Donald
Crisp, che interpreta il padre di Lucy, sarà un padre amorevole e ammirato dal figlio in “Come era
verde la mia valle” di John Ford.
Il film è un melodramma classico, ma stranamente fa anche un discorso orientalista: atteggiamento
occidentale per cui le altre culture vengono viste come portatrici di un’umanità più ingenua, non
corrotta dalle guerre e dal capitalismo. L’occidente nel film è dipinto come violento in
contrapposizione al ragazzo venuto dalla Cina per portare ideali di fratellanza e di pace (l’unico
momento di violenza è infatti rappresentato dalla scena con i due marinai americani che Cheng
tenta di calmare). Cheng, in quanto personaggio pacifista, viene subito sconfitto (lo si capisce dalla
scena della fumeria d’oppio), il che significa che l’impatto con la cultura occidentale è disastroso.
L’attore ha un solo primissimo piano, che esprime desiderio sessuale nei confronti di Lucy, salvo
poi pentirsene. La ragazzina, molto ingenua, ne è ignara, non ha capito che Cheng si è innamorato
di lei.
Il film non è a colori ma a viraggi, colorazioni: le scene in giallo, mentre quelle in azzurro sono
quelle notturne. Essendo un film muto al posto delle parole troviamo le didascalie.
La costruzione scenografica del film è molto importante:
• Londra: quella rappresentata è una Londra fluviale, molto povera, con barche che vanno
verso la lontananza (desiderio di evasione).
• Casa del pugile: la casa è squallida perché lui è un poveraccio.
• Stanza di Cheng: è l’opposto di quella di Lucy. È il mondo delle raffinatezze orientali con i
fiori, il vestito di seta, la bambola. È con il motivo della bambola che si manifesta la
femminilità di Lucy, ne esce il suo infantilismo ma pensiamo alla maternità. C’è anche un
motivo molto ricorrente dei fiori.
La stanza di Cheng è appunto un mondo da fiaba in cui potrebbe esserci l’amore, che però viene
soffocato e rimane casto. La distanza culturale e anagrafica tra i due insieme al razzismo del padre
di Lucy rende l’amore più difficile, utopico.
All’inizio del film vediamo Lucy camminare per strada e il materializzarsi di due ricordi:
1. La ragazzina che parla con una donna con tantissimi figli che le dice di non sposarsi mai.
2. L’incontro con due prostitute, anch’esse infelici, che la mettono in guardia dal fare come
hanno fatto loro.
Due strade opposte entrambe sconsigliate, l’unica soluzione potrebbe essere l’amore, che però
diventa utopia.
Ogni azione del film è spezzata volutamente perché Griffith ha accolto il montaggio parallelo. La
morte di Lucy è evidenziata da un’ellisse perché è più violenta, mentre la morte del padre è “voluta”
dal pubblico e non scandalizza un colpo di pistola. Più anomalo è il fatto che il cinese pacifista
possieda un’arma. Cheng per uccidersi fa harakiri che è una tradizione giapponese e non cinese
anche se comunica comunque qualcosa di orientale.
Sergej Ejzenstejn
E’ un teorico del cinema e regista che fa riferimento al formalismo russo. Il cinema come forma
d’arte gli interessava particolarmente. Dopo avere lavorato in teatro si accorgerà che il cinema è un
mezzo a lui più congeniale: nel teatro c’è troppa realtà, il cinema fa sognare perché ci sono le
ombre, come affermerà anche nel suo saggio Dal teatro al cinema. Ha spesso usato i suoi film come
applicazione pratica delle sue teorie cinematografiche.
Il suo primo film è Sciopero! del 1924 in cui è rappresentato attraverso spezzoni brevissimi e spesso
incomprensibili, il caos della lotta e della rivoluzione. Il film infatti è la prima applicazione pratica
della teoria del montaggio connotativo o montaggio delle attrazioni. Secondo tale teoria il cinema e
il teatro dovrebbero essere utilizzati come strumenti volti a scuotere l'animo dello spettatore. Per
raggiungere tale scopo è necessario realizzare un montaggio cinematografico caotico e
frammentario, in cui sono mescolati diversi elementi (come nello spettacolo di varietà). Il concetto
di "attrazione" risulta quindi fondamentale per catturare l'attenzione del pubblico, che deve essere
sempre spinto alla riflessione intellettuale. Ejzenštejn sostiene che proprio per stimolare
l'immaginazione dello spettatore il montaggio deve risultare disorganizzato e scomposto,
riproducendo in tal modo il disordine che caratterizza la vita reale.
Lo spettatore deve essere conscio, sempre presente, razionalmente vigile e non può abbandonarsi al
sentimento. Ogni inquadratura è legata alle altre da un rapporto che definisce hegeliano di tesi,
antitesi e sintesi: le inquadrature devono rientrare dialetticamente l’una con l’altra. Il montaggio per
Ejzenstejn non è solo un elemento del cinema ma la struttura portante di tutta l’arte, fino ad arrivare
a vederlo anche negli ideogrammi giapponesi per cui i quali all’unione di due elementi corrisponde
la nascita di un terzo.
Ejzenstejn mette in contrapposizione il suo montaggio connotativo al decoupage classico del
cinema americano, ad esempio quello di Griffith, che vuole essere trasparente e che lo spettatore si
immedesimi nel film e si lasci trasportare, senza accorgersi di tutto il lavoro di costruzione che c’è
dietro.
Ejzenstejn vede nel cinema sovietico una prevalenza di quest’ultimo tipo di montaggio: Pudovkin,
un altro cineasta russo, utilizza soggetti tratti dalla rivoluzione russa montati all’americana. È un
realista che fa decoupage classico. Nel suo saggio Dickens, Griffith e noi, dove noi sta per cinema
sovietico, è come se Ejzenstejn affermasse che i cineasti russi hanno superato Hollywood.
È vero che la situazione influenza lo spettatore: La regina Cristina di Mamoulian. Il regista
decide di chiudere il film con un primissimo piano della Garbo, ma invece di farle esprimere dolore
sceglie di farla rimanere impassibile. Secondo Mamoulian sarebbe stato poi il pubblico a investirla
delle varie emozioni di dolore, ed effettivamente è così.
Dal suo studio sul colore Ejzenstejn deduce che non c’è simbologia in esso, è più che altro una
questione culturale. Solo il rosso rappresenta vita e morte un po’ dovunque, gli altri sono
tranquillamente intercambiabili. Ne La linea generale del 1928 il bianco è il colore del bene, mentre
il nero rappresenta il male. Tuttavia nel Cavaliere dell’ordine teutonico (che rappresentava Hitler) il
colore bianco simboleggia il male: basta pensare a Moby Dick, la balena bianca che rappresenta il
demoniaco. Il film è comunque più tradizionale, in quanto c’è un eroe.
Negli anni ’20 durante la prima parte della sua attività, Ejzenstejn fa un cinema collettivo senza
personaggi seguiti psicologicamente nelle loro vicende, con un montaggio in cui persino le
didascalie hanno valenza grafica, pittorica.
La Corazzata Potemkim (1925)
Il film racconta di uno dei primi episodi di tipo rivoluzionario che portarono alla Rivoluzione Russa
del 1905. È intriso di una forte carica ideologica marxista (infatti in Italia fu proibito a causa del
fascismo). Fu una rivelazione, la rivelazione di Ejzenstejn e venne recepito già allora come un
grande capolavoro. Per molti aspetti il film può essere considerato come un film d&rsquo